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Nek: “La Tv non è il mio mestiere e la faccio in punta di piedi, il mio modello è Morandi”

Intervista al conduttore di Dalla strada al palco, programma di debutto in Tv per Nek. Un esperimento di successo che gli dà modo di conoscere esperienza e vita di artisti che non ragionano secondo le leggi dei grandi numeri: “Ho cominciato come loro, non in strada ma con il pubblico delle piazze, delle sagre, quello non pagante che se non piacevi o ti fischiava o se ne andava”.
A cura di Andrea Parrella
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Si può fare Tv ed essere seguiti anche d'estate. Lo sta dimostrando Nek, da alcune settimane in onda con il suo primo programma da conduttore, Dalla strada al palco (Rai2, martedì sera, prodotto da Stand By Me), dove numerosi artisti di strada si esibiscono in prima serata. Un esperimento interessante, nato da un'idea di Carlo Conti, che potrebbe diventare un titolo della Rai2 dei prossimi anni, soprattutto a giudicare dagli ascolti che sta registrando in questa estate torrida. Ne abbiamo parlato con il conduttore, che ci ha raccontato le emozioni di questo debutto.

Di recente ti sei dedicato molto alla conduzione, tra radio e Tv. La consideri una svolta della tua carriera o una semplice parentesi?

Non può mai essere un cambio definitivo, questo non è il mio mestiere. Intrattenere persone su un palco, facendo musica, resta la mia professione. Provo a fare televisione con entusiasmo, ma in punta di piedi.

Dalla strada al palco dà spazio agli artisti di strada. Quanto è diversa la prospettiva di chi fa arte per quel momento fugace e chi, come è accaduto a te, deve fare i conti con il grande sistema discografico? 

Sono due mondi totalmente diversi. Ci sono dinamiche molto complicate anche per i più navigati. Quanto alla musica, spesso chiedono quale sia il segreto del successo di una canzone che è impossibile trovare, anche se di successo ne hai avuto. Poi improvvisamente trovi quelle due note, una melodia semplice che non stanca e hai trovato il segreto.

Cosa ti ha colpito di questi artisti che hai conosciuto?

La libertà nelle loro decisioni, vogliono andare in strada ed esibirsi in strada, essere lontani dalle dinamiche del mercato, perché hanno percepito che è una logica complessa, stressante. Stanno fuori da quel sistema, volutamente, avendo a che fare con un altro obiettivo complicato che è quello di catalizzare l'attenzione di passanti distratti. Si rivolgono a un pubblico che ha ben altro a cui pensare, che se si ferma per cinque minuti in una città in continuo movimento è perché è stato catturato. Il loro modo di fare arte ha come unico condizionamento la storia di queste persone.

Sei riuscito a metterti nei loro panni?

Sono sensazione che chiunque si sia rapportato a un pubblico ha vissuto. Io ho cominciato come loro, non in strada ma con il pubblico delle piazze, delle sagre, quello non pagante che se non piacevi o ti fischiava o se ne andava.

Dalla strada al palco per caratteristiche si inserisce nella categoria dei programmi della seconda possibilità. Qual è la differenza concreta rispetto a un talent?

Gli autori sono stati molto attenti ad evitare che diventasse un talent, gli artisti che non hanno bisogno qualcuno gli insegni qualcosa, hanno un percorso che è fuori dalle telecamere e il passaggio in Tv è solo un modo in più per mostrare al pubblico quello che sanno fare. Il programma è questo e quello degli artisti di strada è un mondo in continua evoluzione da cui spesso nascono fenomeni, di cui i Maneskin sono solo l'ultimo degli esempi.

Il programma, poi, cerca anche una forte componente emotiva.

Ha come punto focale la storia in sé, ma con i giusti elementi secondo me. Trovo bello che il pubblico capisca che dietro a prove così complesse ci siano storie e vicende di persone che hanno attraversato varie vicissitudini. La cosa importante, però, è la piena libertà per ognuno di loro di fare ciò che desiderano.

Tu hai partecipato ai casting?

No, ho conosciuto i concorrenti durante il programma e io stesso sono rimasto affascinato dalle loro qualità come accadrebbe a chi passa in strada e li nota.

Non immagini, in un'eventuale seconda stagione, di essere tu a selezionare le persone?

Potrebbe essere, perché no? Per ora sono molto contento che la direzione abbia pensato a me per questo ruolo di conduzione.

Gli ascolti hanno sorriso al programma. Che differenza c'è tra questa forma di consenso e quello discografico? Sono molto diversi?

È una sensazione simile, da stress da classifica, che io in verità odio. Ovviamente dopo la prima puntata mi sono detto che il meccanismo televisivo prevedeva questo fermento per l'attesa di un risultato di un lavoro che non è solo mio, ma di tutta una squadra e un'emittente televisiva che riesca a rispondere alle esigenze del suo pubblico. Mi fa piacere che con la seconda puntata ci sia stato addirittura un miglioramento rispetto alla prima. È un genere di apprensione che a me non fa bene e provo a starci lontano, ma è chiaro che per la prima puntata ho avvertito questa responsabilità soprattutto perché era la mia prima volta da conduttore.

Però questo debutto televisivo ti mette in una nuova prospettiva. Se dovessi guardare a un paragone cui ispirarti, chi sarebbe?

Penso a Morandi, per quanto il paragone non regga. Guardo a lui come qualcosa da cui trarre ispirazione. Ha una versatilità infinita, è un gran cantante, un musicista diplomato in contrabbasso, fa l'attore, ha condotto Sanremo (poche ore fa è stato annunciato come co-conduttore di Sanremo 2023 da Amadeus, ndr). Dovendo pensare a un modello vedo la sua carriera, sempre verde, sempre presente nelle radio ogni anno. Un artista che resta un cantante prima di tutto, a cui piace intrattenere in modi alternativi.

Che evoluzione immagini nel tuo percorso televisivo? dove ti vedresti?

Non lo so, dico la verità. È un percorso in via di evoluzione e in base a questa esperienza potrò capire quale sia l'idea più chiara di un futuro alternativo alla musica relativo a me. Sicuramente sento la televisione vicina a me per caratteristiche espressive. Ma sarò cauto e osservatore, capirò con il tempo cosa saprò fare.

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