
Proviamo a ricostruire la scena. Una figlia chiede un amministratore di sostegno per il padre. Non un tutore, non un'interdizione: solo una figura che verifichi che tutto proceda per il meglio. Risultato? Si ritrova davanti a un plotone di esecuzione televisivo. Ieri pomeriggio, è stato difficile guardare Domenica In. E c'è un momento preciso che ha reso imbarazzante tutto. Quando Simona Izzo ha chiesto a Feltri: "Come ci si può curare dalla depressione, Vittorio?". Una domanda a cui persino Feltri ha pensato di evitare a dare risposta, mentre in studio è partita una conversazione in cui una patologia seria, invalidante, che in Italia colpisce oltre 3 milioni di persone, è stata trattata con la stessa leggerezza con cui si discute di una ricetta di cucina.
Non stiamo parlando di un talk notturno su una TV locale. Siamo su Rai 1, domenica pomeriggio, con milioni di spettatori. E la depressione – malattia che richiede percorsi terapeutici complessi, supporto psicologico, spesso farmacologico – diventa argomento di chiacchiera da salotto. Con tanto di panel improvvisato composto da Giampiero Mughini, appunto Vittorio Feltri e Simona Izzo, Barbara Alberti, Vladimir Luxuria, coordinati da Tommaso Cerno e Mara Venier, tutti pronti a dire la loro senza alcuna competenza specifica.

Il tema era dunque la depressione di Vittorio Sgarbi. Un argomento delicatissimo, che avrebbe potuto richiedere l'intervento di specialisti, di psichiatri, di psicologi. Invece è stato trasformato in un blocco chiamato – testualmente – "La depressione di Vittorio Sgarbi", alla presenza di quelli che sono soprattutto grandi amici di Vittorio, i quali hanno parlato di depressione con un'approssimazione allarmante di una condizione che andrebbe affrontata con ben altra serietà.
Il culmine arriva con Barbara Alberti che, rivolgendosi idealmente a Evelina Sgarbi – figlia di Vittorio – dichiara: "Se un figlio parlasse così di me io mi ucciderei". Una frase buttta lì, una frase da salotto che passa inosservata e inghiottita dal coro generale. Perché evidentemente quando si tratta di salute mentale, in Italia, tutto è ancora concesso. Anche le battute più inopportune, anche i commenti più pericolosi.

Il processo preventivo a Evelina Sgarbi
Ma c'è un secondo livello problematico in questa vicenda. Perché quello che è andato in onda non è stato solo un esempio di pessima comunicazione sulla salute mentale. È stato anche un processo mediatico anticipato a Evelina Sgarbi, costruito con precisione: prima l'intervista all'imputata, poi il panel dei giudici che la demoliscono. Il quadro appare chiaro: tutto è sembrato essere stato organizzato per gettare discredito nei confronti di Evelina e supportare Vittorio in vista dell'udienza sulle misure di tutela che si terranno il prossimo 28 ottobre, presso il Tribunale di Roma.
La colpa di Evelina è appunto quella di aver chiesto un amministratore di sostegno per il padre. Non un tutore, non un'interdizione: solo una figura che verifichi che tutto proceda per il meglio dal punto di vista medico. Una richiesta che in qualsiasi famiglia normale sarebbe considerata un atto di responsabilità e amore filiale. Qui invece è diventata il pretesto per un'operazione di discredito. "Questioni di eredità". Mara Venier, nel tentativo di fare la voce della ragione, dice a Evelina: "Appare brutto quello che fai, tuo padre è in difficoltà". Eppure, zia Mara non è in tribunale, è alla guida di un programma della TV pubblica – quella che paghiamo con il canone.

Il suo ruolo non è giudicare se una figlia ha ragione o torto a preoccuparsi del padre. Il suo ruolo è fare informazione corretta, equilibrata. Soprattutto quando si parla di salute mentale, un tema su cui l'Italia sconta già un ritardo culturale enorme. Invece lo show prevale su tutto. La depressione diventa pretesto per uno scontro televisivo. E poco importa se nel frattempo si banalizza una malattia seria, se si calpesta la dignità di chi chiede semplicemente di sapere se suo padre sta bene, se si manda un messaggio devastante a chi soffre davvero di depressione.
Vittorio Sgarbi – l'unico che in questa vicenda dovrebbe davvero contare – è stato trasformato in oggetto di contesa mediatica. La sua depressione è diventata un argomento da talk show. Sua figlia è stata messa alla gogna per aver chiesto garanzie mediche. E tutto questo sulla TV pubblica, quella che per statuto dovrebbe tutelare la dignità delle persone e fare corretta informazione. Ma la serietà con cui si dovrebbe parlare di salute mentale, la dignità delle persone coinvolte, il ruolo educativo che la Rai dovrebbe avere – sono dettagli. Dettagli che non interessano più a nessuno. Nemmeno a chi, ogni anno, chiede 90 euro di canone a ogni famiglia italiana promettendo un servizio pubblico di qualità. Ma quando c'è uno show da costruire, chi se ne importa della qualità. Che brutto modo di celebrare il cinquantesimo anniversario di Domenica In.
