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Coronavirus, Gasperini: “È come la peste, ma per me dovevamo andare avanti a porte chiuse”

Il punto di vista di Gian Piero Gasperini, allenatore dell’Atalanta, sui riflessi dell’emergenza Coronavirus nel mondo del calcio e sulla sospensione di tutte le competizioni in Italia: “È come la peste, mi chiedo cosa potrebbe accadere a a Roma e Napoli. Il calcio è anche un antidepressivo, bisognava andare avanti con le porte chiuse”.
A cura di Redazione Sport
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Una delle province d'Italia più colpite dall'emergenza Coronavirus è quella di Bergamo. Non a caso i giocatori dell'Atalanta hanno dedicato la vittoria in Champions League contro il Valencia, e la conseguente qualificazione ai quarti di finale, alla città orobica. Gian Piero Gasperini sa di cosa si tratta, lo sta vedendo con i suoi occhi giorno dopo giorno, nella quotidianità. E ha raccontato la sua esperienza sulle pagine del ‘Corriere dello Sport'.

“Nelle strade ci sono i posti di blocco, la percezione del dramma adesso è completa. La peste, è come la peste. La nostra vita è cambiata, la vita di tutti è cambiata. Un mondo rovesciato. Ho visto che hanno spostato le partite di Europa League, tra un po’ toccherà anche alla Champions, immagino. […] Per quel che ci riguarda, nel giro di poche ore siamo passati dalla gioia per aver realizzato una grande impresa alla consapevolezza di vivere qualcosa di inimmaginabile. Sento soltanto le sirene delle ambulanze. State a casa, state in famiglia, non uscite. E da queste parti, in Lombardia, siamo sufficientemente organizzati, pur se in difficoltà. Mi chiedo cosa potrebbe accadere a Roma, a Napoli”.

Il riferimento a contesti diversi rispetto alla Lombardia, come Roma e Napoli, è già stato oggetto di reazioni risentite sui social. Le parole di Gasperini hanno fatto discutere, così come il suo punto di vista sullo stop decretato per tutte le attività sportive, tra cui il calcio.

“Avevo gradito quel passaggio del primo decreto che consentiva al calcio professionistico di proseguire a porte chiuse, perché la funzione sociale del calcio soprattutto in situazioni di emergenza è chiara. Il calcio come antidepressivo, come forma di sopravvivenza, è così che lo considero. […] Hanno voluto dare un segnale forte, bah. Bisognava andare avanti con le porte chiuse, io la penso così”.

Parole che risuonano surreali, nel contesto di un'Italia piegata dall'emergenza e ad un passo dal lockdown totale.

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