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Venezia, non ha requisiti da profugo ma per il giudice è ben integrato e può restare in Italia

Il caso di un giovane maliano che due anni fa si era visto respingere dalla commissione territoriale di Verona la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale. Per il Tribunale, anche se non corre alcun pericolo di vita nel suo Paese, in caso di rimpatrio si “arrecherebbe un danno sproporzionato alla sua vita privata” visto che in Italia è fortemente integrato.
A cura di Antonio Palma
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Formalmente non ha i requisiti per essere dichiarato rifugiato o profugo visto che nel suo paese non corre alcun pericolo di vita ma in Italia, dove vive ormai da anni, si è integrato molto bene e dunque può restare nel nostro Paese. A questa conclusione è giunto nei giorni scorsi il Tribunale di Venezia accogliendo il ricorso presentato da un richiedente asilo fuggito dall’Africa che due anni fa si era visto respingere dalla commissione territoriale di Verona la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale. Nella sentenza il giudice, pur confermando sostanzialmente l'impossibilità di dichiarare l'uomo un rifugiato, concede comunque al giovane originario del Mali  il permesso di soggiorno per motivi umanitari ritenendo che con il rimpatrio la sua condizione peggiorerebbe di colpo.  In sostanza per il Tribunale del capoluogo veneto, vista la condizione raggiunta dal maliano nel paese ospitante, in caso di rimpatrio si  "arrecherebbe un danno sproporzionato alla sua vita privata".

Nella sentenza il giudice "esclude che il ricorrente possa considerarsi un ‘rifugiato', cioè sia oggetto di persecuzione per razza, religione o appartenenza a un determinato gruppo sociale", aggiungendo che "né in altro modo le circostanze fanno emergere la sussistenza di un danno grave in caso di rientro in Mali, cioè un rischio verosimile di essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti". Allo stesso tempo però ritiene opportuno "valorizzare la vulnerabilità del richiedente asilo per il livello molto avanzato di integrazione sociale in Italia". In particolare il Tribunale elenca i tanti elementi che hanno pesato sulla decisione finale come il fatto che l'uomo abbia "dato prova di una perfetta padronanza della lingua italiana e per ciò stesso quindi di una seria capacità d’inserimento". Inoltre, ha dimostrato "di essere occupato a tempo pieno in molteplici attività lavorative, dalla vigilanza al lavoro in ristorazione e in agricoltura, di aver frequentato e concluso la scuola secondaria, oltre allo svolgimento di volontariato, nonché di essere in procinto di acquisire la patente".

Per il giudice infatti è fondamentale in questi casi fare una "valutazione comparata tra le condizioni raggiunte nel paese ospitante rispetto a quelle del paese di origine" perché, come indica  la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, bisogna "assicurare una tutela sia alla vita familiare che alla vita privata di un individuo" tra cui un aspetto fondamentale è il lavoro. Nel caso specifico, l'uomo "incontrerebbe non solo le difficoltà tipiche di un nuovo radicamento territoriale, ma si troverebbe in una condizione di specifica estrema vulnerabilità idonea a compromettere la sua possibilità di esercitare i diritti fondamentali, legati anche solo alle scelte quotidiane".

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