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Davide Astori esempio di normalità: ancora unisce a tre anni da una morte ingiusta

Il giorno di Udinese-Fiorentina del 4 marzo 2018, Davide Astori viene trovato morto nella camera del ritiro della Viola. Da quel momento un calciatore e una persona normale diventa eccezionale, capace di unire e non dividere tifoserie, città, persone. Questo è il grande lascito di Astori, capace in vita e dopo la morte di farci pensare come straordinaria la normalità.
A cura di Jvan Sica
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Davide Astori non era un calciatore eccezionale, uno di quelli che hanno i fan club personali e diventano miti e riferimenti per una generazione. Non era nemmeno un personaggio sportivo-mediatico di una certa fama, quella fama che tutti bramano con l’ardito desiderio che non passi mai (ma poi succede e ti trovi all’Isola dei Famosi). Non era nemmeno uno di quelli che mettevano se stessi davanti al gruppo, per mostrare che loro erano davvero speciali.

Insomma Davide Astori era un calciatore e una persona che era corretto definire normale, eppure oggi lo ricordiamo tutti, individui singoli, tifosi o non tifosi delle sue squadre, compagni e media con una forza d’urto capace ancora di emozionarci, di toglierci il fiato per il dolore e il senso di impotenza e ingiustizia davanti al fato.

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Essere normali per un calciatore non deve essere una cosa semplice. Pressioni stratosferiche a cui nessuno di noi avrebbe mai una giusta distanza, responsabilità terribili a cui, è vero, sei abituato fin da bambino ma che diventano ogni partita più grandi e sotto cui noi sprofonderemmo in un attimo, esigenze personali e familiari che spesso vengono dopo quelle di squadra e di gruppo, perché il calcio si gioca su equilibri sottilissimi ed essere dentro o fuori da determinati contesti ci si mette davvero poco.

Ballare su questo filo elettrificato è di una difficoltà abnorme per tutti ed è un attimo a voler essere meno o più di se stessi. I calciatori come Davide Astori invece sono essenzialmente se stessi, nel senso che noi non ne percepiamo una patina di colore posticcio, sapendo dimostrare fragilità, voglia di competere, desiderio di vincere e paura controllata della sconfitta. Ecco perché a tre anni dalla morte di Davide pensiamo ancora a quanto sia stato ingiusto per un uomo normale morire per qualche motivo eccezionale e infido.

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Oggi Davide Astori è ricordato ovunque abbia giocato e non solo nella sua ultima squadra, la Fiorentina, di cui era anche capitano. Difficile che le città del calcio si connettano per un’ideale, ancora più difficile che lo facciano per un calciatore. Difficile condividere l’amore per un calciatore perché quasi sempre questo sentimento è anche un moto di opposizione nei confronti di altre squadre. Astori invece è pensato dai tifosi del Cagliari, della Roma e della Fiorentina non come un monumento personale che tende a escludere, ma seguendo una sensazione dolorosa che include, chiede partecipazione e sostegno.

Forse è proprio questo il piccolo miracolo che ha saputo fare un calciatore e una persona normale, creare qualcosa di eccezionale e quasi impossibile. Sarà per sempre così e se questa ovattata sensazione di sofferenza non se ne andrà davvero mai, almeno resterà il legame che unisce chi ha visto un calciatore normale diventare un esempio.

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