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Marchisio indignato per quello che ha letto sull’autista ucciso: “Poteva essere una tragedia?”

L’ex calciatore di Juve e nazionale Claudio Marchisio ha commentato con durezza l’uccisione dell’autista del pullman dei tifosi della squadra di basket di Pistoia, rimasto vittima dell’agguato degli ultras della Sebastiani Rieti: “Servono responsabilità, pene certe e la fine dell’impunità per chi trasforma lo sport in un campo di guerra”.
A cura di Paolo Fiorenza
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L'assassinio di Raffaele Marianella – perché questo è stato, un "omicidio volontario", come da inchiesta della Procura di Roma che vede tre arrestati e un indagato a piede libero per favoreggiamento – non può che lasciare sgomenti: un padre di famiglia esce di casa al mattino per fare il suo lavoro, ma non ci farà mai più ritorno. Raffaele è stato barbaramente ucciso da quelli che non si possono chiamare tifosi (parola che richiama qualcosa di nobile come lo sport), ma semplicemente criminali, bestie. Una vicenda – quella dell'agguato con sassaiola al pullman guidato da Marianella, domenica sera dopo Rieti-Pistoia di basket – che Claudio Marchisio commenta con durezza ("servono pene certe"), ma anche indignazione per quello che ha letto nelle ultime ore, in particolare una frase: "Poteva essere una tragedia".

Il post di Claudio Marchisio sulla morte di Raffaele Marianella: "Ma perché, questa non è una tragedia?"

"Quella di Raffaele Marianella, l'autista del bus che ha perso la vita dopo l'assalto a Rieti, è la storia di una vita di lavoro. Dura, onesta, fatta di sacrifici – scrive Marchisio su X – E leggo che ‘poteva essere una tragedia'. Perché questa non lo è? Cos'è che definisce una tragedia? Il numero di morti? O il fatto che le vittime non siano famose abbastanza da far rumore?".

Marianella aveva 65 anni, originario di Roma e residente a Firenze. Lavorava come autista, tra circa un mese sarebbe andato in pensione. Era ‘secondo autista' (ovvero al momento dell'aggressione da parte degli ultras della Sebastiani Rieti non era al volante ma accanto al guidatore) sul pullman che riportava a casa 45 tifosi che avevano seguito Pistoia nella vittoriosa trasferta. Lo hanno ammazzato a tradimento sulla superstrada Rieti-Terni. L'agguato era premeditato, non è stata un'esplosione di violenza legata a un incrocio lungo la strada: il bus è stato seguito per chilometri prima del lancio di sassi e anche un mattone, dopo che la scorta lo aveva lasciato.

L'ex calciatore di Juve e nazionale: "Servono pene certe e la fine dell'impunità per chi trasforma lo sport in un campo di guerra"

"Raffaele è morto – continua Marchisio nel suo post – E questo non è un incidente. È l'effetto di una cultura malata: quella che tollera la violenza negli stadi, nelle curve, per strada. Che minimizza. Che chiude un occhio. Che normalizza l'odio, in nome dello sport. La mia vicinanza più profonda alla famiglia. Ma la solidarietà non basta più. Servono responsabilità, pene certe e la fine dell'impunità per chi trasforma lo sport in un campo di guerra".

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