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Vincenzo Santopadre: “Sinner dopo gli US Open ha mandato uno dei messaggi più belli di sempre”

Vincenzo Santopadre analizza su Fanpage la finale degli US Open tra Carlos Alcaraz e Jannik Sinner: i meriti dello spagnolo, i dubbi sulle condizioni dell’azzurro, il peso delle pressioni e il futuro del tennis italiano con Musetti e Cobolli.
A cura di Marco Beltrami
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Vincenzo Santopadre non ha dubbi: a New York abbiamo visto un Carlos Alcaraz devastante e uno Jannik Sinner comunque protagonista di un percorso di altissimo livello. L’ex giocatore e stimato coach, tra i più esperti del panorama tennistico, analizza senza giri di parole ai microfoni di Fanpage la finale degli US Open, sottolineando i meriti dello spagnolo ma anche i possibili condizionamenti fisici dell’azzurro. Una lettura intelligente e non banale che tocca temi cruciali: il livello stratosferico raggiunto da Alcaraz, le certezze e i margini di crescita di Jannik, e il messaggio fortissimo dato con la sua reazione alla sconfitta, le pressioni di un Paese intero sulle spalle e le prospettive degli altri italiani come Musetti e Cobolli.

Vincenzo, ti ha impressionato più il livello di Alcaraz dopo Wimbledon o il piccolo passo indietro di Sinner?
"La mia impressione, che penso sia anche quella più facile all’occhio, è che ci sia stato un Alcaraz effettivamente devastante. Sotto tutti gli aspetti: fisici, tattici, mentali, di continuità, che era sempre stata la sua piccola lacuna. Ha performato a livelli stratosferici. Non ci siamo meravigliati più di tanto, perché aveva già dato dimostrazione di poterlo fare, però quando davanti hai un giocatore come Sinner, che è decisamente superiore a tutti gli altri che aveva affrontato, ci poteva stare una difficoltà maggiore. Cosa che in parte c’è stata, ma solo relativamente. Probabilmente Alcaraz è stato chiamato a salire ancora di più di livello, ma lo ha fatto con buona facilità, e questo è stato evidente e impressionante".

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In cosa Sinner non è stato Sinner, anche se non dobbiamo fare certo tragedie?
"Per quanto riguarda Jannik, sicuramente qualcosina meglio avrebbe potuto farla, a partire dal servizio. Però ricordiamoci che anche lui ha fatto un grandissimo torneo: ha lasciato solo due set in tutto lo Slam fino alla finale, e questo la dice lunga. Tutte vittorie nette: vuol dire che sei di un livello superiore rispetto agli altri. Si parte da questo: da un giocatore che ha fatto quattro finali consecutive, anzi cinque negli Slam, quindi c’è un livello decisamente superiore. Ripeto, ha avuto quella difficoltà in finale a mantenere l’intensità e la continuità che invece ha avuto Alcaraz".

Che Sinner hai trovato fisicamente?
"Ti dico anche, e qui apro una parentesi come punto interrogativo: siamo sicuri che Jannik fosse al 110%? Perché io, da addetto ai lavori, un dubbio me lo faccio che potesse essere condizionato a livello fisico e mentale, per esempio sul servizio. In semifinale c’era stato quell’episodio (il problema agli addominali, ndr), e un minimo di condizionamento fisico o mentale sul servizio poteva esserci. Poi considerando che ogni partita va contestualizzata all'interno di un percorso, di un periodo, di un torneo magari stava benissimo, magari no. È chiaro che non lo diranno mai: conoscendo il suo team non vai a dire che non eri al 100%, perché non è carino. Però io, da addetto ai lavori, una domanda me la pongo".

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Certo è che quando si affrontano, se non sono al massimo…
"Detto questo, resta la vittoria dello spagnolo. Resta il futuro di questi ragazzi, che secondo me porterà a una preparazione specifica: un po’ come facevano Nadal, Federer e Djokovic, che calibravano il lavoro sul loro unico grande avversario. Perché alla fine, oggi, i veri avversari sono soltanto loro due, e si stimolano a vicenda".

Tornando sulla tua considerazione sullo stato di forma di Sinner, c'è stato qualcosa in particolare che ti ha fatto pensare a questo?
"C'era anche un pochino di attenzione perché lui era memore di quello che era successo in semifinale con Auger-Aliassime. Alla fine lui qualche problema, qualche fastidio lo ha avuto: non parliamo di una cosa che gli ha impedito di giocare. Poi ci è passato sopra. Quello che era emerso un po’, è che quando è rientrato in campo dopo il secondo set effettivamente all’inizio era un po’ titubante e serviva con meno decisione e meno forte. A volte basta un piccolo condizionamento che può influire. Però, ripeto, quello che resta è sicuramente la prestazione generale di tutti e due nel torneo, che è stata eccezionale sotto tutti i punti di vista.

Questa sconfitta sembra che ancora una volta possa essere uno stimolo importante a migliorarsi per Sinner.
"Jannik avrà i suoi buoni motivi per essere stimolato, e per fortuna. Conoscendolo, sono sicuro che il fatto di aver perso la finale e di aver perso il trono di numero uno saranno uno sprone per fare qualcosa in più. Non credo che sia qualcosa per cui lui perda fiducia, anzi: acquista stimolo nella sfida, perché questi due ragazzi vivono della sfida tra di loro, dicendosi anche disposti a perdere alcune partite".

Dopo la finale Sinner ha rivelato di essere pronto a provare a diventare meno prevedibile perdendo anche dei match. Sarà un percorso lungo?
Penso che sia un percorso abbastanza breve, perché lui è sempre stato molto aperto mentalmente all’allenamento, e quello è il primo passo. La cosa eccezionale che ha fatto è stata dare seguito anche in torneo subito a ciò che provava in allenamento. Credo che il messaggio che abbia mandato dopo la finale, quello di essere pronto a perdere delle partite, quindi a sacrificare il risultato, sia fortissimo: per lui perdere significa non provare a fare cose nuove. È forse uno dei più bei messaggi sportivi che un atleta possa mandare. Se perdi una finale, è un bel bagno di umiltà. Non che lui ne abbia bisogno, ma è una grande lezione di cultura sportiva. Questo ti fa capire perché sei stato e sarai di nuovo numero uno del mondo. Uno se lo dovrebbe tatuare.

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Quanto è difficile, anche sulla base delle esperienze con Matteo Berrettini, sentire il peso di un intero Paese sportivo addosso? È un avversario invisibile o un fattore positivo?
È innegabile che questi ragazzi siano sottoposti a pressioni e devono essere bravi a gestirle. Ci sono situazioni che possono sfuggire, dipende da come la vivono loro. Oggettivamente, tutti gli occhi d’Italia sono su di lui. Deve essere bravo lui e deve essere bravo il suo team a proteggerlo da queste pressioni. In questo senso Jannik è molto bravo: ha fatto progressi enormi, come Matteo, scalando in fretta e tagliando i traguardi uno dietro l’altro con rapidità. Ha dimostrato di saperlo fare: è rimasto numero uno senza subire contraccolpi, nonostante le pressioni e le attenzioni. Pensiamo a quanto poco ci ha messo a uscire dal dramma della finale persa al Roland Garros e a vincere Wimbledon subito dopo. Questo ragazzo è un esempio, non solo per il livello di gioco – quello lo vediamo dai risultati – ma soprattutto per il sistema di pensiero. Non si limita a formulare pensieri vincenti: li traduce in azioni vincenti. È un messaggio di cultura sportiva non indifferente.

In questo momento della stagione, quali sono gli altri giocatori italiani che ti hanno impressionato di più e chi potrebbe avere più margini di miglioramento?
"Il salto lo possono fare tutti, dipende da quanto sono stimolati al lavoro, dalla volontà di migliorarsi e dalla mentalità, da quanto riescono ad avvicinarsi a Sinner. Quello che mi ha sorpreso in maniera positiva è Cobolli: ha ottenuto risultati stratosferici, come i quarti a Wimbledon, su una superficie che non era a lui congeniale. È un salto di qualità impressionante, che in tanti non si aspettavano. Ha fatto progressi enormi. Per quanto riguarda Musetti, anche lui ha fatto miglioramenti incredibili: non dimentichiamoci che è seriamente candidato a qualificarsi per le Finals. Forse i suoi risultati risaltano meno per due motivi: uno, perché ha potenzialità enormi; due, perché la presenza di Jannik gli toglie inevitabilmente un po’ di luce. Ma Musetti resta un fenomeno. Cobolli ha sorpreso di più perché i suoi risultati sono stati inaspettati, ma anche Musetti, pur con aspettative sempre altissime, ha compiuto passi avanti notevoli".

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Tu sei un coach di livello assoluto, cosa diresti ora ad un top ten che ha visto aumentare a dismisura il divario da Sinner e Alcaraz?
"Io credo che l’allenatore bravo sia quello che riesce a capire quale chiave toccare del proprio giocatore. Perché magari con uno serve mettergli un po’ di pepe sulla corsa verso gli altri due, anche se tendenzialmente io, da allenatore, preferisco, nel mio atleta ideale, quello che fa la corsa su se stesso. E anche qui credo che Sinner abbia detto delle parole importanti, quando dice che lui si preoccupa del suo miglioramento. Poi tutto quello che succede è che il suo miglioramento influisce in relazione agli altri. Però lui si preoccupa di sé stesso, che secondo me è la cosa ideale.

Bisogna essere anche un po' psicologi per capire quali corde andare a toccare.
"È ovvio che magari ci sta qualcuno che è un pizzico più sensibile anche al miglioramento relativo, al fatto che magari fa la corsa al numero uno. Però poi il problema qual è? Che se tu arrivi al numero uno, alla fine la corsa è finita, e quindi il rischio di adagiarsi c’è. Per quello dico che, per il mio atleta ideale, il modello è quello che fa la corsa su se stesso. Ripeto, poi ogni allenatore ha il suo metodo e cerca di capire al meglio come e dove stimolare il proprio giocatore. Io credo che un buon allenatore debba stimolare il giocatore sul suo miglioramento personale.

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Cosa ne pensi delle assurde critiche al tuo compagno di viaggio Lorenzo Fares su Supertennis in sede di telecronaca per aver chiamato Sinner "l'italiano"? Sono dinamiche che ti hanno sorpreso o ormai, anche in questa nuova veste, ti aspetti di tutto?
"Ma io ho imparato ad aspettarmi di tutto, perché tanto far contenti tutti è impossibile. Non sapevo di questa cosa, mi viene da sorridere, perché io penso anche che quando fai telecronaca ognuno ha il proprio stile, ma non ha detto nulla che non sia vero. Quindi qual è il problema? Non vedo proprio. O lo chiami Jannik, se sei in confidenza, o lo chiami Sinner, o lo chiami “l’italiano”, “il giocatore italiano”. Lo fai anche per cambiare, per non essere stucchevole. Se per tutta la partita lo chiami Sinner, sicuramente qualcuno dice: “Perché non dice mai che è italiano?”. Quindi mi fa abbastanza sorridere, e la dice lunga anche su dove si vuole andare a parare. Se uno avesse detto “il francese”, allora forse qualcuno si poteva risentire".

Quanto sei felice per il ritorno ormai – diciamo dovrebbe essere ufficiale – di Matteo Berrettini in campo?
Molto, molto, molto. Sono molto contento, spero veramente che riesca a star bene, a divertirsi nella fatica. Credo che lui più di tanti altri se lo meriti, perché so tutta la fatica che ha fatto negli anni. È bello quando tu fatichi tanto riuscire poi ad andare un po’ alla cassa a goderti qualcosa. È ovvio che lui si è goduto tutto quello che ha fatto, che non è per niente poco, e anzi credo che abbia aiutato tantissimo il tennis italiano in generale.


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