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Ripresa Serie A, Gravina: “C’è chi non vorrebbe giocare per non pagare gli stipendi”

Nell’immediata vigilia dell’incontro con il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, il numero uno della Figc, Gabriele Gravina, esprime le proprie impressioni su quanto accaduto finora. “È un gioco perverso quello di una società che non vuole giocare per limitare i danni. Ho provato solo grande tristezza”.
A cura di Maurizio De Santis
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Parentesi di grande tristezza. È così che il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, definisce questo periodo d'incertezza che ha accompagnato il mondo del calcio italiano verso l'incontro decisivo con il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora. Tristezza perché in questi mesi – al netto della legittima preoccupazione per la pandemia – è passata l'immagine di un movimento frammentato in correnti, in cui prevalgono gli interessi di parte. E quella compattezza mostrata dalla Lega di Serie A nel puntare con decisione verso la ripresa del campionato è stata la classica foglia di fico dietro cui nascondere tante altre magagne.

Una coesione solo apparente e maturata alla luce di una necessità impellente: conti alla mano, un ammanco di 500 milioni di euro (che può diventare di 700 in caso di mancata conclusione della stagione) nel bilancio complessivo è come mettere un pietra al collo e poi lanciarsi a mare. Ecco perché, complice anche la vertenza nei confronti dei broadcaster (in particolare di Sky), i club hanno ripreso a marciare, sia pure in ordine sparso, "divisi ma uniti" verso l'obiettivo: evitare il collasso. Gravina si spinge un po' più oltre e tocca anche un altro aspetto della vicenda.

Per me è stata una parentesi di grande tristezza – ha ammesso il numero uno della Figc durante l'intervento a un convegno svolto all'Università di Bologna – constatare che nel mondo del calcio alcuni facciano di tutto per non giocare, convinti che così non pagherebbero alcune mensilità ai propri tesserati. È un gioco perverso quello di una società che non vuole giocare per limitare i danni. So quanti italiani pensano che non sia il caso di tornare in campo e capisco anche quanto spiaccia vedere delle partite senza pubblico, a porte chiuse. Ma se riparte l’economia del nostro Paese non può non ripartire anche una delle sue industrie più importanti.

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