Beppe Bergomi: “Ero timido e introverso quando mi cercarono da Sky. Dissi loro: ma siete sicuri?”

La Serie A apre il sipario questo weekend con le squadre che sono ancora alle prese con gli ultimi colpi di calciomercato. La stagione sarà, al solito, lunga e piena di insidie per tutte le società, ma Il Napoli di Conte è pronto a difendere il titolo, l'Inter di Chivu è in cerca di una nuova identità, mentre Allegri ha il compito di riempire San Siro e far sognare i tifosi del Milan. Per cercare di capire meglio cosa sta per succedere abbiamo parlato con Beppe Bergomi, bandiera dell’Inter di ieri e voce tecnica per Sky Sport da oltre due decenni. Sky trasmetterà tre partite su dieci a giornata della Serie A, oltre alla UEFA Champions League, che dal prossimo 16 settembre prenderà il via con quattro italiane in campo dopo i play off dei preliminari.

Dopo tanti anni di esperienza, hai ancora l’emozione della prima volta?
Sì, esattamente come quando ero calciatore. La nuova stagione porta sempre grande entusiasmo e un po' di brivido, ma è il bello. Ogni volta che si ricomincia e c’è sempre un po’ di tensione, quella sensazione che ti dice che stai per rimetterti in gioco. Come le farfalle nello stomaco. Anche se hai fatto questo mestiere per anni, la differenza la fa sempre la preparazione: devi arrivare davanti al microfono con le idee chiare, con dati, storie e curiosità, ma soprattutto con la capacità di non essere mai banale. E questa è la sfida più grande, perché chi ascolta da casa si accorge subito se stai improvvisando. Poi, certo, l’esperienza ti aiuta a gestire meglio le emozioni, ma quella piccola farfalla nello stomaco resta sempre. Ed è giusto così, perché vuol dire che hai ancora passione.
Qualche mese fa tu e Fabio Caressa siete stati molto discussi per la telecronaca della semifinale contro il Barcellona. C’era chi vi accusava di essere troppo “tifosi”. Come hai vissuto quelle critiche?
Ormai le critiche fanno parte del nostro lavoro. Viviamo in un mondo in cui è quasi più di moda il “tifo contro” che il tifo vero e proprio, e allora capita che qualcuno ti attacchi a prescindere. Ma se andiamo ad analizzare la telecronaca, era una telecronaca fatta bene: ritmo, entusiasmo, partecipazione. Era una partita incredibile, con emozioni continue, e noi abbiamo trasmesso quelle emozioni. È normale che chi non tifava Inter l’abbia percepita diversamente, ma chi ama il calcio in generale si è divertito. Io sono lo stesso che qualche anno fa ha raccontato Juventus-Atletico Madrid 3-0, esultando con la stessa intensità la tripletta di Cristiano Ronaldo: non esistono preconcetti, esiste la partita che hai davanti. Certo, ci sono tre livelli: quando commenti una gara di Serie A tra due italiane, devi mantenere equidistanza; quando è una squadra italiana in Europa, ci sta spingere un po’ di più; e poi con la nazionale, è normale che ci sia partecipazione. La cosa importante è che l’azienda (Sky, nda) ti affidi partite di prestigio, e se lo fa vuol dire che apprezza il tuo lavoro.

Andando invece alla finale, oggi ti sei spiegato cosa sia accaduto?
Già dal giorno prima sentivo che sarebbe stata una gara complicatissima. Ci sono squadre che hanno un livello superiore: Real Madrid, Barcellona, Manchester City, Paris Saint-Germain… L’Inter ha fatto qualcosa di straordinario arrivando a due finali in tre anni, con risorse limitate e senza grandi campagne acquisti. Ma quando arrivi in fondo ti scontri con club che hanno più qualità, più profondità, più abitudine a quel palcoscenico. Puoi perdere con meno scarto, certo, ma il divario resta. In telecronaca, infatti, dicevo: sul 2-0 bisogna difendere quel risultato, perché non avevi più le energie per ribaltarla. Non era questione di errori individuali o di spogliatoio, era proprio che l’avversario era più forte. E va accettato: resta il grande merito dell’Inter per essere arrivata fin lì.

In Italia il discorso è diverso. Siamo ancora un campionato di passaggio, dove i club formano i talenti e poi li rivendono.
Sì, oggi il calcio italiano è soprattutto questo. Siamo bravissimi a scoprire e valorizzare giocatori meno conosciuti e a rivenderli a cifre importanti. Penso a Kvaratskhelia, preso quasi come scommessa e poi diventato un fenomeno. O a Thiaw, Reijnders, Onana, acquistati a poco e poi valorizzati e venduti. Le nostre società, da questo punto di vista, lavorano molto bene: fanno plusvalenze, costruiscono competenze. Ma c’è il rovescio della medaglia: non sempre gli investimenti sono azzeccati. Noi non possiamo spendere 40 o 50 milioni come i top club europei, e quindi a volte rischiamo. Questo è il calcio italiano di oggi: formiamo, cresciamo, vendiamo. Non è necessariamente un male, ma bisogna saper reinvestire con intelligenza.
Ti chiedo del Milan: come vedi il ritorno di Allegri? Senza coppe può fare un campionato “alla Conte”, di solidità e continuità?
Il Milan è il Milan: una società che per storia e dimensione deve stare in alto, come Inter e Juventus. Allegri è un allenatore che sa gestire il gruppo, sa dare equilibrio, e senza coppe può concentrarsi solo sul campionato. Non dico che debba vincere lo scudetto per forza, ma può fare quello che ha fatto Conte l’anno scorso a Napoli: creare una squadra solida, che a primavera si trovi ancora lì a giocarsela. Poi lo scudetto si decide ad aprile, non a settembre. Ma Allegri è uno che conosce bene questi percorsi e sa come arrivarci. E poi, lo pensavo già lo scorso anno, il Milan è la squadra che ha più talento in rosa. Se lo sfrutta sarà dura per le altre.

Parliamo di Lookman: il suo caso con l’Atalanta ha fatto discutere. Questi atteggiamenti sono nuovi o nel calcio ci sono sempre stati?
Sono dinamiche che nel calcio esistono da sempre, forse prima erano più nascoste e più rare. Io penso anche al caso Baggio quando passò dalla Fiorentina alla Juventus: lì non era la volontà del giocatore, ma la società non poteva rifiutare l’offerta di Agnelli. Situazioni differenti, certo, ma è un esempio che fa capire che non sempre si può andare d'accordo. Però, una volta eravamo in mano solo alle società. Adesso ci sono gli agenti, i fondi, le cordate che hanno in mano i giocatori. Credo che un tempo ci fosse più professionalità, più rispetto per le maglie. Più serietà, sia da parte dei calciatori nei confronti della società, sia viceversa. Oggi invece sembra che tutto si esasperi: togliere le foto sui social, fare scenate… È un po’ una bambinata, soprattutto se pensi a cosa ti ha dato quel club. Lookman arrivava dalla Premier come buon talento, ma è Gasperini che l’ha consacrato come grande giocatore. E tu, con quel club, hai vinto anche un’Europa League. Io credo che serva professionalità: ti alleni, stai a disposizione, poi se arriva l’offerta giusta vai. Altrimenti rischi di danneggiare sia te stesso – perché perdi ritmo e magari la nazionale – sia la società, che vede calare il valore del cartellino. Alla fine sono scelte che scontentano tutti.
Guardando alla tua carriera: quali sono stati i momenti più emozionanti, sia da calciatore che da telecronista?
Se penso alla mia carriera da commentatore, dico senza dubbio Liverpool-Borussia Dortmund, quarti di Europa League. L’andata era finita 1-1, al ritorno il Dortmund vinceva 3-1 a venti minuti dalla fine. Sembrava finita, invece il Liverpool ribalta tutto e vince 4-3. Io mi sono ritrovato in piedi, abbracciato ai tifosi del Liverpool, travolto da un’atmosfera incredibile. Anfield è uno stadio che trasmette emozioni uniche, consiglio a chiunque di andarci almeno una volta nella vita. Poi il 2006, anche se lì fu più Fabio (Caressa, nda) a trascinarmi in un entusiasmo incontenibile, mentre io ho creduto da subito nell'europeo del 2021. Avevo un legame fortissimo con Gianluca Vialli. Ci sentivamo sempre e sapevo dentro di me che l'atmosfera era magica e che potevamo fare qualcosa di indimenticabile. Da calciatore, ovviamente, ci sono tantissimi ricordi bellissimi, ma scelgo le vittorie in Coppa Uefa, lo Scudetto dei record del 1989 che è stato impressionante e poi, con la maglia azzurra, il Mondiale del 1982. La Nazionale ti regala emozioni difficile da spiegare e sono fortunato ad averle vissute sia da calciatore che da telecronista.

E invece, se dovessi raccontare una grossa delusione?
Con la Nazionale sicuramente Italia 90. Erano i Mondiali di casa, ero il capitano, eravamo fortissimi: c'era Baggio, Schillaci, Zenga, Baresi, Maldini, Ancelotti, Donadoni, Vialli e Mancini… e non siamo riusciti a vincere nonostante giocassimo bene. Ed è ancora una ferita aperta. E l'altra delusione è la fine della mia avventura con l’Inter. Io volevo continuare, magari fare un’esperienza all’estero, ma non me la sono sentita di indossare un’altra maglia. L’Inter era casa mia. Quando hanno deciso di chiudere con me, ho capito che era il momento di smettere. Per fortuna, poco dopo è iniziata la mia seconda vita, quella da commentatore, che ormai dura da più di 20 anni.
Come ti è arrivata la proposta?
È arrivata all'improvviso e non me l'aspettavo proprio di essere portato per fare questo lavoro. Adesso parlo in tivù, sono disinvolto, ma all'epoca ero molto timido, introverso. Tant'è che quando vennero a cercarmi per fare il commento tecnico alle telecronache io risposi "ma siete sicuri che non avete sbagliato persona?". Poi alla fine devo dire che, se sono qui da così tanto tempo, ci avevano visto bene.
Chiudiamo con la domanda che tutti aspettano: chi è la favorita per lo scudetto?
Io metto ancora il Napoli davanti a tutti, nonostante l'infortunio di Lukaku perché ha trovato un equilibrio e una forza straordinaria. De Bruyne, Lang, Lucca, Beukema hanno rinforzato la rosa e adesso Conte ha una profondità che può permettergli di fare bene sia in Italia che in Europa. Certo, se l'infortunio dovesse prolungarsi troppo, può essere un limite, ma secondo me il Napoli è il favorito per il titolo. Dietro vedo molto vicine Milan, Inter e Juventus: queste tre sono le antagoniste principali.