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Shawn Bradley, il gigante di Space Jam ed ex star NBA, oggi è costretto alla sedia a rotelle

12 stagioni in NBA, specialista delle stoppate, protagonista nell’iconico film con Michael Jordan. A distanza di un anno dall’incidente, Shawn Bradley si racconta.
A cura di Luca Mazzella
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Muggsy Bogues, Larry Johnson, Patrick Ewing, Charles Barkley e Shawn Bradley: vi dicono qualcosa? Se siete appassionati di basket, dovrebbero. Si tratta delle 5 ex star NBA che nel film Space Jam, il primo con Michael Jordan, vengono furbescamente private del loro talento dai temibili Monstars, trasformandosi in irriconoscibili giocatori di pessimo livello che a suon di brutte figure faranno interrogare la lega sui motivi di questo crollo. Ecco, restiamo sull'ultimo della lista, Shawn Bradley. 229 centimetri, 12 stagioni in NBA con le canotte dei Dallas Mavericks, New Jersey Nets, Philadelphia 76ers per più di 800 presenze in regular season prima di annunciare il ritiro nel 2005.

Bradley, mezzo americano e mezzo tedesco, è stato la seconda scelta del draft 1993 e i suoi 2 metri e 29 rappresentano la terza più alta misura della storia NBA. Non solo, perché Bradley ha chiuso la sua esperienza in America finendo tra i migliori 10 di sempre per stoppate a partita (2.5) e tra i primi 20 per numero di stoppate totali. Insomma, molto più di un onesto mestierante, per quanto i ricordi più nitidi arrivino dal suo ruolo "passivo" in diverse schiacciate da highlights contro le quali non riuscì a opporre adeguata resistenza.

Lo scorso 20 gennaio, alla guida della sua bicicletta sulla strada verso St. George, nello Utah, dove Bradley vive, l'ex Mavs è stato vittima di un terribile incidente stradale. Una notizia non immediatamente resa nota, ma diventata di dominio pubblico a marzo, solo dopo il comunicato divulgato dallo stesso giocatore e preparato assieme alla moglie Carrie in cui, nel fornire particolari sull'accaduto, Bradley faceva sapere di essere suo malgrado rimasto paralizzato a vita e costretto alla sedia a rotelle.

A distanza di quasi un anno da quelle parole, un'ulteriore straziante testimonianza di quel giorno e di tutto quello che da allora lui e la moglie sono stati costretti ad affrontare è arrivata con un toccante articolo pubblicato su Sports Illustrated, nel quale Bradley ha parlato di quella giornata, delle 3 settimane di terapia intensiva subito dopo l'intervento di fusione spinale, dell'incidente che sarebbe stato causato da un donna alla guida di un van e diretta verso scuola dei figli, e persino dell'impatto che viene descritto nelle sue immediate conseguenze. Su tutte, l'impossibilità di muovere braccia e gambe.

La scelta di non rendere subito noto l'incidente

Il comunicato del 17 marzo scorso, arrivato subito dopo la fase più dura del decorso clinico, lasciava già trapelare le difficoltà della convalescenza e la voglia della famiglia Bradley di chiudersi a riccio in un momento particolarmente delicato. Per focalizzarsi nel migliore dei modi sulla riabilitazione, la richiesta di rispettare la privacy della famiglia era finalizzata proprio a non far emergere gli ulteriori dettagli. Quelli che invece, su Sports Illustrated, Bradley si è dimostrato pronto a condividere con tutti i suoi fan e appassionati ad un giocatore buono e dal carattere mite, il suo dolore e quello dei suoi familiari.

Oggi Bradley utilizza infatti una sedia a rotelle di oltre 225 chili, perfezionata dopo mesi di lavoro da un team di ingegneri in maniera conforme a tutte le sue richieste e necessità, non poche vista la stazza. Addirittura, l'ex Dallas evidenzia come la sola necessità di spostare la sedia in auto abbia reso necessario acquistare un van da circa 120.000 dollari, con un sistema particolare che consente di caricarla sul retro, visto il peso. Le medesime necessità dettate dalla sua altezza sono emerse nella vita di tutti i giorni, con un'ulteriore sedia presente in doccia per lavarsi e una sola stanza della mega-villa con diverse aree di intrattenimento in cui trascorre le sue giornate tra esercizi da ripetere con cadenza precisa di 3 ore, partendo già in piena notte.

L'impatto violentissimo causato dall'urto del van che quel 20 gennaio in fase di sorpasso impatta Shawn in bicicletta fa iniziare un calvario che passa per due diverse cliniche fino al responso finale: 2 vertebre sono distrutte e la spina dorsale totalmente compromessa, camminare non gli sarà più possibile e la sfida più difficile sarà quella dell'accettazione della sua nuova realtà. In primis, nel superare psicologicamente tutte le difficoltà connesse alla sua statura che hanno reso e rendono tutt'ora difficile il normale decorso per via di una serie di complicazioni polmonari e respiratorie insorte nei mesi successivi. L'altezza di Shawn l'ha sì definito e reso riconoscibile per una carriera intera, rappresentando una sicurezza sulla quale non contare più da un momento all'altro ha inciso in termini di salute mentale. E quindi il non poter inizialmente nutrirsi da solo, passando poi per il primo pasto consumato in autonomia (un panino e delle patatine del McDonald chiesti in ospedale), fino all'imbarazzo di palesarsi a chi per una vita l'ha guardato dal basso come Mark Cuban e Dirk Nowitzki, i primi del mondo Mavericks a sapere dell'operazione e a fare visita a Bradley, sono stati passaggi lenti e graduali fatti negli ultimi 12 mesi.

Un imbarazzo retto nei confronti dei più intimi amici, ma impossibile da nascondere quando davanti a un ex compagno e amico di sempre come Mike Finley Shawn ha chiesto qualche minuto prima del saluto, così da poter utilizzare la speciale funzione della sedia a rotelle per "issarsi" fino a guardare l'ex guardia di Dallas quasi negli occhi, a 2 metri di altezza. Un modo per non perdere sicurezza e autostima, e vivere un po' meglio lo shock dettato dalle sue nuove condizioni. Precipitata al punto da far meditare al nativo di Landstuhl persino il suicidio, per il peso che ogni giorno sente di rappresentare per la sua famiglia e prima di tutto sulla moglie Carrie, sua più grande complice di tutti i giorni. Pensieri che, come lui stesso ha ammesso, riaffiorano ciclicamente.

More than at athlete

Si dice sempre che il giocatore, oggi, deve essere molto più di un atleta (sul confine tra deve/può ci sarebbe da scrivere un libro). Negli anni questo slogan è stato affibbiato e fatto proprio da tante star della NBA, LeBron su tutti, per le azioni a sostegno della comunità e dei più bisognosi. Shawn si è dimostrato esattamente all'altezza di questo motto, dato che dall'incidente ad oggi non ha smesso un singolo secondo di portare avanti la sua personalissima missione di sensibilizzazione e educazione sulla sicurezza alla guida della bicicletta. Ma soprattutto, a dimostrazione di un'umanità rara da trovare, il Gigante di Space Jam ha dimostrato di non covare alcun rancore nei confronti della donna che gli ha cambiato per sempre la vita, per giunta mai incriminata visto che secondo gli accertamenti svolti non è emersa una sua responsabilità nella causazione dell'impatto. Anzi, la cosa più incredibile dell'articolo in cui Shawn si è liberato di ansie, dolore e paure dell'ultimo anno è proprio la ferma volontà di non rivelare mai l'identità della sua investitrice, per evitare ritorsioni, offese e minacce di qualsiasi tipo. Un gesto di rara sensibilità per un campione che, nonostante una vita cambiata per sempre, non conosce rancore.

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