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Dario Hubner a Fanpage.it: “La mia vita, un gradino alla volta. Avrei voluto giocare con Higuain”

Dario Hübner è uno dei calciatori più iconici della Serie A a cavallo dei due millenni e dopo una canzone a lui dedicata è arrivata un’autobiografia, che ripercorre tutta la vita del Bisonte friulano. L’ex attaccante di Brescia, Piacenza e Perugia a Fanpage.it ha parlato della sua carriera, ha smontato qualche falso mito sulla sua reputazione e del suo unico rimpianto: “Una convocazione o una presenza in Nazionale sarebbero stati il coronamento di un percorso”.
A cura di Vito Lamorte
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Ci sono calciatori che riescono ad entrare nell’immaginario degli appassionati e dei tifosi pur non militando nelle big e a dispetto di chi dice che nel calcio conta soltanto vincere. Non è così e la dimostrazione vivente che distrugge questo assioma è certamente Dario Hübner. Prima una canzone, ora un libro. L’attaccante ex Brescia, Piacenza e Perugia, a quasi dieci anni dalla sua ultima partita ufficiale, si è raccontato in una autobiografia titolata "Mi chiamavano Tatanka", edita da Baldini+Castoldi, e a Fanpage.it, oltre a soffermarsi su questa nuova esperienza editoriale, ha parlato della sua carriera e ha smontato qualche falso mito sulla sua reputazione. Tra dilettanti e professionisti Hübner ha messo a referto più di 300 gol indossando 15 casacche e conserva ancora oggi un primato: il Bisonte è stato l’unico giocatore, insieme a Igor Protti, ad aver vinto la classifica cannonieri dei tre maggiori campionati italiani (Serie A, B e C1).

Prima era un modo per iniziare la conversazione in maniera più amichevole ma ora è una cosa importante: come sta Dario, dove sta trascorrendo questo brutto periodo?
"Sono a casa mia a Crema dal 20 di febbraio e sono in mezzo all’epicentro lombardo di questa epidemia. Fuori il tempo è bello ma dobbiamo stare a casa e ascoltare le indicazioni delle istituzioni e degli enti sanitari, facendo cose che prime non facevano abitualmente o non avevamo tempo per fare".

Nella sua carriera aveva mai pensato che un giorno tutto il suo percorso calcistico sarebbe finito in un libro?
"Io ho fatto una vita un po’ particolare perché quando uno lavora fino a vent’anni poi non crede di avere l’opportunità di fare il giocatore di calcio per professione. Mi sono guadagnato tutto partendo dalla Prima Categoria e passando poi all’Interregionale, la C, la B e poi la Serie A: un gradino alla volta, meritandomi tutto sul campo. Tanti mi vedono come una persona normale che ha fatto una cosa grande e mi vedono come un esempio: poter mettere tutto in un libro è stata una bella esperienza. Mi sono divertito a ricordare un sacco di episodi che nemmeno avevo più bene in mente".

In tanti l’hanno sempre etichettata come uno che fumava e beveva ma in realtà, vizietto a parte, lei è sempre stato un professionista esemplare: vogliamo sfatare questo mito?
"Io ero uno che fumava, la sigaretta era un vizio, e quando avevo voglia di farlo lo facevo senza nascondermi. All’epoca non c’era il divieto e lo facevo senza problemi. Alcuni miei compagni si nascondevano per timore o per non farsi vedere ma se uno è fumatore non fa del male a nessuno. Sicuramente non fa bene ma io ho sempre fatto una vita normale e da atleta: mi allenavo come tutti gli altri, non facevo tardi e nel tempo libero stavo con la mia famiglia. Oggi, purtroppo, chi la spara più grossa ha tanta visibilità".

C’era un periodo in cui la Serie A era ricca di “bomber di provincia”, esistono ancora?
"Negli anni ’90, inizio 2000, c’erano tanto attaccanti forti e tutti italiani. I vari Schwoch, Tovalieri, Marulla e tanti altri; erano punte che giocavano in Serie B pur essendo molto forti perché in Serie A giocavano dei mostri. Io ho fatto cinque anni di B perché in A giocavano dei fenomeni e pian piano mi sono dovuto fare spazio. Quello che mi preoccupa è sul fatto di vedere pochi italiani ma negli ultimi anni qualcosa si è mosso. In quegli anni lì era talmente alto il livello che era difficile affermarsi subito nel grande calcio e lo stesso valeva per la Nazionale".

Lei e Igor Protti siete gli unici ad aver vinto la classifica cannonieri in Serie A, B e C: crede che sia possa verificarsi ancora questa situazione, oppure fa parte di un calcio che non c’è più?
"Credo di sì. Lavorando su se stessi si può sempre migliorare ma oltre al fiuto del del gol bisogna avere anche una squadra che ti metta nelle condizioni di fare gol sempre. Ovunque ho giocato ho sempre avuto dei giocatori intorno a me che mi mettevano nella condizione di calciare in porta. Ci sono esempi anche in Serie A: Immobile fa gol a caterva ma ha un squadra che lo aiuta, Belotti lo scorso anno era implacabile ma quest’anno il Torino non gira e anche lui fa fatica ma non per questo lui ha dimenticato come si fa gol. Si ricorda sempre l’attaccante che fa tanto gol ma se questo accade un buon 75-80 % è frutto del lavoro della squadra".

Lei ha esordito in Serie A lo stesso giorno di Ronaldo e ha fatto prendere un bello spavento al pubblico di San Siro: cosa significa per un tifoso nerazzurro fare gol all’Inter?
"La mia prima giornata da calciatore di Serie A è stata molto particolare. Per prima cosa ho giocato davanti a 80mila persone e io non ero affatto abituato ad una situazione del genere, a Cesena giocavo con 20mila e mi sembravano già tante. Quando uscimmo sul prato di San Siro per vedere il terreno di gioco prima della partita è stata una soddisfazione veramente bella".

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Il suo Brescia era una squadra fatta da tanti giocatori importanti: quali sono i ricordi che porta con sé di due fuoriclasse come Baggio e Pirlo?
"Ho giocato con tantissime persone e tutti mi hanno lasciato qualcosa, dalla Serie C alla A, non dimentico nessuno. Le piccolezze e i segreti li ho appresi da tutti. Io metto allo stesso livello i top e tutti gli altri perché ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa".

La tournée con Milan negli States sembrava il preludio al suo passaggio in rossonero: vuole parlarci della storia, da lei già smentita, della sigaretta e della lattina di birra nell’intervallo che avrebbe pregiudicato il suo trasferimento?
"È una storia falsa e sono ricorso alle vie legali perché hanno messo in mezzo Abbiati che era convocato per i Mondiali del 2002 e soprattutto perché fumare nello spogliatoio del Milan non sarebbe stata una mossa intelligente da parte di uno che era ospite del club per una tournée e poteva giocarsi qualche chance per restarci. Non mi sarei mai permesso per rispetto del Milan e poi non avrei mai sciupato una grande occasione per un barattolo di birra e una sigaretta. Non l’avrei mai fatto".

La Nazionale è il vero rimpianto della sua carriera?
"Mi sarebbe piaciuto tantissimo, una convocazione o una presenza sarebbero stati il coronamento di un percorso. Non è successo, pazienza. Se guardiamo gli ultimi dieci anni quanti hanno vestito la maglia azzurra e poi sono spariti una presenza in Nazionale potevo farla anche io".

Chi sono gli attaccanti italiani di questo periodo storico che le piacciono di più e perché?
"Mi piace molto Belotti. Un combattente, uno che si impegna e dà il cuore. Non protesta mai e mette tutto quello che ha sempre. Anche Immobile ha delle qualità che mi piacciono e ha trovato una squadra che da qualche anno gira alla grande. La speranza è di averli nella forma migliore l’anno prossimo quando ci saranno gli Europei e che ci diano qualcosa in più".

Con quale attaccante di oggi avrebbe voluto giocare?
"Probabilmente in coppia con Ibrahimovic avremmo fatto tantissimi gol ma mi sarebbe piaciuto giocare con Higuain, è un calciatore che mi piace molto. Invece sugli attaccanti del passato ho sempre ammirato Karl-Heinze Rummenigge, ma forse non saremmo stati molto compatibili perché entrambi ci muovevamo molto. Credo che con Spillo Altobelli, uno che amava l’area di rigore, avremmo formato una coppia più completa".

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