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Schwazer racconta in un libro la marcia all’inferno: “Ero un tossico. Per il doping ho perso tutto”

Alex Schwazer ha narrato la sua storia “Dopo il traguardo” in un’autobiografia. È l’uomo che si mette nudo, senza più il timore di doversi nascondere né mentire.
A cura di Maurizio De Santis
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Un tossico che si faceva del male, mentiva a se stesso e alle persone vicine. Il doping è stata l'ossessione di Alex Schwazer, la droga che ha spazzato via la sua carriera lasciando del campione olimpico di Pechino (oro nella 50 km di marcia) l'immagine peggiore, quella piombata nel lato oscuro della forza. L'atleta, oggi 37enne, ha fatto i conti con il suo passato e li ha pagati – li sta pagando – con gli interessi: fino al 2024 è squalificato e nonostante il suo caso sia stato archiviato dalla giustizia penale italiana nel 2021, la Wada (l'agenzia internazionale antidoping) non ha accettato quel verdetto. "Dopo il traguardo" (è il titolo della sua autobiografia di Schwazer) tutto è cambiato. "Non è la confessione di un diavolo e neppure l’apologia di un angelo", spiega nell'introduzione al volume. È l'uomo che si mette nudo, senza più il timore di doversi nascondere.

A quasi un anno dall’archiviazione del procedimento penale per doping (scorie dell'accusa piovutagli addosso prima dei Giochi di Rio 2016), e a sei mesi dal no del Tribunale arbitrale dello sport di Losanna che gli ha chiuso le porte di Tokyo 2020, Schwazer è un libro aperto. Puoi sfogliarlo e leggergli dentro tutto d'un fiato. È la narrazione scritta con sofferenza e redenzione da chi è sceso all'inferno e ne è uscito, fino a trovare forse quella pace interiore che lo ha spinto oltre ogni limite. "Ero un tossico, andavo in Turchia per doparmi – si legge nell'intervista al Corriere del Veneto -. A Carolina Kostner (la ex compagna) e ai miei genitori dissi che sarei andato a Roma, alla Fidal. Ho tenuto il cellulare acceso anche di notte, per evitare che partisse il messaggio della compagnia telefonica turca. Ragionavo già da tossico. O meglio, sragionavo. Ed ero pronto a mentire, perché doparsi vuol dire anche mentire”. 

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Il castello di menzogne sul quale ha poggiato una parte della sua vita gli è crollato addosso travolgendo ogni cosa. A cominciare dagli affetti più cari. "Quando la fiducia si rompe è difficile ricucire un rapporto", disse Kostner raccontando come e perché il suo rapporto come il suo rapporto con Schwazer s'è sfilacciato poco alla volta fino allo strappo irreparabile. E quando l'azzurro lo ha capito era troppo tardi. "Ero in un labirinto immenso e apparentemente senza via d’uscita. Avevo perso tutto. La persona che ero, la mia fidanzata, la credibilità, la dignità. Solo ora ne sono uscito".

Il rifiuto del Tas è stato un brutto colpo ma ha rappresentato il punto di non ritorno di tutta una vita. Da lì in poi è stato come ripartire. "Mi è scattato qualcosa dentro – ha aggiunto al Corriere – e ho deciso di chiudere i conti con il passato. Mi sentivo pronto. Ho dato il libro a Sandro (Donati), il mio allenatore, a Gerhard (Brandstätter), il mio avvocato, chiarendo subito che non era un libro d’inchiesta perché parlavo solo della mia vita". E nessuno ha il diritto di giudicarla, soprattutto se la vita ha già presentato un conto molto salato. E lo stai ancora pagando come Schwazer.

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