Distrutta la casa della scalatrice Elnaz Rekabi, spunta un video agghiacciante: medaglie tra le macerie

La bacheca con le medaglie è sfasciata, i trofei di una vita giacciono per terra, alcuni raccolti in secchio, tra i rifiuti. Il fratello di Elnaz Rekabi piange, la loro abitazione è stata distrutta. Davood passa accanto all'edificio raso al suolo, ha lo sguardo basso e si dispera. Singhiozza, ha paura, a stento riesce a parlare. Restano solo macerie e senso di rabbia. Nessuno può dire con certezza cosa sia successo, perché l'immobile è stato sventrato. Se è stato frutto di una ritorsione governativa oppure dell'atto finale di una normale pratica d'abusivismo edilizio (è la versione diffusa dai media iraniani).
La repressione del regime è implacabile soprattutto contro le donne che, senza velo, hanno protestato per il riconoscimento dei loro diritti e sembra essersi abbattuta con violenza dirompente anche contro la scalatrice di arrampicata sportiva che aveva fatto parlare di sé per aver partecipato a una competizione all'estero senza l'hijab, con la testa completamente scoperta, i capelli raccolti con un elastico.

Quell'indumento dimenticato per distrazione e fretta di partecipare alla chiamata dei commissari di gara (fu questa la spiegazione fornita dalla stessa atleta) è stato l'oggetto della discordia per il suo Paese che aveva interpretato quel gesto come un segno di solidarietà verso il movimento scaturito dalla morte della 22enne Mahsa Amini, uccisa dalla ‘polizia della morale' durante la detenzione.
La demolizione della casa è stata frutto di una rappresaglia? Così sostengono i manifestanti che in Iran danno una chiave di lettura durissima di quell'episodio: è stato un atto di vendetta nei confronti dell'atleta. "Così vanno le cose qui – racconta una voce fuori campo nella clip condivisa sui social da un attivista – anche per un campione che con le sue medaglie ha dato lustro al suo Paese. Hanno demolito una casa di 39 mq e se ne sono andati. Cosa posso dire?".
Non è chiaro, però, quando siano state scattate le foto e girate le immagini dell'immobile. Le notizie che arrivano dall'Iran sono frammentarie: c'è il potere evocativo della sequenza video-clip che è impressionante ma c'è anche la narrazione dei fatti proposta dall'agenzia di stampa Tasnim (sotto diretto controllo del regime).
L'abbattimento della costruzione sarebbe stato eseguito perché la famiglia Rekabi aveva compiuto un abuso edilizio (secondo la spiegazione lascia trapelare dai media). Non aveva i permessi adeguati. Le ruspe sarebbero intervenute prima del polverone sollevato dalla donna in gara senza velo. Ma c'è qualcosa che non torna nella cronologia degli eventi e nella stessa rappresentazione dei fatti.

C'è un vuoto d'informazioni sul destino della donna alla quale, una volta tornata in patria, sarebbero stati sequestrati passaporto e cellulare. Accolta in aeroporto da una folla festante, venne caricata poco dopo a bordo di un furgone ma non si sa dove fosse diretta. "Sono tornata in Iran con la massima tranquillità, anche se ho avuto molto stress. Ma finora, grazie a Dio, non è successo niente. Chiedo scusa al popolo iraniano per le tensioni create", disse Elnaz Rekabi.

Da allora la scalatrice è sembrata inghiottita nel nulla, confinata a quegli arresti domiciliari "non ufficiali" a cui sarebbe stata condannata per espiare quel grave atto di infedeltà compiuto durante la gara. Nulla, almeno fino a quando non è spuntato quel filmato agghiacciante dell'abitazione ridotta un cumulo di pietre per opera dei funzionari governativi.