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Da 141° a 1°, i due anni incredibili di Andre Agassi che hanno cambiato la sua storia

Andre Agassi, che oggi compie 51 anni, nel 1997 era 141° nella classifica ATP, odiato dal pubblico e concentrato solo sulla mondanità e gli eccessi. In due anni torna numero 1 del mondo, riscopre l’amore per il tennis e la vita e poi si metterà a nudo in “Open”, in cui è descritto questo momento come un vero e proprio momento di rinascita.
A cura di Jvan Sica
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André Agassi nel 1997 è visto molto male dal pubblico, anzi da una buona fetta di esso è odiato per quel suo misto di strafottenza e incuria, sembra un bambolotto di pezza tirato da tutte le parti dallo show-biz, dal tennis, che fa appunto con molta poca voglia, dal padre con cui ha un rapporto quasi inesistente, dalla moglie attrice che vuole le copertine, dagli allenatori, dagli avversari che lo battono senza pietà. Andre Agassi in carne e ossa non esiste, è un ologramma che ricorda lontanamente qualcuno che ha cambiato il tennis, tecnicamente e per come è vissuto.

La frase che spiega questo suo momento è: "È il pubblico là fuori che ti osanna o ti affonda. La priorità è il loro divertimento". Detta con quel retrogusto amaro e sofferente di chi deve sempre essere l’attrazione principale del circo, piangendo poi nel retropalco proprio come fanno i clown. Nel 1999, solo due anni dopo, Andre Agassi è il tennista più amato al mondo, rispettato e in parte copiato da tutti gli avversari del circuito, coccolato dal mondo dello spettacolo e del costume per quello che è e non per quello che dimostra, in piena forma e sorridente.

Andre Agassi nel 1997 è arrivato a essere 141° nella classifica ATP, nel 1999 torna a essere il numero 1. La frase che spiega la risalita è: "Ho una missione e il tennis è il mezzo che mi ha permesso di perseguirla". In quei due anni Agassi si rimette al mondo, trova persone speciali, abbandona chi lo tiene a freno e capisce altri lati del suo sport. A un certo punto, del tennis dice: "È un grande amico che però richiede impegno e sforzo quotidiano per tener sempre vivo il rapporto". Così come dello sport in generale, ribadisce: "È uno specchio formidabile. Ma solo se non ti travesti. E mostri la tua vulnerabilità".

Ecco quello che è accaduto ad Agassi in quei due incredibili anni. Lo scriverà perfettamente in “Open”, uno dei libri più letti e belli della letteratura sportiva. Agassi decide che può perdere. Non che non lo avesse fatto prima, anzi, come detto, in quel momento lo faceva molto spesso. Ma anche perdendo a tennis, trovava una scorciatoia per dirsi vincente. Quando invece accetta la sconfitta e la possibile vulnerabilità, si toglie la maschera e inizia a vincere davvero.

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La spinta gli viene data anche dall’amore, che Agassi scopre grazie a una delle tenniste più vincenti e forti della storia, Steffi Graf. "Steffi e io siamo simili e complementari: come me ha dedizione assoluta, capacità di concentrazione, passione e velocità, e finalmente mi calma, mi da stabilità e forza".

Amore per il tennis, amore per una donna e amore per la vita riscoppiano tutti insieme in quel momento e Agassi è in grado di ritornare grande. Questa parabola è descritta perfettamente da alcune sue interviste davvero sensazionali per un atleta professionista o che è stato tale. Pochissimi hanno fatto anche solo comprendere sensazioni ed emozioni che gli sportivi sentono forti sotto la loro carne allenata.

"Ho sempre avuto questa sensazione, anche quando giocavo, voi sentivate che ce la mettevo tutta, che cercavo una quadratura, di mettere i pezzi insieme, anche nella vita. Ci mettevo passione, voglia, allenamento, pure nei miei sbagli. Ero disturbato, ma voi sembravate non farci caso. Davo l'idea di un bullo arrogante, ero solo pieno di ansie. C'è gente che dentro il campo rinasce, diventa leone, si sente finalmente bene, io invece stavo male da cani. Bastava un ritardo per la pioggia e già cadevo in confusione, mi venivano i dubbi, le incertezze. È stato brutto vivere così, anzi patire".

E chi non legge in queste parole ad esempio anche quelle dette tante volte da Pantani, che parlava dell’importanza e quasi necessità di essere veloci in salita per far finire prima la sofferenza e anche della confusione che è la vita quando non è più solo ciclismo? Così come tanto di non detto nelle dinamiche sportive riguardano anche il rapporto con gli altri atleti e il pubblico, altro tassello fondamentale di un ingranaggio delicatissimo: "Vedo tanti giocatori che hanno paura dei giudizi, così come io temevo quello di mio padre. Vedo gente spaventata che cerca di nascondersi, e mi ricordo di quando facevo cose pazze perché per la paura volevo scomparire dalla faccia della terra. Quando Becker disse che tutti mi odiavano, mi ferì tantissimo. Già ero insicuro, quelle parole furono una lama".

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Nel suo libro, nella sua storia e nella sua vicenda attuale, ci sono grandi insegnamenti da prendere. Ma forse il primo, quello che lui stesso ha saputo riconoscere per poter vivere davvero è molto chiaro: "Al mondo c'è un sacco di gente che non sta bene nella sua pelle, a disagio nei matrimoni, nell'adolescenza, con se stessa. Sarò presuntuoso, ma volevo dire che si può arrivare a capirsi. Se l'ho fatto io, ci possono riuscire anche gli altri. ‘Open' si fonda su questa speranza: si è persi, ma ci si può ritrovare. Non è sul tennis, ma su come sia difficile confrontarsi con la propria identità. L'ho scritto: amo e riverisco tutti quelli che hanno sofferto".

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