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Cosa sta cucinando Luis Enrique col PSG per sfidare l’Inter: un vortice di calcio ipertecnico

Luis Enrique ha forgiato il Paris Saint-Germain secondo idee molto innovative: ecco cosa si ritroverà davanti l’Inter in finale di Champions League domai sera.
A cura di Jvan Sica
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Cosa è stato e cosa è oggi Luis Enrique come allenatore? Questa è una domanda fondamentale per la partita che dovrà affrontare l’Inter perché cercare di scovare il mistero Luis Enrique potrebbe essere il primo passo per vincere la Champions League.

Nel 2008, praticamente lo stesso giorno in cui Guardiola passa dal Barcellona B alla squadra che cambierà la storia del calcio, Luis Enrique ne prende il posto. Questo passaggio di consegne aveva un intento molto chiaro, almeno per chi dall’esterno guardava anzi ammirava il processo: mentre Guardiola va a costruire la squadra delle meraviglie, in cui la difesa della propria porta passa attraverso il possesso del pallone (questa la vera, incredibile rivoluzione), Luis Enrique doveva fare da una parte l’apprendista di bottega, imparando il verbo, e dall’altra l’allevatore in una scuderia di preparazione, per continuare a foraggiare la casa madre di talenti.

Già in una situazione del genere in realtà fa qualcosa di più, perché prima raggiunge la Segunda División e poi i playoff per salire in Liga, che non potrà ovviamente disputare essendoci già al piano di sopra la squadra A, ma che è comunque il risultato massimo per la squadra satellite dei blaugrana. Con l’etichetta di Guardiola in potenza o in minore, scegliete voi, va a Roma e qui si inizia a ballare. I dirigenti giallorossi al tempo fanno un’equazione molto americana: il miglior calcio di oggi lo fa Guardiola, il primo figlio tattico di Guardiola è Luis Enrique, prendiamolo.

Qui però avviene una crisi di rigetto per i motivi più disparati. In parte il giacobinismo della nuova frontiera allarma i conservatori, poi c’è una vecchia guardia che vorrebbe il nuovo ma in fondo è così comodamente adagiata su ‘antiche' certezze, infine c’è un ambiente che inizia a criticare la voglia di insegnare il futuro, una sorta di attacco di retromania tifosa che lo inchioda per ogni piccolo sgarro. Dopo un anno assurdo, Luis Enrique si rituffa nell’hispanidad con il Celta Vigo e nel 2014 arriva dove doveva arrivare, al Barcellona.

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L’idea di tutti era che dopo Tito Villanova, costretto a lasciare per la malattia e la parentesi molto “messiana” dell’argentino Gerardo Martino, Luis Enrique avrebbe dovuto rinverdire il guardiolismo nella sua quasi purezza. Ma come rifare la squadra di Guardiola con Xavi e Iniesta ancora giganteschi ma con una marcia in meno, un centravanti vero, Luis Suarez, invece dello spazio e soprattutto Messi e Neymar poco vogliosi di applicarsi senza palla? Di fronte a questa situazione, anche per non ripetere quello che era accaduto a Roma, Luis Enrique riesce a sterzare di 180°, mantenendo i principi del gioco di posizione ma chiedendo meno in applicazione e molto in creatività ai suoi tre tenori offensivi. Grazie a questa sua flessibilità il tecnico vince tutto, con un Triplete durante la sua prima stagione.

Quando il ciclo finisce Luis Enrique fa un’altra scelta interessante, diventa Commissario tecnico della Spagna. Anche in questo caso si esce dal guardiolismo diffuso e dal caos dell’allontanamento di Lopetegui a pochi giorni dal Mondiale di Russia 2018. Serviva quindi un aggiustatutto, come per il Barcellona, e in parte Luis Enrique ci riesce, guidando la squadra verso una dolce transizione, mentre deve anche vivere una tragedia personale devastante, come la perdita della figlia Xana.

Dopo diverse esperienze in cui Luis Enrique è stato chiamato soprattutto per ricomporre fratture, ammodernare sistemi e ristrutturare volontà, nel 2023 arriva al Paris Saint-Germain, la prima squadra della sua carriera in cui può veramente costruire dalle fondamenta e non semplicemente riassettare senza toccare i pilastri. Con un giocattolo completamente nuovo fra le mani costruisce una squadra che fa tante cose solo intraviste prima. Per citarne alcune: tra quarti e semifinali di Champions League i due “terzini” della squadra, Hakimi e Nuno Mendes hanno segnato quattro gol, occupando la posizione di centravanti.

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E il centravanti di fatto? Beh, sarebbe una precedente ala molto spesso sconclusionata che quest’anno ha già segnato 33 gol. Inoltre la squadra gioca con un continuo tourbillon di esterni che poi diventano tanto altro e l’allenatore non gli chiede semplicemente la larghezza o la superiorità numerica saltando l’uomo, ma una creatività molto più diffusa e anche coraggiosa. Infine, il vero capolavoro è il centrocampo ipertecnico affidato a Fabian Ruiz, Vitinha e Joao Neves, tre calciatori che avrebbero serenamente potuto giocare con la maglia numero 10 e che invece corrono, difendono e soprattutto gestiscono la palla senza far calare mai il ritmo di gioco, la vera nuova frontiera del calcio post-guardiolano. Non si difende più controllando il ritmo della gara, tenendo il pallone per poi accelerare, ma si difende provando continuamente l’aggressione dell’avversario.

Cosa cucinerà quindi Luis Enrique per la finale di Champions League? Difficile che cambi idea su uomini e impostazione generale. Per la prima volta l’allenatore spagnolo ha la squadra che ha sempre cercato e che sembra giocare nel 2030 inoltrato. Ovviamente anche il futuro si può battere e all’Inter servirà la solita gara perfetta (perché l’Inter è lì grazie alla sua perfezione) in ogni situazione per portare a casa il trofeo. Una poesia di Mario Luzi descrive perfettamente quello che gli uomini di Inzaghi dovrebbero essere: “L’avvenire è pressante, chiede uomini / non sopravvissuti, non fuggiaschi, / ma padroni di sé nel cuore del fuoco”. Servono uomini nel cuore del fuoco, solo così si può battere la creatura di Luis Enrique.

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