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Sconcerti dice che il segreto del Milan è “una mescolanza di razze ed etnie”: tutto sbagliato

Quando si cerca di spiegare perché il Milan è davanti all’Inter in classifica per 2 punti e ha un pezzo di scudetto cucito sulla maglia si fa davvero fatica a capire cosa c’entrino il riferimento a “mescolanza di razze” e a “decine di altri incroci lunghi più di trecento anni”.
A cura di Maurizio De Santis
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Si fa davvero fatica a capire che senso ha nel 2022, in un mondo iper-globalizzato, citare la "mescolanza di razze", le peculiarità etniche e "decine di altri incroci lunghi più di trecento anni" quando si cerca di spiegare perché il Milan è davanti all'Inter in classifica per 2 punti e ha un pezzo di scudetto cucito sulla maglia. Perché – scrive Mario Sconcerti nel suo editoriale su calciomercato.com – bisogna per forza ricorrere a quella che lui definisce una "diversità non sottolineata" per dare un senso ai successi della squadra di Stefano Pioli? È davvero così importante, necessario, dirimente prenderla in esame? Si troveranno davvero tutte le risposte a una stagione e a un lavoro di costruzione di un progetto che oggi sta dando primi frutti in un campionato molto modesto, se raffrontato allo spettacolo offerto dalle inglesi e dalle spagnole? Spazzerà via la convinzione che, se non ci fossero stati anche episodi arbitrali discutibili (il contatto Sanchez-Giroud nel derby o il rigore non dato a Belotti scalciato da Ranocchia e che dire dello sciagurato Serra), oppure la goffaggine di Radu a Bologna chissà come sarebbe la classifica?

Davvero il fatto che nell'Inter ci sia "un unico giocatore nero, Dumfries" rende più chiaro perché in campo è portata "ad avere un gioco lineare, verticale, duro, di buona corsa" rivelandosi un gradino sotto i rossoneri che beneficiano di "cinque/sei giocatori afro-caraibici, più morbidi, spesso tecnici, più istintivi, più potenti"? Una sequenza incredibile di superficialità e di luoghi comuni che sposta le lancette dell'orologio indietro nel tempo di almeno settanta, ottanta anni. Come se fattori quali compattezza di gruppo e chimica di squadra, schemi e caratteristiche di gioco assemblati dal lavoro dell'allenatore e del suo staff, esperienza e personalità, qualità tecniche, la presenza di una società che dà una direzione e tiene la barra a dritta anche nella tormenta, la capacità e la bravura nella scelta di calciatori funzionali all'idea di calcio che si vuol praticare siano, tutto d'un tratto, solo un corredo accessorio.

Certi ragionamenti fanno venire in mente quei manifesti di Boccasile su L'estratto olandese marca Moretto, il miglior surrogato del caffè oppure la Coffee Corporation di Haiti reclamizzata con l'immagine di una donna di colore, sorridente, dalle forme giunoniche che impugna una tazza fumante. Anacronistico e maldestro è il tentativo di risalire a "qualità complementari" alla "maggiore possibilità di completarsi" grazie alla promiscuità delle etnie innestate in maniera tale da avere la squadra perfetta o, almeno, in grado di prevalere sulle altre.

È stucchevole, riflettendo su due squadre che in classifica sono staccate da un margine minimo e tutto può ancora accadere, risalire addirittura ai "neri, bianchi, latini, meticci, mulatti, amazzonici, creoli, bianchi europei" del Brasile oppure "all'arrivo potente degli africani e dai figli dei migranti".

Baggio cos'era, uno scherzo della natura per la classe sopraffina e le caratteristiche che lo hanno contraddistinto? Era forse in parte afro-caraibico e per certi versi un poco nero? E Cruijff, che Brera etichettò come il Pelè bianco, che era olandese ed europeo, da quale ceppo razziale proveniva? E Maradona era forse un concentrato di atleta preparato in laboratorio incrociando nel DNA il meglio delle etnie calcistiche? Totti discendeva forse da un albero genealogico generato da cosa e da chi? Un giochetto strano e una contraddizione in termini che diventa più evidente quando lo stesso Sconcerti – questa volta sul Corriere della Sera – sostiene che il Milan ha trovato in Tonali (faccetta bianca, italiana, europea) quel che con Kessié (faccetta nera, africana) non era riuscito ad avere. E Pioli deve aver visto in un sogno tante navi e un tricolore sventolar per sé.

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Da venticinque anni nel mondo dell’informazione. Ho iniziato alla vecchia maniera, partendo da zero, in redazioni che erano palestre di vita e di professione. Sono professionista dal 2002. L’esperienza mi ha portato dalla carta stampata fino all’editoria online, e in particolare a Fanpage.it che è sempre stato molto più di un giornale e per il quale lavoro da novembre 2012. È una porta verso una nuova dimensione del racconto giornalistico e della comunicazione: l’ho aperta e ci sono entrato riqualificandomi. Perché nella vita non si smette mai di imparare. Lo sport è la mia area di riferimento dal punto di vista professionale.
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