
Se puoi permetterti di spendere 50 milioni (tra prestito oneroso e obbligo di riscatto, con tutto quel che comporta a bilancio) e piazzarne altri 5 a stagione per 5/6 anni sul piatto di Hojlund, colmando una falla che all'improvviso s'è aperta in rosa (l'infortunio di Lukaku ad agosto), significa una cosa sola: sei una società sana che ha abbastanza liquidità in cassa per fare all-in quando la situazione lo richiede. Basta questo per ridimensionare l'intera narrazione di Antonio Conte sul Napoli che è inferiore alla Juventus, all'Inter e al Milan quanto a investimenti. Che sembra una Cenerentola a cui lui, il principe azzurro, ha messo al piede la scarpetta e tolto gli abiti cinerini e logori è una balla assoluta. Se c'è un modello finanziario che abbina auto-sostenibilità a crescita costante e risultati è proprio il percorso intrapreso da Aurelio De Laurentiis che ha portato la sua creatura stabilmente in Europa e ne ha consolidato la presenza nelle primissime posizioni della Serie A. E il fatto stesso che abbia scelto il più juventino e costoso degli allenatori (sull'uscio ce n'era un altro, Allegri, se lui avesse mollato) è la riprova di quanto l'impiego di capitali guardi altri orizzonti. Prospettive che, certo, potrebbero allargarsi e rafforzarsi con asset quali stadio di proprietà e centro sportivo ma la storia dice che con Conte e per merito del grande lavoro di Conte, il Napoli ha continuato (non iniziato) a vincere. Che non può (non è pronto per) comandare significa tutto e niente: il club partenopeo non "deve comandare" o "deve vincere per forza", ma è innegabile che, almeno in Italia, abbia sicuramente tutti gli strumenti per competere. Che in questa stagione abbia fatto fronte a difficoltà oggettive (la lunga sequenza di infortuni) e sia stato costretto spesso a fare di necessità virtù, perdendo punti, serenità e brillantezza a causa anche degli impegni in Champions, è l'unico aspetto su cui ha ragione. Ma era da mettere in conto, così come gli va dato atto d'essere stato bravissimo a trovare soluzioni efficaci.
È vero, il Napoli non è oggettivamente "strafavorito" per cucire con certezza un altro scudetto (il secondo di fila, il terzo in 4 anni) sulla maglia anche alla luce di una serie di fattori esterni che ne hanno frenato il rendimento, scombussolato i piani (gli acciacchi gravi a colonne come De Bruyne, Lukaku poi Anguissa) e obbligato a reinventarsi in corsa. D'altro canto, non ce l'avresti mai fatta a rialzarti e a restare in mezzo al ring a combattere se non avessi avuto ottime risorse a cui attingere.

I bilanci sono sotto gli occhi di tutti e il riverbero che restituisce il valore espresso dal campo è la riprova di come non sia un'eresia credere che il Napoli abbia l'obbligo di concorrere per lo scudetto, che è giusto collocarlo nelle squadre di primissima fascia, che non sta facendo alcun "miracolo" ma solo ciò che è lecito attendersi da una squadra che costa più di tutte in Serie A, compreso il suo allenatore che è il più pagato tra i colleghi: 240.5 milioni di euro, più della Juventus (235.2 milioni), del Milan (197.4 milioni), dell'Inter (194.7 milioni) e della Roma (163.5 milioni). Cifre che fotografano il costo allargato della rosa, calcolato sommando le spese annuali per ingaggi e peso dei cartellini, e collocano gli azzurri davanti a tutti.
Come si arriva a quell'importo? Per somma degli stipendi il Napoli è terzo (110.1 milioni di euro) e se ha un costo della rosa così elevato complessivo è per il monte degli ammortamenti che la società iscrive a bilancio a quote decrescenti (le prime due stagioni hanno un peso maggiore rispetto ad altri club). È il motivo paradossale a causa del quale, pur avendo i conti a posto, sufficiente disponibilità di cassa (200 milioni) e uno stato patrimoniale florido, la Commissione indipendente che vigila sui conti dei club professionistici gli ha imposto paletti sul mercato di gennaio.
Stipendi, ammortamenti e commissioni non devono superare l'80% dei ricavi: un calcolo che in Italia non è tarato sull'anno solare (come il Fair Play Finanziario Uefa), né sulla stagione sportiva ma su lasso di tempo (ottobre 2024 – settembre 2025) che è il periodo peggiore per un club, in particolare come il Napoli che ha fatto molto mercato nella scorsa estate con l'arrivo dei 9 nuovi calciatori innestati nella rosa dello scudetto. Se il Napoli li ha acquistati, però, è perché poteva farlo. E Conte, al netto del suo personaggio e delle comprensive strategie di comunicazione, non ha scuse.