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Andrea Loberto, 20 anni in Norvegia: “Nel 2013 nacque il progetto attaccanti. Oggi hanno Haaland”

Mister Andrea Loberto, dopo quasi vent’anni nel calcio norvegese, spiega a Fanpage.it cosa c’è dietro all’esplosione del movimento scandinavo: “Nulla è casuale: hanno studiato, investito e programmato. È così che nascono i talenti e le idee”.
A cura di Vito Lamorte
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Da Saint-Étienne, nel cuore di uno dei club più importanti di Francia, Andrea Loberto parla con l’entusiasmo di chi ha attraversato diversi mondi calcistici. Partito dalle giovanili del Leeds United, poi approdato a Oslo nel 2005, ha visto dall’interno la trasformazione radicale del calcio norvegese: un percorso fatto di metodo, investimenti e idee prese in prestito dai paesi più virtuosi.

La sua voce, pacata ma ferma, diventa preziosa per capire come la Norvegia sia passata dal vivere di nostalgie mondiali a produrre una generazione di livello internazionale. Loberto spiega come nel 2013 la Norvegia ha avviato lo Spissprojekt, un progetto nazionale per sviluppare attaccanti di talento, e il programma fa parte di una strategia più ampia che include le Future Teams, squadre nazionali per giocatori che si sviluppano più tardi, e i campionati giovanili dei club professionistici (U14, U15, U17, U19), con squadre di riserva nei campionati di terzo e quarto livello per offrire esperienza in contesti competitivi. Il Norsk Toppfotballsenter, fondato nel 2008 dalla federazione norvegese (NFF) e dall’organizzazione dei club professionisti (NTF), si concentra su quattro pilastri: abilità, fisiologia, mentalità e medicina calcistica. Tra i progetti principali c’è l’Akademiklassifisering, che valuta e classifica le accademie dei club su infrastrutture, allenamento e produttività.

La filosofia nazionale, formalizzata nella Landslagskole, promuove un gioco pro-attivo, pressing alto, schemi offensivi moderni e autonomia decisionale dei giocatori, assicurando coerenza dal settore giovanile alla nazionale maggiore. Nel 2022, 32 club professionistici hanno firmato un piano strategico comune per il 2023-2028, allineando obiettivi nazionali e sviluppando le squadre giovanili e maschili verso il top europeo.

A Fanpage.it mister Andrea Loberto, dopo quasi vent’anni nel calcio norvegese, spiega cosa c’è dietro all’esplosione del movimento scandinavo.

Mister, come va al Saint-Étienne?
"È un club enorme, più di quanto si percepisca da fuori. Tradizione, passione, pressione: tutto è amplificato".

Il presidente è Ivan Gazidis, una vecchia conoscenza del calcio italiano…
"È presente e coinvolto ogni giorno, capisci subito la grandezza del progetto".

Guardando il suo percorso, quasi vent’anni in Norvegia: come ci è arrivato?
"Per caso. Lavoravo nelle giovanili del Leeds quando un club norvegese fece un ritiro in Inghilterra e usò il nostro staff come supporto. Poi arrivò l’invito a Oslo per collaborare con il Vålerenga, che voleva rinnovare tutto il settore giovanile. E così sono partito. Dovevano essere tre anni, sono diventati quasi venti".

Andrea Loberto, collaboratore tecnico del Saint–Étienne.
Andrea Loberto, collaboratore tecnico del Saint–Étienne.

Si aspettava una crescita così verticale del calcio norvegese?
"Non così veloce, ma si percepiva che stavano costruendo. La federazione ha capito da tempo di essere rimasta indietro e ha avviato una modernizzazione vera: idee chiare, studio dei paesi più avanzati, investimenti su allenatori e strutture".

Qual è stata la prima differenza che l'ha colpita entrando nel movimento norvegese?
"La capacità di riconoscere i propri limiti. Hanno ammesso di non essere competitivi e hanno deciso di studiare i modelli migliori: Croazia, Portogallo, Belgio. E poi hanno riorganizzato completamente lo sviluppo dei giovani, dai 14 anni all’Under 21. Niente improvvisazione".

Ha accennato ad un centro nazionale di competenza. Di cosa si tratta?
"È un progetto condiviso tra federazione e lega professionistica. Hanno raccolto ricerche, pratiche internazionali e creato quattro pilastri su cui formare allenatori e giocatori: tecnica, fisiologia, mentalità e medicina sportiva. Questo centro classifica le accademie, valuta infrastrutture, staff, produttività. Più alto è il punteggio, maggiori sono i finanziamenti. È un sistema meritocratico".

Erling Haaland.
Erling Haaland.

Quindi non si parla solo di ragazzi, ma anche della formazione degli allenatori…
"Esatto. Licenze obbligatorie per chi lavora nei settori giovanili, programmi tecnici identici per tutte le nazionali giovanili, introduzione dei ‘Future Teams' per chi si sviluppa più tardi. Hanno copiato il Belgio e lo hanno adattato alla loro realtà".

Uno dei casi più citati è quello degli attaccanti. Cosa è stato fatto?
"Nel 2013 hanno lanciato un progetto specifico perché mancavano attaccanti di livello. In quegli anni un ragazzino di 13 anni si chiamava Haaland. Questo dà l’idea della visione: investimenti a lungo termine, zero casualità".

Quanto conta il fatto che in Norvegia i giovani giocano molto di più?
"Tantissimo. Il passaggio tra Primavera e prima squadra è più lineare: strategie condivise, staff dedicati allo sviluppo individuale, squadre riserve che giocano nei campionati senior. In Italia i giovani che partono titolari sono meno della metà rispetto alla Norvegia: questo pesa, eccome".

Andrea Loberto ai tempi del Rosenborg.
Andrea Loberto ai tempi del Rosenborg.

Guardando ai risultati: in Europa Italia e Norvegia non sono così distanti nei numeri, eppure la percezione è opposta. Perché?
"Perché lì il sistema è pensato per crescere insieme. Il Bodo/Glimt, per esempio, ha impiegato anni per arrivare ai gironi di Champions ma è passato da Conference e Europa League costruendo esperienza. Non serve il ‘prestigio', serve un progetto che tenga in piedi un’idea".

La differenza attuale tra movimento norvegese e italiano nasce quindi da una diversa visione?
"Direi che nasce dal coraggio. La Norvegia ha avuto l’umiltà di dire: ‘Non siamo competitivi, studiamo chi lo è'. E poi ha lavorato per dieci, quindici anni sugli stessi obiettivi. Quando costruisci dall’alto, con un modello chiaro, è inevitabile che i talenti arrivino. Non è magia: è metodo".

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