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L’inquietante testimonianza di Boranga: “Ho visto calciatori prendere una valanga di pasticche”

L’ex portiere di Serie A oggi medico Lamberto Boranga svela cosa succedeva con il doping negli spogliatoi delle squadre di calcio italiane tra gli anni ’60 e la fine degli anni ’80 rivelando le dinamiche di come venivano decise le dosi delle somministrazioni di sostanze dopanti nocive per la salute dei calciatori e che ora, dopo la morte di Vialli, terrorizzano quegli stessi ex giocatori.
A cura di Michele Mazzeo
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L'improvvisa morte di Gianluca Vialli a soli 58 anni per un tumore al pancreas sembra aver scoperchiato un preoccupantissimo vaso di Pandora su tutte le sostanze dopanti che venivano date ai calciatori professionisti in Italia nello scorso secolo. In seguito alla prematura scomparsa dell'ex calciatore di Sampdoria e Juventus, molti suoi colleghi hanno pubblicamente rivelato di avere paura per la propria salute a causa dei tanti "aiutini" presi nel corso della loro carriera. Il primo è stato Dino Baggio, a cui poi sono seguiti tanti altri protagonisti della Serie A negli anni '80 e '90 come Florin Raducioiu, Massimo Brambati, Alberto Di Chiara (intervistato da Fanpage.it) e da ultimo anche il campione del mondo di Spagna '82 Marco Tardelli, e ognuno di essi ha svelato parte di ciò che succedeva negli spogliatoi dei club del massimo campionato italiano in quegli anni dipingendo un quadro abbastanza inquietante. Un quadro che assume contorni ancora più preoccupanti dopo l'ultima testimonianza sul tema fatta dall'80enne Lamberto Boranga che, oltre ad essere stato portiere di numerose squadre di Serie A, B e C tra gli anni '60 e gli anni '80, ha anche le competenze per parlare di doping nel calcio e dell'effetto che quelle sostanze possono avere sugli ex calciatori in quanto medico specializzato in medicina dello sport, cardiologia e medicina interna.

Il suo racconto fatto in un'intervista rilasciata ad Open rivela infatti come già dagli anni '60 l'abuso di sostanze dopanti per migliorare le prestazioni in campo era una pratica molto diffusa: "Ai nostri tempi si prendevano in continuazione pasticchine e pasticcone" dice infatti il classe '42 nato a Foligno che esordì in Serie A nella stagione '66-'67 con la maglia della Fiorentina. Prima degli anabolizzanti (arrivati negli '80) era il Micoren la sostanza che veniva data regolarmente ai calciatori per aumentarne le capacità respiratorie: "Si tratta di un analettico respiratorio, in grado di aumentare l'atto respiratorio, aumentando così la resistenza – spiega infatti Boranga –. Ma il vero problema è quanto si sceglieva di acquisirne: alcuni giocatori prendevano anche 10 pasticche tutte insieme. Sta lì il punto. Di Micoren c'erano anche le gocce, se ne mettevano 10 sulla zolletta di zucchero. Il problema anche lì e che molti calciatori ne prendevano oltre 20 e 30. Quando giocavo a Brescia ho visto compagni che ne prendevano una valanga" ha quindi denunciato l'ex portiere e medico che ha poi ricordato come "l‘utilizzo smodato può avere effetti nocivi anche dal punto di vista epatico e del pancreas".

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Ma dopo, con l'arrivo di nuove sostanze dopanti (non inserite al tempo nella lista di quelle vietate dall'antidoping), la situazione è andata addirittura peggiorando: "Lo stesso meccanismo riguardava anche la creatina: se è accertato che 3 grammi al giorno migliorano l’attività muscolare, 20 grammi cominciano a fare lo stesso effetto di un anabolizzante. Poi negli anni ’80, più o meno anche negli anni stessi di Vialli, arrivarono i corticosteroidi, molto usati: un gruppo di ormoni steroidei sintetizzati nella corteccia del surrene, diventati doping soltanto tempo dopo. Sono farmaci che attivano anche la parte del fegato e del pancreas. Il cortisone è un antinfiammatorio potente, che si somministra in maniera intra-articolare senza grossi effetti nocivi. Ma se si somministra intra-muscolo, come spesso succedeva, entra in circolo in maniera molto più pervasiva. Senza dimenticare il problema delle quantità" ha difatti aggiunto Lamberto Boranga finendo di dipingere l'inquietante quadro di ciò che avveniva negli spogliatoio delle squadre italiane tra gli anni '60 e la fine degli anni '80.

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Lo stesso 80enne ha poi svelato le dinamiche che c'erano dietro le somministrazioni di sostanze dopanti ai calciatori con la responsabilità che, secondo quanto raccontato da chi ha vissuto la vicenda in prima persona prima come calciatore e poi come medico, sarebbe stata dei preparatori atletici e delle società. "Alla base c'era l’incapacità del medico di tenere sotto controllo la situazione. Poi erano gli stessi calciatori che una volta percepiti gli effetti positivi di dosaggi standard sceglievano di prendere quantità del tutto arbitrarie e non certo al ribasso. Il medico viene nello spogliatoio, ti dice ‘questo ti fa bene', tu sei spesso ignorante, non hai un approccio di verifica anche delle controindicazioni e quindi assumi fin quanto pensi ti faccia bene. Ma in molti casi c’è da dire che erano i preparatori atletici il reale problema. Si ergevano a medici, aggirandosi nelle squadre quasi come santoni: ‘Questo fa bene, prendine un po’ di più' – ha infatti rivelato l'ex portiere e medico –. Spesso le società erano le prime a spingere affinché venisse dato ‘qualcosina' agli atleti. ‘Questi ragazzi li vedo un po’ spenti, diamogli qualcosa', era una delle frasi più tipiche" ha difatti chiosato Lamberto Boranga gettando ancora più ombre sull'abuso di sostanze dopanti cui molti calciatori si sono sottoposti tra gli anni '60 e la fine degli anni '80.

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