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Chi c’è dietro il licenziamento di Horner in Red Bull: la lotta intestina persa dall’ex team principal

Il licenziamento di Christian Horner alla Red Bull chiude una guerra di potere durata un anno e mezzo: chi voleva farlo fuori ha vinto, con Helmut Marko e Jos Verstappen in prima linea.
A cura di Michele Mazzeo
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Il più longevo team principal della storia della Formula 1 è stato fatto fuori. Dopo 20 anni alla guida della Red Bull, Christian Horner è stato rimosso dal suo incarico con effetto immediato. L'annuncio è arrivato mercoledì, all'indomani del GP di Silverstone. Una comunicazione scarna — con l'ex Ferrari Laurent Mekies nominato nuovo CEO — che però segna la fine di una lunga lotta per il potere scoppiata dopo la morte del fondatore Dietrich Mateschitz.

Una guerra intestina durata oltre 18 mesi, combattuta dietro le quinte, in cui il 51enne britannico ha cercato in ogni modo di conservare il proprio ruolo mentre una fazione interna al team, guidata da Helmut Marko e spalleggiata da Jos Verstappen, faceva di tutto per farlo fuori. Alla fine, quella fazione ha vinto.

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Il tentativo fallito di epurare Helmut Marko

La spaccatura nasce nel momento in cui Horner tenta di approfittare del vuoto di potere lasciato da Mateschitz per rafforzare la propria posizione all'interno del gruppo Red Bull, provando a marginalizzare Helmut Marko, storico consigliere e figura centrale del programma giovani. Un piano non riuscito, complice anche l'intervento decisivo della famiglia Verstappen: Max, primo volto globale del marchio Red Bull, ha fatto pesare la sua influenza ottenendo il rinnovo del contratto di Marko a dicembre 2023.

Da quel momento, la partita si è rovesciata. Il fronte pro-Marko ha atteso il momento giusto per passare al contrattacco. E l'occasione è arrivata quando una dipendente del team ha denunciato Horner per presunti comportamenti inappropriati. Secondo alcune fonti si trattava di foto osé inviate via chat (Bild), per altre era abuso di potere (The Sun). A suggerire alla dipendente di rivolgersi direttamente alla Red Bull Austria e non al comparto racing — dove Horner era plenipotenziario — sarebbero state persone vicine a Marko.

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L'inchiesta, le pressioni e la mediazione fallita di Ecclestone

Ne è nata un'indagine interna condotta da un legale indipendente che ha ascoltato Horner per nove ore. Il manager inglese è stato scagionato, ma la pubblicazione anonima di screenshot dei presunti messaggi compromettenti ha riportato il caso alla ribalta. Da quel momento sono partite pressioni perché si dimettesse spontaneamente, evitando uno scandalo pubblico.

Secondo Motorsport-Total.com, per convincerlo a fare un passo indietro sarebbe stato coinvolto persino Bernie Ecclestone, legato da vecchia amicizia a Horner. Ma nemmeno l'intervento dell'ex Supremo della F1 ha avuto effetto. Horner ha scelto di resistere, respingendo le accuse come aveva già fatto ufficialmente sia nell'inchiesta che nel successivo ricorso.

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I sospetti su Marko e l'asse con i Verstappen

Il caso però è esploso sui media quando De Telegraaf — testata olandese molto vicina all'ambiente Verstappen — ha pubblicato le accuse. Una mossa che ha sollevato più di un sospetto. Come se non bastasse, è stata proprio la Red Bull Austria, dove Helmut Marko ha ancora un peso forte, a diffondere la nota ufficiale sul procedimento aperto contro il team principal.

Da lì, le frizioni tra Horner e la parte austriaca della Red Bull non si sono più ricucite. Anche se tecnicamente assolto, la sua posizione è rimasta appesa a un filo. Soprattutto quando la stagione 2025 ha preso una brutta piega: la RB21 ha perso competitività, Max Verstappen ha iniziato a criticare pubblicamente la macchina e nel box si è parlato apertamente di gestione tecnica sbagliata. "La macchina non è abbastanza competitiva", avrebbe detto internamente il quattro volte campione del mondo già durante i primi GP della stagione prima di cominciare poi a dirlo anche pubblicamente nelle interviste.

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La crisi tecnica, il gelo con Jos Verstappen e l'addio di Newey

I segnali di rottura si erano già accumulati. A partire dal litigio con Jos Verstappen nel 2024, che aveva definito Horner un problema per l'integrità del team. "Sta facendo la vittima, ma è lui a causare i problemi. Se resta, la squadra esploderà", aveva dichiarato durante il GP del Bahrain. Poi le accuse di essere stato escluso dalla parata delle leggende in Austria e lo scontro in hospitality, con un clamoroso rifiuto di stretta di mano.

Intanto, uno a uno, pezzi chiave dello staff tecnico hanno lasciato la Red Bull. Su tutti Adrian Newey, il geniale progettista artefice del dominio dell'era Verstappen. In parallelo, Max iniziava a guardarsi attorno: la corte serrata della Mercedes e l'ipotesi di un addio nel 2026 si faceva più concreta.

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Il cambio di rotta del patron thailandese e la resa finale

Nonostante tutto, Horner poteva ancora contare sulla protezione di Chaleo Yoovidhya, azionista di maggioranza della Red Bull con il 51% e finora poco coinvolto nella gestione sportiva. Ma le prestazioni altalenanti, i conti in calo e la fuga di talenti hanno cambiato lo scenario. Anche Yoovidhya ha ceduto alle pressioni del management europeo.

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Le indiscrezioni parlano di un vertice di crisi dopo i flop di Spielberg e Silverstone tra Yoovidhya, Mark Mateschitz (figlio del fondatore) e il responsabile delle attività sportive del Gruppo Oliver Mintzlaff. Quest'ultimo, da tempo ostile a Horner — "troppo costoso e troppo vecchio", lo avrebbe definito — ha spinto per un'uscita immediata.

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Con la perdita dell'ultimo alleato, per Horner si sono chiuse le porte. E l'animata discussione con Jos Verstappen nel paddock di Silverstone è stato il preludio a ciò che ormai appariva inevitabile. La Red Bull ha potuto finalmente fare quello che voleva fare da mesi: voltare pagina. Ufficialmente per motivi sportivi, nei fatti per porre fine a una guerra interna diventata insostenibile.

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