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LeBron James ci ha ricordato di essere ancora il più forte al mondo

Altro che finito, altro che poco clutch. Nella vittoria dei Los Angeles Lakers di ieri notte contro Golden State, in una gara secca praticamente mai vista prima in NBA e per questo avvincente e combattuta sin dai primissimi minuti, la firma decisiva arriva da sua maestà LeBron James. Che nonostante infortuni e usura manda l’ennesimo messaggio ai rivali: per vincere si dovrà passare da lui anche quest’anno.
A cura di Luca Mazzella
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La stagione 2020/21 di Lebron James è stata decisamente anomala. Partita con l'anello di campione NBA al dito, proseguita con un rendimento da MVP e Primo Quintetto Difensivo per i primi tre mesi di regular season, chiusa anzitempo per un infortunio alla caviglia che l'ha tenuto lontano dal campo come mai era successo in carriera, con tanto di ricaduta dopo il rientro forzato per aiutare i suoi a non sprofondare. Con LeBron fuori dai giochi il discorso MVP 2021 è diventato un affare di pochi, tra un Nikola Jokic incredibilmente continuo, un Chris Paul autore dell'ennesima impresa della sua carriera e un Giannis Antetokounmpo terzo incomodo quasi di inerzia (inspiegabilmente snobbato visti i numeri in linea con i due anni precedenti conclusi col premio) dopo i ko del Re, di Joel Embiid e James Harden. E così una temporanea esclusione dai discorsi relativi al centro di gravità della lega si è trasformata – quasi inconsciamente – in una progressiva rimozione del nome di LeBron James dal trono faticosamente conquistato in carriera e sul quale era risalito pochi mesi fa, con il titolo conquistato ad Orlando. Una sorta di anticipo di un fisiologico appannamento: nessun campione è eterno e Father Time, come dicono in America, prima o poi batte tutti.

L'età ha inciso in modo importante, il resto l'hanno fatto i problemi fisici, il lungo stop e le sue stesse dichiarazioni, con le quali non ha esitato a definirsi ormai lontano dal 100%, mettendo in dubbio la possibilità reale di tornare mai ai livelli pre-ko alla caviglia. In effetti, il LeBron visto al rientro sul finale di stagione regolare e quello visto soprattutto nel primo tempo della gara di ieri notte contro Golden State – lo spareggio del primo turno play-in per il settimo posto contro il rivale di sempre Steph Curry – è sembrato un giocatore molto macchinoso, indeciso o comunque oltremodo cauto negli appoggi, molto indietro nella esplosività al ferro e in generale appannato, anche nei più semplici degli scatti. Ma un Re non lascia il trono così facilmente e il secondo tempo, dopo aver visto la tripla del numero 30 dei Warrios battere la sirena del secondo quarto, ha rappresentato un vero e proprio statement nonché monito per avversari in campo e rivali pronti a festeggiare da casa: contropiedi in coast-to-coast, lanciato come un treno verso il ferro, partenze e conclusioni di potenza sulla linea di fondo, un tassametro arrivati a toccare quota 19 punti, 10 rimbalzi e 10 assist con un minuto ancora da giocare e la gara in parità sul 100-100. Poi è arrivato il canestro che ha fatto tremare tutta la lega.

Un minuto dopo essere finito a terra dopo un fallo ritenuto di gioco ma pericolosamente vicino al flagrant foul di Draymond Green, con una vista che lui stesso ha definito "tripla" per la botta presa alla testa e dopo 33 minuti abbondanti a trascinare faticosamente e con notevoli problemi dovuti alla perfetta difesa di Golden State, è arrivato l'affondo del campione. Con Caldwell-Pope bloccato a un metro dal ferro dall'ennesima perfetta lettura difensiva di Green, la palla è finita nelle mani del 23 per uno scarico a un secondo dalla fine dell'azione di pura disperazione. James, senza nemmeno mettersi in ritmo e vedendo Steph Curry recuperare verso di lui, ha lasciato andare la tripla a fil di sirena che ha fissato il punteggio sul 103-100 col quale si è poi chiusa la partita. Proprio sul terreno dell'avversario più temibile e ancora una volta capace in totale solitudine di tenere i suoi in partita, a 10.4 metri da canestro, James ha segnato il 97esimo tiro della carriera per portare in vantaggio/pareggiare una partita nell'ultimo minuto portando i Los Angeles Lakers alla qualificazione con il seed numero 7 e relegando Golden State al Purgatorio dell'ultimo possibile spareggio contro i Memphis Grizzlies, per accedere con la posizione numero 8.

Se un giocatore vicino ai 37 anni, reduce da due mesi ai box, un minuto dopo il duro colpo ricevuto da un avversario, da fermo e senza alcun ritmo, è capace di segnare il game-winner più "lontano" della sua carriera (mai ne aveva messo uno da 34 piedi di distanza), riesce ancora in prodezze del genere, è il caso di dire che la corona dalla testa di LeBron James sia stata tolta con troppa fretta e superficialità. "All-time great players make great shots", ha detto Steph Curry a fine gara, commentando con amarezza mista a rispetto e ammirazione per l'avversario l'ennesimo insta-classic di una carriera che proprio non vuole saperne di imboccare la discesa. Per chi negli ultimi mesi ha troppo velocemente fatto abdicare il Re, un segnale che preoccupa: la lega è ancora di LeBron James. Che si prepara, forte di una prestazione difensiva straordinaria dei suoi compagni, ad affrontare l'amico Chris Paul coi Phoenix Suns. Un altro vecchietto dato per finito da anni e che invece continua a prendersi il palcoscenico. Sarà una sfida epica.

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