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Gattuso, Napoli – Granada è l’ultimo atto per il tecnico?

Il tecnico calabrese, colpevole di aver trovato un solo assetto redditizio (il 4-1-4-1), ha dimostrato grossi limiti anche sotto il profilo motivazionale. Con gli spagnoli mancherà il suo fido scudiero: Lozano.
A cura di pietrodimajo
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Il (tormentato) rapporto tra Rino Gattuso e il Napoli, dopo circa 14 mesi trascorsi dal tecnico calabrese sotto il Vesuvio, sembra essere giunto al capolinea. Se non contrattualmente, visto che Aurelio De Laurentiis non sembra intenzionato (per ora, ma domani?) a sollevare l’allenatore, sembra si sia arrivati “alla frutta” sia per quello che concerne gli aspetti tecnico-tattici, che sotto il profilo motivazionale.

Le difficoltà a trovare alternative tattiche: unico assetto "credibile" è il 4-1-4-1 (4-3-3?)

La principale difficoltà palesata da Gattuso in questi 14 mesi è stata quella di trovare un assetto alternativo a quello rappresentato dal 4-3-3 di memoria sarriana, che poi è in realtà è stato “rivisto”, divenendo un 4-1-4-1, in cui i tre centrocampisti sono posizionati, nella fase di possesso, in maniera diversa rispetto a come faceva l’ex tecnico di Juve e Chelsea.

Il 4-1-4-1 di Ringhio prevede che, nella fase di costruzione dal basso, il centrocampista centrale si “abbassi” notevolmente, mentre le due mezz’ali sono chiamate ad alzarsi, andando a comporre un quartetto tra le linee di difesa e centrocampo avversario, aggiungendosi ai due  esterni offensivi (quasi sempre Insigne a sinitra e Lozano o Politano a destra), alle spalle del centravanti.

Nella fase di non possesso, il più delle volte e per tanti minuti in ogni gara, quel 4-1-4-1 (o 433 se preferite) si trasforma in un abbottonatissimo 4-5-1, con gli esterni d’attacco chiamati a ripiegare sulla linea dei centrocampisti, al fine di supportare l’azione difensiva, limitando l’azione dei terzini avversari. Una filosofia forse non esaltante, certamente non sintomatica di una volontà di dominare gli avversari e imporre il proprio gioco, ma che ha “appesantito” la bacheca del Napoli pochi mesi fa, con la vittoria della Coppa Italia edizione 2019-2020.

Una filosofia “vincente”, dunque. Alla quale, però, andava trovata un’alternativa. Per una questione di blasone, di obiettivi, di qualità dei calciatori a disposizione. Di una ricchezza numerica e qualitativa nel reparto offensivo da fare invidia alle altre società calcistiche italiane. Ed ecco che allora Gattuso ci ha provato. Fin dall’inizio, nel dicembre 2019, quando schierò il Napoli con un atteggiamento più propositivo e sbilanciato in avanti, con quel 4-2-3-1 poi riposto in soffitta perché, come disse lo stesso Ringhio: “non possiamo permetterci di rinunciare a un centrocampista, perché ogni volta che ci provo andiamo in difficoltà”.

Era dicembre 2019, dicevamo. Più di un anno dopo, analizzando qual è la situazione in casa Napoli, si stenta a trovare delle differenze o dei miglioramenti in tal senso. Ancora oggi il Napoli alterna il 4-1-4-1 al 4-2-3-1 per scoprirsi poi, per una questione di caratteristiche dei giocatori più che di modulo, troppo prudente col primo e troppo sbilanciato col secondo. Fino ad arrivare al paradosso delle ultime settimane (che meriterà un articolo specifico in seguito): sfidare Granada in Spagna e Atalanta al “Diego Armando Maradona” con lo stile che (nei videogiochi di maggior successo e nel linguaggio dei “millennials”) viene definito con “parcheggia l’autobus davanti alla porta”, il catenaccio dei tempi che furono.

Una scelta che in pochi hanno compreso e che quasi nessuno ha condiviso. Una scelta, quella di rinunciare a giocare, che in tanti (tra cui chi scrive) hanno scelto di non perdonare a Gattuso. A tutto c’è un limite e quel limite, nelle ultime settimane, è stato di gran lunga superato. E’ una questione di storia, nome, blasone, obiettivi, qualità della rosa, ambizioni e capacità economica del club che l’allenatore calabrese è chiamato (per ora?) a guidare.

Le (inaspettate?) difficoltà sotto il profilo motivazionale

Tornando quindi al discorso originale e, stabilito che le difficoltà riscontrate da Gattuso a Napoli non riguardano soltanto l’aspetto tecnico-tattico, andiamo ad analizzare quelle che, forse, sono le problematiche più sorprendenti che Ringhio ha fronteggiato in questi mesi e che riguardano l’aspetto psicologico e motivazionale del lavoro di un allenatore. Soprattutto nel calcio di oggi, con la quantità di stimoli esterni che i calciatori ricevono e la conseguente necessità di “cure aggiuntive” da parte del tecnico, sempre più chiamato a essere un vero e proprio psicologo per i suoi calciatori.

Ed è proprio qui che, incredibilmente, casca l’asino. E’ proprio sul piano motivazionale che Gattuso, uno che sotto il profilo dell’agonismo e della voglia non ha mai mollato un centimetro, sembra stia fallendo nell’allenare il Napoli. A dircelo in maniera inconfutabile, ormai, sono i comportamenti dei calciatori in campo, finanche il loro linguaggio del corpo. Stiamo assistendo da 14 mesi a errori individuali, spesso banali, dettati dalla pressione e dall’angoscia di sbagliare.

L’opprimente "martellamento" dalla panchina, Lozano unico a beneficiarne?

Strano? Beh… è sufficiente guardare come Gattuso vive le partite a bordo campo, ascoltarlo durante i 95’ minuti, per quello che dice e per come lo dice, guardare le facce che fa. La paura di sbagliare non vi assalirebbe? Non credete che al bastone andrebbe alternata la carota ogni tanto? E quel 6-0 con la Fiorentina, arrivato dopo che l’allenatore aveva annullato gli allenamenti (per portare la squadra a rilassarsi con un bel pranzo fuori a Ercolano), è stato solo un caso?

Magari no. Magari ai giocatori del Napoli non fa difetto il veleno, la “cazzimma”, la lucidità o l’ambizione. Magari a latitare, almeno in dei casi, è soltanto la tranquillità. La differenza tra un bravo attaccante che fa i gol e un bravo attaccante che non li fa, spesso, risiede nel suo stato mentale. La serenità, la consapevolezza, la fiducia che un allenatore, un ambiente, una società e i compagni riescono a trasmettergli… può essere tanto decisiva quanto un assist perfetto.

Una serenità che sembra mancare a questo Napoli, troppo spesso chiamato a esercitazioni difensive che richiedono una disciplina quasi “militare” e quasi mai a giocare una partita di calcio. Una disciplina che sembra abbia prodotto risultati stupefacenti, invece, con Hirving Lozano, l’unico “soldatino” che sembra trarre quotidianamente giovamento dal “martellamento” continuo, che arriva soprattutto dalla panchina nel corso delle partite. Se Gattuso ha resistito alla guida del Napoli, probabilmente, è proprio grazie al rendimento dell’attaccante messicano. Il vero trascinatore di questa squadra. Per costanza, sacrificio, impegno e apporto in termini di gol. Domani, però, col Granada al “Maradona”… il cavaliere (Ringhio) dovrà andare in battaglia senza il suo fido scudiero (Chucky). Un assenza che sta pesando incredibilmente e che ancor di più potrebbe farlo in futuro.

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