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Lamelo Ball: il rookie delle meraviglie (e forse dell’anno)

19 anni, un’esperienza da globetrotter tra Lituania e Australia. Un padre ingombrante e un fratello che, nonostante le tante aspettative, ha finora deluso chi era stato presentato come futuro fenomeno. Lamelo Ball è entrato in NBA con questo bigliettino da visita. Eppure, partita dopo partita, sta ricredendo tutti.
A cura di Luca Mazzella
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C'è un brutto termine che in America usano per bollare negativamente un giovane sul quale ci sono grosse aspettative, ma che non si dimostra all'altezza: bust. In NBA, la lega che viaggia spedita e proiettata verso novità, progresso, un modo sempre più frenetico di rincorrere i nuovi idoli, i nuovi fenomeni, le future star, di questo termine spesso si abusa per qualificare come inadeguato un giocatore dopo averlo visto una, massimo due volte.

Per Lamelo Ball, data di nascita 22 agosto 2001, non è stato nemmeno necessario farsi vedere per ricevere questa sgradevole etichetta. Si, perchè Lamelo è figlio di LaVar Ball e fratello dell'attuale point-guard dei Pelicans Lonzo Ball. Negli anni che hanno preceduto l'ingresso del fratello maggiore nella lega, una serie di esternazioni del padre tra il serio e il volutamente provocatorio hanno attirato le ire di parecchi appassionati, ai quali Lonzo è stato presentato quasi come un novello Michael Jordan. A seguire, è arrivato il brand della famiglia Ball, la seconda chiamata assoluta del draft 2017 da parte dei Los Angeles Lakers e l'ennesimo prodigio di famiglia venduto come futuro fenomeno (Liangelo Ball, il più grande dei 3). L'esperienza di Lonzo ai Lakers, a dir poco deludente considerate le attese, ha poi spinto papà LaVar a defilarsi leggermente e a cambiare totalmente tattica nel parlare dei figli, lasciati crescere senza ulteriori intrusioni. E cosi, mentre Lonzo cercava la sua dimensione in NBA, Lamelo iniziava a stupire tutti prima alla Chino Hills High School (con prestazioni da 72 e 92 punti su tutte), poi in un viaggio che l'ha portato, appena maggiorenne, a calcare i parquet lituani prima e australiani poi, passando per una breve parentesi nella Junior Basketball Association, una lega creata dal padre. Che, pur facendo un passo indietro, continuava a condividere i riflettori col figlio.

La chiamata degli Hornets

Quando al draft 2020, tenutosi lo scorso novembre "in videoconferenza" e non come inizialmente prospettato al Barclays Center di Brooklyn per ovvie ragioni, gli Charlotte Hornets di Michael Jordan hanno scelto Lamelo con la terza chiamata assoluta, il ragazzo aveva già una fervente schiera di detrattori pronti a scommettere sulla sua caduta e su un declino, rispetto alle aspettative, simile a quello di Lonzo. Lamelo però ha caratteristiche diverse dal fratello, non è bravo quanto lui in difesa ma in attacco è uno di quei giocatori che passano molto raramente in NBA. 2 metri di altezza, ruolo point-guard, sono già un biglietto da visita interessante considerati i centimetri dei pari-ruolo. Il tiro è ancora da affinare, come fosse un difetto congenito di famiglia, ma l'efficacia è distante anni luce da quella di Lonzo. Lamelo mostra sin da subito di avere un talento innato nel passaggio, con una visione a tutto campo e un tempismo nell'effettuare l'assist che da subito entusiasma gli addetti ai lavori NBA. Aggiungiamoci che gli Hornets, a dispetto di una storia recente fatta di fallimenti, indovinano con lui e con il redivivo Gordon Hayward due pedine fondamentali per ricostruire la squadra che vanta già giocatori di talento come Devonte' Graham e Terry Rozier e atleti interessanti come PJ Washington e Miles Bridges, e il gioco è fatto.

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Il rookie dell'anno?

In una rookie-class presentata come interlocutoria rispetto a quelle degli anni passati e alla prossima, che si prospetta ricca di giocatori di potenziale impatto generazionale, il nome di Lamelo non ha fatto scalpore. Come in realtà, nessuno ha ancora ben compreso l'impatto di ragazzi come James Wiseman, Tyrese Haliburton, Patrick Williams e tanti futuri All-Star. Il non avere tempo a disposizione per sottoporre i giovani in arrivo dal liceo o da oltreoceano ai soliti provini e test atletici con cui le franchigie NBA passano al microscopio ogni possibile scelta al draft, ha cambiato e di molto le aspettative e più in generale la conoscenza di giocatori come Lamelo. La cui unica raccolta di highlights, quindi, è stato quanto combinato dal padre fuori dal campo e quanto dal fratello in campo. Un modo per ridimensionare ciò che ancora non si è visto e utilizzare con fretta la parola "fallimento".

Lamelo però, partita dopo partita, sta scalando rapidamente la classifica dei migliori rookie della stagione. Alla terza gara di fila in quintetto, stanotte, ha chiuso con 34 punti e 7 assist, ma soprattutto 0 palle perse. Un dato che per il suo modo di giocare sempre al confine tra razionalità e istinto, è sorprendente. Nelle ultime 5 partite, dopo una strigliata del coach di Charlotte, Borrego, che lo aveva invitato ad un gioco più controllato e con meno rischi, Lamelo sta segnando più di 22 punti a partita con quasi 7 assist, tirando con il 39% da tre e il 91% ai liberi: numeri eccezionali per chi ha ancora margini di miglioramento enormi e tanto lavoro da fare sul corpo (nonostante in realtà sia già in grado di attutire i contatti nell'area coi lunghi avversari) e sulla difesa (dove per molti il termine di paragone resta l'eccellente Lonzo, tutt'altro tipo di giocatore però).

L'ambiente e l'assenza di pressioni in questi Hornets sta aiutando, così come il giocare senza pubblico. Tutti elementi che, per un 19enne con questo tipo di trascorso, contribuiscono a "normalizzare" il ragazzo e a farlo esprimere al meglio senza paura di essere giudicato, di nuovo. Oggi Lamelo è il candidato numero 1 a vincere il premio di Rookie dell'Anno.

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