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Opinioni

Élite è la versione soft porno di una fiction con Gabriel Garko girata su Tik Tok

Élite 5 sta per cedere il passo a Elite 6, già confermata da Netflix. Diamo uno sguardo alla serie nella sua completezza: pregi e difetti di quella che ormai si pone come la risposta spagnola alle fiction Ares con Gabriel Garko.
A cura di Grazia Sambruna
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Mentre eravamo tutti distratti, in ordine sparso, da pandemie, ipotetiche guerre mondiali in procinto di esplodere e penne lisce al super, c'è stata una serie che, in barba a crisi e restrizioni, ha proliferato. Se avete 16 anni compiuti non starete parlando d'altro, altrimenti forse nemmeno il titolo vi dirà alcunché. Sia come sia, Élite è arrivata alla sua quinta stagione, su Netflix dai primi d'aprile corrente mese.

Ora, come accennato, il caso in esame di straordinario ha il ritmo produttivo: dal 2018, sono uscite almeno otto puntate l'anno da sessanta minuti ciascuna. Ma questa non è necessariamente una buona notizia, in senso assoluto. Se nemmeno Woody Allen riesce a garantire picchi di qualità sfornando un nuovo lungometraggio ogni 365 giorni, figuriamoci cosa possa voler dire una parimenti titanica impresa per un prodotto seriale a target teen. Esatto: grandi sciagure. Questa è storia di un progetto che partendo da ambizioni a metà strada tra Cruel Intentions e La Mala Educación, è finito per essere tale e quale a una fiction Ares. Del resto, "le brutte intenzioni" e "la maleducazione", non possono che condurre a una, pur visualizzatissima, "brutta figura", insegna il Vate.

Partiamo dall'incantevole cornice in cui si svolgono i fatti: il liceo per figli di papà (e mamme) facoltosi Las Encinas è praticamente la scuola superiore di Sunnydale che frequentava Buffy, ovvero quella Sarah Michelle Gellar che dai 14 anni in avanti prese ad ammazzar vampiri. Solo che l’istituto della Cacciatrice era stato costruito sopra la bocca dell’inferno, nientemeno, mentre qui in Spagna, questa scuola superiore preppy che conta altissime percentuali di morti, feriti e ricattati ogni giorno di più, semplicemente, non si spiega. Come non si spiega la relativa imperturbabilità con cui vediamo genitori e insegnanti limitarsi a prenderne atto pensando, al massimo, a fronte di botte da orbi, violenze, decessi e forze dell’ordine a cui oramai sono stati assegnati di diritto dei banchi in ogni classe, di ritirare gli smartphone dei ragazzi per qualche ora. Severi ma giusti.

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La prima stagione era partita tutto sommato benino con una commistione di generi: teen drama, thriller e tanto tanto amore, pardon, sfrenatissimo sesso. Marina, la protagonista, come una calamita o una wannabe Laura Palmer, era riuscita ad attirare su di sé ogni tipo di sventura: malattie letali, gravidanze indesiderate e, giusto prima che la affliggessero, perché no, possessioni demoniache, eccola vittima di una misteriosa morte a bordo piscina. La caccia al baby killer era pur gradevole da seguire, per quanto già dalle premesse fosse chiaro che la serie stesse impostando le sue varie storyline posizionandosi volutamente a 8848 metri sopra il livello di Marte.

La trama è sempre più pretestuosa di puntata in puntata con personaggi che saltano squali ogni quattro minuti netti. È Guinnes World Record per gli showrunner Carlos Montero (pervenuto quasi solo in terra iberica) e Darìo Madrona, un perfetto sconosciuto nel mondo delle serie tv fino al clamoroso debutto con Élite, tuttora tra le proposte più seguite sulla piattaforma della grande N. Con Elite 6 già in produzione e molti membri del cast che hanno chiesto la morte (del loro personaggio) per fare qualcosa di meno imbarazzante nella vita, eccoci davanti a quella che potrebbe essere benissimo, per qualità e caratteristiche di base, una fiction Ares in salsa teen. Il peccato e la vergogna di Netflix, ma al posto della tradizionale color correction arancionata a cui Mediaset ci aveva abituati, qui si va giù pesante a smarmellare luci di scena con filtri Instagram.

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Perché Élite ricorda proprio una fiction Ares? Tanto per cominciare tutti i protagonisti sono bellissimi: ghostbusters di brufoli e inestetismi vari, paiono essere forgiati per turbare i sogni degli adolescenti del nostro globo terracqueo (e non solo). Da qui, chiaro, non si poteva certo pretendere che sapessero anche recitare. Pure quelli che quantomeno ci provano, però, si trovano schiacciati in ruoli che, da una puntata all’altra, rinnegano le convinzioni del personaggio interpretato manco fossimo in Beautiful o Dallas con alleanze e inimicizie che nascono perché altrimenti la trama non va avanti. O per creare un effetto “choc” da click, pardon, view-baiting.

A Las Encinas, gli studenti sono tutti assassini, stupratori, tossici o sono stati sospettati almeno un paio di volte a turno di esserlo. Le ragazze, invece, stanno perennemente arrapatissime, qualunque sia il loro orientamento sessuale. Se è pur vero che si registrano diversi tentativi di inserire tematiche sociali importanti (la lotta al razzismo, all’omofobia, come al bullismo e alle diseguaglianze), nessuno spettatore potrebbe mai farci realmente caso. Anche perché si risolve sempre tutto con orge, threesome e scene di sesso selvaggio come punteggiatura di una sceneggiatura inconsistente, sempre ammesso che sia stata mai veramente scritta.

I colpi di scena choc, poi, ovvero l’improvvisa morte di qualcheduno o un atto criminoso di qualunque altra natura pescando a caso dal codice penale, hanno proprio l’aria di quei plot twist che solo la Ares sapeva confezionare: non succede alcunché per un po’, a parte dialoghi imbarazzanti e tresche tra attori bellocci, e poi, out of the blue, una scheggia impazzita a sparigliare le carte agganciando chi tra i telespettatori fosse rimasto sveglio per fargli seguire pure l’episodio successivo. Che sarebbe stato… uguale. Un loop infinito di sparate in alto e aspettative disattese. Preciso preciso a quello di Élite.

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Per farsi un’idea del livello di caos raggiunto da questa serie spagnola, flagello mediatico secondo solo, forse, a La casa di carta, basti vedere i primi minuti dell’episodio d’esordio della quinta stagione: ragazzi e ragazze bellissimi parlano da soli in almeno quattro lingue diverse (spagnolo, francese, portoghese e qualcosa che non siamo stati in grado di riconoscere) all’interno di una successione di scene totalmente inutili sia come presentazione che sotto qualsiasi altro livello. Però, sono tutti vestiti da far invidia alla Ferragni, incedono in modo incredibilmente sexy e, qualunque cosa dicano, rimane comunque coperta da una musica così assordante che nemmeno da Bershka.

Praticamente, la successione delle scene è stata fatta secondo il paradigma TikTok: si lasciano scorrere delle immagini in movimento visivamente belle e poco importa del contenuto. I ragazzi, tanto, sono abituati a saltare dalla ricetta di una pasta e fagioli guatemalteca spiegata da un’influencer desnuda in 15 secondi, ai prank di un tredicenne coreano alla pora nonna. Se il tasto “Cerca” di TikTok funziona, perché non costruirci sopra una sceneggiatura? Così, di botto, senza senso, la Spagna ha accettato la sfida.

Eppure, Élite un pregio lo ha e glielo si deve riconoscere: dopo la prima stagione, comunque godibile, ci sono abbastanza puntate da poter seguire mentre si fa dell’altro. Esistono serie da non perdere e serie perfette da avere davanti mentre ci si asciuga i capelli, con il phon a coprirne l’audio e una legione di giovani modelazzi ammiccanti che flirtano con la telecamera di fronte a uno spettatore che sta combattendo la propria battaglia con doppie punte e peli superflui. Ecco, se quello che stavate cercando è l’hashtag #Withaview…Benvenuti nell’Élite.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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