Supercoppa in Arabia, Riccardo Cucchi: “Il calcio svenduto alla propaganda, così perde identità e libertà”

Le immagini arrivano da lontano, illuminate dai riflettori e accompagnate da slogan che parlano di modernità e futuro. Ma dietro la Supercoppa Italiana giocata in Arabia Saudita resta una domanda che divide tifosi e addetti ai lavori: fino a che punto il calcio può spingersi in nome del denaro? Mentre i club scendono in campo a migliaia di km dall’Italia, il dibattito sui diritti umani torna prepotente.
Su questo tema si è espresso Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che ha affermato: “La situazione dei diritti umani in Arabia Saudita è estremamente negativa. Esprimere dissenso online comporta decenni di carcere. Le organizzazioni per i diritti umani sono messe al bando e i loro dirigenti in prigione. I mondiali del 2034 rischiano di essere giocati, come in Qatar nel 2022, sulla pelle dei lavoratori migranti. Nel 2025 è stato nuovamente battuto il record delle impiccagioni, almeno 340 e l’anno non è ancora terminato”.

Anche Riccardo Cucchi, storica voce della trasmissione radiofonica ‘Tutto il calcio minuto per minuto' e presidente del premio Sport e diritti umani, ha denunciato senza giri di parole un calcio italiano sempre più piegato alla propaganda e lontano dalla sua gente: a Fanpage.it la voce storica del giornalismo sportivo italiano ha analizzato questa situazione e ha fatto notare come calcio, tifosi e valori rischiano seriamente di essere messi da parte in nome del business e piegati a strategie politiche ormai ben delineate.
Siamo al terzo anno consecutivo della Supercoppa in Arabia con questo nuovo format e al settimo evento in Medio Oriente se conteggiamo quelli fino al 2014: il calcio italiano è sempre più ‘ostaggio della propaganda' di alcuni paesi?
"Temo di sì, a meno che non ci sia un cambio di rotta netto. Non dovrebbero esistere dirigenti con il potere di vendere la passione dei tifosi in cambio di denaro. Il calcio non può essere esposto a questo tipo di ricatti economici e politici".
Appunto, i dirigenti. Che immagine esce dei nostri dirigenti calcistici, i club, federazioni e istituzioni sportive da questa situazione?
"Un’immagine di totale cecità. Sembra che l’unico obiettivo sia raccogliere soldi, calpestando i valori. Se il calcio diventa solo business, allora smette di essere sport e rischia di trasformarsi in una finzione, come il wrestling. Sarebbe la fine del calcio, almeno per come lo conosciamo".

Molti tifosi hanno contestato questa scelta…
"Giocare lì significa togliere ai veri appassionati il diritto di assistere a una partita. È una mancanza di rispetto evidente. Il calcio vive grazie alla gente, non può permettersi di ignorarla".
Perché un paese come il nostro piega tutto a favore dei soldi e chiude gli occhi sulle gravi violazioni dei diritti umani: tutto questo è compatibile, secondo lei, con i valori dello sport?
"Per me no. Altrimenti non mi opporrei con tanta forza. È lo stesso motivo per cui ho criticato il Mondiale in Qatar. Vedo un calcio sempre più piegato al potere politico ed economico, quando invece dovrebbe restare indipendente e libero".
Il calcio è già stato usato come propaganda in passato: stiamo vivendo l'ennesimo tentativo di utilizzo dello sport per altri fini?
"Sì. Dai regimi fascisti e nazisti fino ai paesi del blocco sovietico. Oggi siamo davanti a un tentativo simile. La differenza è che ora il calcio dovrebbe avere gli strumenti per dire ‘no'. Spero trovi la forza di farlo".

Mettiamo da parte un attimo la Supercoppa. È stata ufficializzata la partita Milan-Como in Australia: il calcio italiano ha davvero bisogno di queste operazioni per ampliare il suo pubblico nel mondo?
"Io vedo solo una grande mancanza di rispetto per i tifosi. Il calcio è un’industria, certo, ma produce passione e non oggetti. Trattare i tifosi come bancomat è inaccettabile. Cosa diranno club come Milan e Inter ai loro abbonati che non potranno vedere una partita già pagata?".
In altri paesi, come l’Inghilterra ad esempio, sarebbe successo?
"No. I tifosi inglesi si fanno rispettare, sono compatti e hanno voce. Da noi, purtroppo, spesso manca unità".
In conclusione, qual è il rischio più grande che si corre con tutte queste ‘operazioni'?
"Che il calcio perda la sua anima. Io sono tornato in curva dopo aver chiuso la mia carriera lavorativa, vivo il calcio tra la gente e vedo emozioni vere. Tutto questo patrimonio umano non può essere svenduto. I soldi possono comprare tante cose, ma non la storia, la memoria e l’identità del calcio".