88 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Il caos del calcio italiano: sta messo così male che fallisce se non gioca 12 partite

Settimana cruciale per il calcio italiano, in ballo non c’è solo la ripresa del campionato ma il futuro dell’intero movimento chiamato a “fare i conti” con se stesso a causa dell’emergenza sanitaria e della crisi economica che ne è scaturita. La Serie A vuol giocare, è questa la determinazione di Figc e Lega dopo il varo del protocollo medico di garanzia. Il Governo prende tempo, le società sollevano obiezioni su tutela della salute ed effetti giuridici di un “rischio incalcolabile”.
A cura di Maurizio De Santis
88 CONDIVISIONI
Immagine

"Non voglio dare l'illusione che il campionato possa riprendere". Illusione è la parola che il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, usa per descrivere la situazione surreale del calcio italiano che vuole andare in campo, deve farlo a tutti i costi perché l'alternativa è il collasso. Non ha mai avuto, né esiste oggi, quello che il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha definito un "piano b" rispetto all'ipotesi che la stagione non riparta e il campionato resti cristallizzato all'8 marzo scorso, giorno dell'ultimo fischio d'inizio (a porte chiuse) mentre l'Italia era nella fase di acuzie dei contagi, gli ospedali saturi di pazienti, le terapie intensive già allo stremo (come il personale sanitario) e la conta dei morti saliva in maniera vertiginosa.

La giornata di lunedì s'è chiusa con la presa di posizione molto netta da parte di sette società (Spal, Brescia, Torino, Sampdoria, Udinese, Bologna e Fiorentina) che, con Inter e Juventus sullo sfondo, rappresenta una voce dissonante dal coro dell'unanimità proposto dal Consiglio di Lega sulla volontà di portare a termine la stagione "qualora il Governo ne consenta lo svolgimento nel pieno rispetto delle norme a tutela della salute e della sicurezza".

Lodevole intenzione rispedita al mittente dallo stesso Spadafora che mercoledì incontrerà i vertici del calcio italiano presentandosi con questo bigliettino da visita: "Non do per certa né la ripresa degli allenamenti né il ritorno in campo per il campionato". Ovvio che si esprima così, lo fa da politico. Teme l'ondata di sdegno che lo renderebbe impopolare qualora permettesse a un'accolita di ricchi, privilegiati e strapagati (è questa la percezione comune dei calciatori) di accedere a trattamenti diagnostici e sanitari (i circa 1400 tamponi a settimana, per esempio) al momento non alla portata di tutti e mentre nel Paese continuano a morire per l'infezione 400 persone al giorno (oltre 23 mila il numero complessivo da quando è esplosa l'emergenza).

Sono dubbi legittimi e non sensazioni ansiogene che ronzano in testa nonostante la determinazione a proseguire sul percorso intrapreso. Criticità sottoposte dai medici degli stessi club al professor Paolo Zeppilli, capo della commissione della Figc che ha redatto il protocollo sugli allenamenti e lo ha consegnato sia al presidente, Gabriele Gravina, sia al Governo. Obiezioni scandite da un altro atto a margine di un lunedì movimentato, una crepa figlia del malessere e della poca condivisione: le dimissioni del dottor Rodolfo Tavana dall'entourage federale.

Non un buon viatico nemmeno in previsione dell'Assemblea di Lega all'interno della quale le società dissidenti metteranno sul tavolo preoccupazione per la salute dei giocatori, dei tesserati e perplessità molto forti sugli effetti giuridici di un nuovo, eventuale stop a causa del covid-19. Cosa succede se un calciatore viene trovato positivo a ripresa avvenuta? Verrà messa in quarantena l'intera squadra oppure si provvederà all'isolamento del singolo? E ancora, fattore tutt'altro che trascurabile: di chi sarà la responsabilità?

Dinanzi a un evento non più imprevedibile (perché la diffusione del morbo e lo stato di pandemia permangono da quasi 2 mesi) e dopo esperienze che hanno toccato lo stesso mondo del calcio (i casi di contagio degli stessi giocatori) i club temono l'assunzione del "rischio incalcolabile" (come lo hanno definito le società discordanti) in egual misura, e anche di più, rispetto alla reticenza dei broadcaster di tenere fede agli accordi economici sanciti sulla trasmissione di "prodotto calcio" e diritti tv da onorare.

Già, i soldi delle tv, la fonte di sostentamento principale dell'intero movimento abituato all'idea del "pochi, maledetti e subito" per sopravvivere, con le big che in virtù del criterio meritocratico prosciugano la maggior parte degli introiti. Anche in questo caso i nodi sono difficili da sciogliere e occorrerà trovare un'intesa per il futuro rispetto alla ritrosia delle emittenti a saldare un pacchetto che hanno già acquistato ma rischia di non essere pienamente soddisfatto. Verrà congelata l'ultima rata, sarà spalmata oppure ci sarà uno sconto rinviato al prossimo anno?

Alla luce di ciò il futuro immediato resta indecifrabile. Quello prossimo potrebbe essere all'insegna di una ripartenza differente, fondata su un nuovo sistema con la riforma e il ridimensionamento dei campionati professionistici. A cominciare da quella Serie A che finora è andata avanti con un progetto sghembo, approssimativo, navigando a vista fino al prossimo porto. Ballando sull'orlo del dissesto, che non può essere più la costante di un'azienda capace di generare indotto miliardario e opportunità di lavoro ma non ha una gestione all'altezza. E oggi sta messa così male che se non gioca 12 partite fallisce.

88 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views