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Zero contagi in tre mesi: perché la bolla NBA ha funzionato (e il calcio può imparare)

Stanotte si è concluso il torneo NBA 2020 con la vittoria dei LA Lakers sui Miami Heat, ma il risultato più sorprendente è stato quello della “bolla” studiata dalla lega per portare a termine la stagione dopo l’inizio della pandemia. L’organizzazione si è rivelata perfetta, con le squadre e pochi altri soggetti autorizzati isolati a Disney World per tre mesi, con regole chiare e scrupolose da seguire. Risultato? Zero contagi. Modello (molto difficile da replicare) a cui guarda con interesse anche il mondo del calcio.
A cura di Vito Lamorte
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Sono tanti i dubbi sulle possibilità di riuscire a portare a termine il campionato di Serie A, e tutte le altre competizioni, se il numero dei contagi da Covid-19 dovesse salire ancora in Italia e negli altri paesi. L'annullamento della partita Juventus-Napoli, sulla quale non si è ancora pronunciato il Giudice Sportivo; e l'aumento dei casi di positività in molte squadre professionistiche, sta mettendo a dura prova la tenuta del protocollo sanitario pensato per la ripresa di luglio e dell'intero sistema dal punto di vista economico. Dopo la situazione che si è venuta a creare la scorsa settimana con la mancata partenza del Napoli per Torino si è parlato con una certa insistenza della possibilità di rivedere il protocollo ma sono in tanti a pensare che l'unica soluzione per portare a termine le competizioni sia una "bolla" stile NBA .

Cos'è la bolla NBA e come ha funzionato

Stanotte si è concluso il torneo NBA 2020 con la vittoria del titolo del LA Lakers di Lebron James su Miami e tutto questo è stato possibile grazie alla "bolla" creata presso il Walt Disney World Resort di Orlando, in Florida, un luogo che ha riunito giocatori, allenatori e il personale team/NBA, dove sono stati effettuati test 24/48 ore (tampone in bocca e risultati il giorno dopo da un laboratorio privato) per assicurarsi che nessuno fosse contagiato; e in questa location era assolutamente vietato l'accesso. I team e tutti gli addetti erano distribuiti in tre diversi hotel di Disney World,  The Gran Destino Tower at Coronado Springs, the Grand Floridian e lo Yacht Club; e si tratta di un'operazione che dovrebbe costare una cifra che si avvicina ai 160 milioni di dollari ma è servita a evitare perdite degli introiti televisivi fino a un miliardo di dollari.

Ogni squadra ha portato con sé 36 persone e tutto era organizzato in maniera dettagliata senza nessun strappo alla regola. Venti i giornalisti ammessi nel complesso, una decina di giornali e siti sportivi e una decina della tv ufficiale ESPN; che non hanno potuto interagire con i giocatori e con lo staff e hanno passato la prima settimana in isolamento in camera prima di avere accesso ai locali e alle palestre dove gli era permesso. I giornalisti presenti nella bolla hanno raccontato che era piuttosto normale incontrare gli atleti nei corridoi o a passeggio nel campus ma che non potevano avvicinarli per nessun motivo.

Le squadre avevano a disposizione per tre ore una delle palestre del resort per gli allenamenti e alla fine di ogni turno tutte le superfici venivano sanificate per dare spazio ad un altro team. La vita nella bolla è iniziata il 7 luglio, giorno in cui i team sono arrivati a Orlando ed è terminata stanotte con la gara-6 delle Finals. Risultato: zero casi positivi in oltre tre mesi.

Nel caso in cui qualcuno fosse risultato positivo sarebbe partita la procedura sanitaria stabilita: l'atleta sarebbe stato portato in "Isolation Housing", una struttura diversa dalla precedente camera d'albergo dell'individuo dove sarebbe stato sottoposto ad un secondo test: in caso di positività sarebbe stato isolato mentre in caso di negatività avrebbe dovuto effettuare un altro test di conferma nel giro 24 e 48 ore dopo il quale alla persona sarebbe stato consentito di rientrare nel campus oppure di rimanere in isolamento se fosse stato ancora positivo. La quarantena stabilita era di 14 giorni. Per tracciare le recenti interazioni di quella persona sarebbe stata utilizzata la tecnologia video del campus e sarebbe testato chiunque fosse stato con l'individuo per almeno 15 minuti o avesse avuto un contatto diretto.

#BubbleStruggle with @josh_j11

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I giocatori non avevano il permesso di uscire dal complesso di Orlando e potevano farlo solo per seri motivi familiari: nel caso avessero trasgredito le norme sarebbero dovuti rimanere in isolamento per 10 giorni prima di avere nuovamente contatti con i compagni di squadra. L'unico caso di mancato rispetto delle regole è stato quello di Danuel House Jr, cacciato dalla ‘bolla' per aver ospitato una donna in albergo.

Tutti erano obbligati a indossare la mascherina nei momenti in cui non erano impegnati nelle attività oppure quando mangiavano e i giocatori erano dotati di braccialetti elettronici che gli permettevano l’accesso a determinate aree del resort. Tra le attività messe a disposizione hanno spopolato la pesca nel bacino artificiale, il golf e le partite a ping pong. All'interno del resort c'erano anche barbieri e manicure e la lega avrebbe tentato di organizzare un dj set in piscina ma non è andato a buon fine perché l’unico a presentarsi è stato il centro dei Los Angeles Lakers Dwight Howard.

PEACE @reggie_jackson

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È possibile una bolla peri club di Serie A?

Il caso della NBA è forse unico nel suo genere: una sola lega a sé stante, un numero limitato di squadre, un calendario ben definito. Per quanto riguarda il calcio e la nostra Serie A, alle prese con un aumento significativo dei contagi, una soluzione del genere sembra difficilmente replicabile in primis per ragioni logistiche, perché andrebbe trovato una location con campi per allenamenti e partite e in grado di ospitare 20 squadre e perché i club che fanno le coppe europee saranno comunque costretti a viaggiare in occasione dei loro incontri. A quel punto si potrebbe pensare a più ‘bolle' in Europa, una per ogni paese, e a spostamenti tra bolla e bolla per cercare di evitare contatti inutili e cercare di portare fino in fondo le competizioni. Ma anche questa strada appare poco percorribile.

Si potrebbe pensare a ritiri permanenti con uscite concesse solo per andare a giocare e rientri immediati, ma probabilmente il più grande ostacolo all'idea della "bolla" sono proprio i calciatori, che erano contrari già a maggio, quando sembrava l’unica strada per riprendere il campionato bloccato all'inizio di marzo; e che non hanno cambiato idea nel corso dei mesi. I club e le leghe stanno studiando modifiche al protocollo attualmente in vigore, ragionando anche sulla possibilità di adottare regolamenti più stringenti e vicini ad un concetto di "bolla".

Al di là dell'organizzazione logistica, la differenza che più balza all'occhio tra il nostro sport e la NBA è la stesura dei regolamenti e il modo in cui vengono messe in atto: più sono chiare e precise e più c'è la possibilità che vengano rispettate in maniera scrupolosa. Mettere in piedi delle linee guida e seguirle senza lasciare in maniera severa, senza interpretazioni, è l'unico modo per sperare di finire il campionato. Che piaccia o meno, se la situazione a livello di contagi dovesse degenerare ulteriormente sarà l'unico modo per poter provare ad andare avanti.

Il complesso dove l'NBA ha ultimato il torneo 2020.
Il complesso dove l'NBA ha ultimato il torneo 2020.
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