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Fulvio Collovati: “Vi dico perché oggi i difensori non difendono più, come visto in Israele-Italia”

Fulvio Collovati a Fanpage.it ha parlato della nuova Italia di Gattuso e della Serie A che sta per ripartire, delle differenze tra il ‘suo’ calcio e quello attuale, di alcuni episodi della sua carriera da calciatore e di quella da opinionista.
A cura di Vito Lamorte
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Fulvio Collovati è uno degli eroi del Mundial '82 con l'Italia di Enzo Bearzot, quando oltre a vincere la Coppa del Mondo venne incoronato tra i migliori calciatori del torneo. Friulano di nascita ma milanese di adozione, è stato uno dei difensori più forti del calcio italiano negli anni '80 e oggi è uno stimatissimo opinionista.

A soli tredici anni entrò nelle giovanili del Milan, squadra con la quale avrebbe mosso i primi passi nel calcio che conta. Con i rossoneri vinse tutto quello che un ragazzo poteva sognare: il Torneo di Viareggio, la Coppa Italia e soprattutto lo Scudetto del 1979, quello della stella. Collovati era un difensore elegante, preciso, capace di unire marcatura e anticipo con una notevole visione di gioco. Ma con il Diavolo arrivarono anche momenti duri: la retrocessione del 1982 e il peso della fascia da capitano in un periodo complicato. L’estate di quell’anno segnò la svolta, con il passaggio all’Inter, scelta che non tutti i tifosi milanisti gli perdonarono mai. In nerazzurro rimase quattro stagioni, vivendo annate da protagonista in campionato e in Coppa UEFA. Poi il giro d’Italia calcistico lo portò a Udine, Roma e infine a Genova, dove chiuse la carriera con un prestigioso quarto posto e una semifinale europea. Dopo il ritiro, Fulvio Collovati non si è allontanato dal ‘pallone' ed è un personaggio che non passa inosservato, per quanto fatto in campo e fuori: a Fanpage.it ha parlato della nuova Italia di Gattuso e della Serie A che sta per ripartire, delle differenze tra il ‘suo' calcio e quello attuale, di alcuni episodi della sua carriera da calciatore e di quella da opinionista.

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La Nazionale è tornata a vincere due partite di fila dopo un periodo di grande difficoltà: che squadra abbiamo visto con Gattuso?
"A me Gattuso piace. Mi piace perché trasmette grinta, entusiasmo e probabilmente, a parte la prima partita, contro l'Estonia che è abbastanza semplice, la seconda senza questa grinta, questo entusiasmo, non avresti vinta perché una squadra che prende quattro gol poi è difficile che ne faccia cinque. L'ha fatto perché ha sempre reagito, ha preso un gol e ha reagito subito, ha preso un gol e ha reagito ancora. È un stile che incarna il suo allenatore, il suo CT in questo caso, di una squadra che non demorde mai, che soffre, anche se che abbiamo concesso qualche gol di troppo. Con l'Estonia erano state solo potenziali occasioni, con Israele sono arrivate le reti: è chiaro che bisogna farsi delle domande per poter risolvere questa situazione, però quello che contava in questo momento era vincere e ci sarà tempo per sistemare anche la fase difensiva".

Sempre a proposito di Nazionale, facciamo un piccolo passo indietro a Spagna 1982 e a quella splendida vittoria. Non le chiederò nulla sul trionfo ma sul fatto che lei venne inserito nella Top 11 dei Mondiali. Se lo aspettava? Insomma, l’Italia vinse ma in quel torneo c’erano dei calciatori clamorosi…
"Diciamo che venne inserita trequarti di quella difesa, che era composta da Gentile, Scirea e Zoff, oltre al sottoscritto. Al di là dei miei meriti, perché feci un ottimo mondiale, è chiaro che fui agevolato dal fatto che mi ritrovo al fianco di campioni incredibili. Essere al loro fianco anche in questa ‘formazione tipo’ è stato un onore per me".

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Se potesse rivivere un solo momento della sua carriera, sceglierebbe quella notte del Bernabeu o ce ne sono altri?
"Io ho giocato quasi dieci anni in Nazionale e ho fatto due Mondiali. Sicuramente il clou della mia carriera è stato quello, ma per tutti credo e non solo per me. Sono dei momenti e delle sensazioni indescrivibili che non ti porti dietro per tutta la vita. Poi a livello personale è chiaro che ho vinto lo Scudetto con il Milan, la Coppa Italia, però direi che quel Mondiale che è stato indimenticabile per il percorso e per tutto quello che c’è stato prima e dopo".

Torniamo al campo. Abbiamo visto solo due giornate ma qualche indicazione possiamo trarla: che campionato si aspetta quest’anno?
"È un po’ presto ma le indicazioni che ci hanno dato queste due giornate ci dicono che il Napoli è ancora favorito. Ha una rosa importante che dobbiamo valutare anche adesso che iniziano le coppe, perché bisogna vedere la gestione del doppio impegno di Conte e che tipo di approccio avrà. Per me è la favorita.  Poi dopo ci sono tante squadre ancora da decifrare. Per esempio, io sono convinto che il Milan arriverà in Champions ma difficilmente lotterà per lo Scudetto, la Juve è ancora in fase di costruzione mentre l'Inter potrebbe essere la competitor del Napoli, ma i nerazzurri hanno qualche problema difensivo da risolvere. E devono farlo il prima possibile per evitare brutte sorprese".

Ha giocato sia nel Milan che nell’Inter: cosa significa vivere un derby da entrambe le parti?
"Ha tanti significati. Significa lo strapotere cittadino, in caso di vittoria chiaramente, e lo sfottò in caso di sconfitta. È una rivalità che c'è da cent'anni tra due società che giocano spesso per obiettivi più importanti e si accentua quando le due squadre lottano per lo Scudetto, come accaduto negli ultimi anni. Altrimenti è fine un po’ a se stesso. Perché se tu vinci il derby ma magari gli altri hanno vinto lo Scudetto a te rimane solo quello in mano ma gli altri hanno fatto molto più di te. È una partita importantissima e fondamentale, un'emozione unica e particolare, sempre diversa dalla partita precedente".

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È vero che ha avuto problemi a livello familiare dopo il passaggio all’Inter?
"Adesso siamo abituati ai trasferimenti tutti i giorni ma a quel tempo non era una cosa abituale vedere un giocatore che passava dal Milan all'Inter. Non c'erano i telefonini e i social, quindi ho ricevuto qualche lettera poco piacevole, però, al di là di questo, non esagererei. Un po' di contestazione da parte dei tifosi,  che fa parte un po' del mondo del calcio ma non si è andati oltre".

Qualche mese fa è tornata l’ombra delle scommesse sul calcio italiano e lei ha vissuto una cosa simile col Milan. Era del tutto estraneo ma come ci si sente a sapere che qualche compagno agisce in modo non corretto alle proprie spalle?
"Fu un periodo buio e ci mandarono in Serie B, perché allora la giustizia funzionava. Mi sono ritrovato di colpo dalla Nazionale, di cui ero titolare e dove rischiavo il posto, alla Serie B. Fu un periodo buio e vergognoso per certi aspetti, perché mai e poi mai ti immagini che qualche tuo compagno di squadra venda le partite. Rispetto ad oggi, per esempio, in cui si parla di ludopatia perché ci sono tanti soldi, girono molti più soldi rispetto ai nostri tempi, forse ai nostri tempi le tentazioni erano quelle di avere qualche soldo in più e quindi entrare in qualche giro sbagliato".

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Lei ha ribadito più volte che i difensori di oggi ‘non sanno difendere': davvero nel calcio si è persa l’arte della marcatura?
"Sì, assolutamente. Lo si è visto anche contro Israele. Ma per quale motivo? Perché quello che si chiede al difensore oggi è di impostare l'azione e di costruire. Si usano questi termini che mi fanno ridere, come il ‘calcio di oggi'. Come se Franco Baresi e Gaetano Scirea 50 anni fa non lo sapessero fare, invece facevano tutto: impostavano e marcavano. All’epoca la prima cosa che ti insegnavano a livello giovanile era l'arte della difesa e la postura, l'uno contro uno, il saper anticipare l'avversario, saper prevenire e cercare di non essere aggressivo in maniera inutile. Ti insegnavano tutti questi valori, adesso invece a livello individuale, ho l'impressione, perché non vado tutti i giorni a seguire a livello giovanile ciò che fanno tutti i giorni, che gli allenatori che non concentrino più su queste cose".

C’è uno snaturamento del ruolo o è un’evoluzione necessaria?
"A parte la velocità, perché è un calcio indubbiamente più veloce, io non vedo differenze. Anzi, vedo che manca qualità e vedo che il pallone spesso viene dato al portiere, che deve sapere giocare con i piedi perché viene coinvolto sempre di più. Io mi ricordo che avevo avuto un maestro, Nils Liedholm, che mi diceva che quando passi troppe volte il pallone al portiere è vergognoso. La palla va giocata in avanti, non indietro. Per cui l'unico cambiamento che vedo è che vediamo un calcio più veloce, ma dal punto di vista qualitativo non faccio paragoni con quello con cui ho vissuto io. A livello difensivo mi ricordo che mi si diceva, l’anno che ho vinto lo Scudetto con il Milan nel 1979 in cui ho giocato da ‘due’, di marcare e andare. Marcare e andare. Un po' come Tassotti che è arrivato poco dopo. Anche lui non era uno che faceva solo il difensore, marcava e andava. Adesso, invece, mi sembra che l’unica prerogativa sia sempre quella di impostare e ci si dimentica l'uomo come accaduto nell’ultima partita della Nazionale. Israele ha fatto due gol con i calciatori davanti a Donnarumma, erano completamente liberi".

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C’è un difensore che secondo lei incarna ancora la scuola italiana?
"Potrebbe essere Buongiorno, anche se è spesso infortunato. Però lui è uno molto attento a mancare l'uomo ed è bravo anche nell’impostazione".

Da anni Collovati è un opinionista ascoltato e stimato. Le è mai capitato che qualcuno si offendesse per una sua critica in tv?
"Beh sì, ma è normale, assolutamente. Io non ho problemi a dire quello che penso perché non ho parenti e  non ho pelli sulla lingua: per cui se devo esprimere un giudizio lo esprimo ma senza nessuna cattiveria, sono punti di vista. Lo esprimo spassionatamente, però è chiaro che dall'altra parte qualcuno potrebbe non gradire. C’è la tendenza sempre di più a non accettare le critiche mentre gli elogi sono sempre ben accettati".

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