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Siamo tutti Tarcisio quando trovi un Pelé sulla tua strada: il gol più bello di O Rei

Festeggiamo gli 80 anni di Pelé ricordando il celebre gol realizzato dalla Perla Nera contro l’Italia nella finale dei Mondiali di Messico 1970 attraverso le parole del suo marcatore, Tarcisio Burgnich. Di fronte alla grandezza atletica e tecnica di O Rei, purtroppo non c’erano difese possibili.
A cura di Jvan Sica
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Quando Rivelino mise la palla al centro al 18’ del primo tempo della finale dei Campionati del Mondo 1970, lo stadio Azteca di Città del Messico non si aspettava nulla. Eppure erano più di centomila ad essere lì, ma nessuno si illuse che una ciabattata verso il centro, ad anticipare l’arrivo dei difensori italiani, potesse portare chissà a cosa. Il pallone viaggiava a media velocità, come quei vecchi treni sulla linea Benevento-Caserta, sul quale sai quando sali, ma non sai quando scendi. E infatti la palla tardava a calare la sua traiettoria ascensionale, creando noia più che attesa.

In quel Mondiale Tarcisio Burgnich era stato favoloso. Già il fatto che uno di Ruda, provincia di Udine, cittadina ricostruita dai Cavalieri Crociati, lavora per un mesetto in Messico fa specie. Se poi il tale di Ruda lavora anche bene è qualcosa da annotare e tramandare. Ogni tanto lasciamo la parola proprio a Tarcisio Burgnich, per farci raccontare cosa visse quel giorno.

“È fatto di carne ed ossa come tutti gli altri, mi dicevo prima di quella partita. Sbagliavo”.

Burgnich fece un Mondiale sensazionale, segnando addirittura un gol, proprio lui che in quel momento aveva segnato solo 6 gol in campionato in tutta la sua carriera. Aveva affrontato avversari tremendi, come Uwe Seeler, il piccolo ma dinamitardo attaccante tedesco, che dalla panza e la calvizie pensavi fosse uno del catasto, ma poi ti saltava 40 centimetri da terra con il sorriso di chi ti aveva appena autorizzato uno sfratto.

Pelé dal canto suo aveva giocato finalmente un Mondiale, dopo che nel 1962 non poté più scendere in campo per infortunio dopo il girone eliminatorio e dopo che nel 1966 lo avevano caricato a testa bassa, manco fosse un capote de brega giallo limone. Stampati ancora nella testa i calcioni a ripetizione di Dimitar Penev, all’assalto del malleolo dorato, la Perla Nera in Messico schivava tutto lo schivabile, riuscendo comunque a restare regale.

“Il Pelé che ricordo io aveva tutto: destro, sinistro, colpo di testa, velocità, dribbling, tiro e visione di gioco. E poi aveva un’altra dote: era leale”.

Ci siamo per un attimo distratti dalla traiettoria del pallone, ma state sereni, non è ancora successo nulla. Pelé in quel Mondiale fa 4 gol e ne sbaglia uno incantevole. Molto difficile da spiegare ma ci provo. La palla viaggia veloce verso il 10 che è da solo contro il portiere uruguaiano Mazurkiewicz (non provate a casa a scrivere il cognome del calciatore suddetto senza la funzione copia-incolla). Va per tirare o per controllare la palla di destro e invece… invece non la tocca e la fa scorrere verso la sua destra. Mazurkiewicz quasi casca svenuto, ma fa in tempo a riprendersi e ritorna come un forsennato verso la sua porta. Nel frattempo che l’uruguaiano rinvenisse dallo shock, Pelé gli era girato intorno e correva verso la palla. Arrivato all’incrocio con la stessa la tira di collo, cercando l’angolo più lontano. Mazurkiewicz è disperso nell’area di rigore che all’improvviso per lui è diventata con così pochi punti di riferimento da somigliare alla tundra della penisola del Tajmyr, mentre altri difensori, non annebbiati dal giochetto, cercano di coprire la porta. Segnare quel gol sarebbe stato davvero fantastico, ma per Pelé forse non bastava. Ed è per questo che con il destro ha mirato esattamente l’angolo opposto, perché doveva concludere con il do di petto, non bastava la standing ovation. La ricerca dell’angolo però fu il motivo per cui quel gol non è stato realizzato. Per tanti è ancora oggi il più bel non gol della storia del calcio.

“Quello che io faccio con le mani, lui lo faceva con i piedi”.

Seguendo la palla in aria, ecco apparire i nostri protagonisti, appena sopra presentati ampiamente. Tarcisio e Pelé sono a contatto, con la palla che si avvicina. Ben prima di quello che sarebbe successo, un minimo di sospetto lo si poteva avere. Quello in giallo si chiama Pelé, il grande Pelé, il numero uno, Pelé. L’altro si chiama Tarcisio, chi il bidello? No Tarcisio il calciatore. Da me c’è un Tarcisio che fa l’idraulico. Ecco, già dai nomi si poteva immaginare come sarebbe andata a finire. Però Tarcisio, lo ripeto, era in forma, Montezuma lui se lo porta in campagna a scavare patate al confine con la Jugoslavia, altro che maledizione. Però l’altro è Pelé, come fai a uscirne vincitore?

Con la palla a tre metri dalla loro perpendicolare, Pelé decide di impuntare i due piedi sul terreno e di caricare con tutta la forza che ha sui quadricipiti, flettendo i polpacci. Il movimento è orribile, non si salta in alto facendo forza su due piedi, molto meglio con uno. C’era stato Fosbury nemmeno due anni prima da quelle parti. Invece Pelé sbaglia tutto e salta con due piedi piatti paralleli.

“Dalle immagini di quel gol, e dagli scatti fotografici, sembra che lui salga in cielo per colpire il pallone. In effetti mi sovrastò, ma mi prese in controtempo: avevo fatto un passo in avanti perché mi aspettavo che Rivelino crossasse basso, arrivò un pallone alto e Pelé era già in vantaggio. L’elevazione non fu straordinaria, ma il colpo di testa fu perfetto”.

Tarcisio che nel movimento di Pelé si era leggermente staccato, salta correttamente, con un solo piede, ma deve farlo all’indietro e perde altezza di stacco. La foto nel momento in cui Pelé incoccia il pallone è drammatica o esaltante, dipende dagli occhiali che indossi. Da una parte c’è una statua d'ebano in tutta la sua solenne bellezza. Quella statua è Pelé. Dall’altra c’è un omino, nerboruto ma affannato, ben piazzato ma scorato. Quell’omino è Tarcisio.
La palla arriva sulla testa di Pelé e, come se fiondata, schizza in porta. 1-0 Brasile. Tutti gli italiani guardano Tarcisio e si riconoscono. Siamo tutti Tarcisio di fronte a quell’altro.

"Giocatori così nascono ogni trent'anni. Lui, Maradona, Di Stefano e Sivori i più grandi, ma Pelé è stato il più completo".

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