Carlo Pallavicino: “Marchisio mi lasciò dopo una cena. Il metodo Lotito: ore d’attesa e 4 telefoni”

Tra sogni, contratti e trattative miliardarie, Carlo Pallavicino è stato uno dei procuratori più noti del panorama calcistico italiano degli ultimi vent'anni. Nel suo libro “Ci Chiamavano Sciacalli – La vita di un giovane procuratore nella giungla del calciomercato” edito da Baldini+Castoldi, racconta con ironia e sincerità la sua avventura nel mondo del pallone e del calciomercato: dagli esordi da tifoso davanti al Totocalcio alle trattative con campioni come Careca, Pandev, Donadoni e Ronaldo il Fenomeno. A Fanpage.it l'ex procuratore fa un viaggio dentro la passione viscerale per il calcio, con uno sguardo lucido su un mestiere spesso frainteso, sospeso tra romanticismo e spietate logiche di mercato.
Pallavicino, perché i procuratori sono spesso visti come ‘il male del calcio'?
"Perché sono arrivati tardi, in un mondo già organizzato. E quando è diventato necessario avere un consulente, sono stati percepiti come estranei e spesso sovrastimati economicamente".
Fare il procuratore significa bilanciare passione e affari, giusto?
"Esatto. Io sono partito dalla passione per il calcio, volevo far crescere i giocatori sul piano sportivo più che economico, almeno prima della legge Bosman".

Come conciliare l’amore per il calcio con il ruolo di procuratore?
"Io nasco tifoso della Fiorentina e ho continuato a tifarla anche da procuratore. La passione resta, ma bisogna gestirla professionalmente. Alcune situazioni, come le mie con Benito Carbone o Marchisio, dimostrano quanto sia difficile mantenere equilibrio".
Cosa accadde con Benito Carbone e Marchisio?
"Io avevo creduto in Carbone fin da giovanissimo e lo seguivo con grande passione, ma dopo il passaggio al Napoli mi venne strappato da un collega in cambio della restituzione di un’auto rubata. Claudio Marchisio, che era uno dei miei punti fermi, mi fece telefonare dal padre per dirmi che aveva scelto di non proseguire con me il rapporto di lavoro. La sera prima eravamo a cena insieme e il giorno dopo mi fece chiamare".
Qual è l’affronto più grande che un procuratore può ricevere?
"Quando una società non ti fa entrare o un calciatore tradisce la fiducia. Ti accorgi subito dove sta la tua statura professionale".

Le opportunità e i rischi nel calciomercato?
"Quando ho iniziato, non c’era neanche un albo. Essere un outsider era difficile, ma chi lavorava bene veniva riconosciuto. Oggi le opportunità si sono ridotte e tutto è più mediatico".
Come vedi il ruolo dei procuratori oggi?
"L’idea educativa è morta. Oggi contano più le scuderie di calciatori e l’apparire sui social che la gestione della carriera sportiva. Il mediatore però è ancora vitale. Mi spiego, la figura del "procuratore" inteso come educatore e costruttore di carriera per i giovani sia ormai estinta. I genitori spesso agiscono da procuratori, e l'attuale contesto rende difficile per un agente essere totalmente sincero con il calciatore e la sua famiglia".
Pallavicino ebbe un ruolo importantissimo nell'operazione che portò Ronaldo all'Inter nel 1997: com'è stata la trattativa per portare il Fenomeno in Italia?
"Complessa. Il Barcellona voleva gestire il diritto d’immagine ma con Branchini siamo stati inflessibili: tutte le tasse dovevano essere pagate. Alla fine, Ronaldo arrivò all’Inter rispettando tutto correttamente. La trattativa con il Barcellona fu complicata ma Giovanni (Branchini, ndr) insistette per la massima trasparenza fiscale, garantendo a Ronaldo un contratto regolare che lo ha reso uno dei pochi campioni senza problemi con il fisco in Spagna. Sembra banale e normale, ma visto quello che ogni tanto viene fuori, non lo è".

Negli anni '90-2000 tutti hanno parlato dell'aura che avvolgeva Luciano Moggi in merito al mercato: che rapporto aveva con lui e se ha mai dialogato per un calciatore?
"Moggi era un grande osservatore e sapeva creare un’aura di potere e attenzione su di sé. Non avevamo rapporti intensi, ma insegnava a non trascurare nulla e nessuno".
La trattativa più complicata?
"Pandev-Lazio. Lotito è un osso duro e non era scontato l’esito. Quando in tribunale, e grazie all’avvocato Grassani, liberammo Goran Pandev, il miglior calciatore della Lazio di allora, costretto ad allenarsi da solo senza mai vedere il campo per mesi. Fu un giorno bellissimo. Da quel momento, però, Lotito mi chiuse per sempre le porte della Lazio".
Si parla spesso del modus operandi di Lotito: è così difficile trattare col presidente della Lazio?
"Lotito ti lasciava per ore in attesa di presentarsi e travolgerti con i suoi monologhi. Provavi a farlo notare, presidente siamo qui da ore…balbettando un vago malumore, sperando di metterti nella posizione di vantaggio di chi aveva sprecato un giorno nell’attesa così da meritare qualcosa. Ti rispondeva: ‘Che cazzo vuoi, ero in Parlamento a lavorare per il Paese!'. Quattro cellulari davanti, tutti accesi, tutti aperti. Gestiva quattro conversazioni contemporanee, come uno scacchista impegnato in una simultanea. E intanto parlava con noi di contratti. Capitava che si facesse ripetere qualche frase".

E la trattativa più soddisfacente?
"Io ho iniziato dal mercato minore e porto sempre con me l'operazione di Luca Vigiani alla Pistoiese in Serie C, dandogli una seconda possibilità. Lui aveva avuto problemi e con quella trattativa ebbe una seconda possibilità. Non sempre la trattativa più redditizia è quella più importante".
Ultima curiosità: le nuove regole della FIFA per i procuratori sportivi tra tetto massimo alle commissioni e all'ingaggio del giocatore. Cosa ne pensa?
"Non le vedo male, ma serve che la FIFA faccia rispettare le norme e limiti l’abusivismo e le zone grigie delle mediazioni".