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Rai, Adriano De Maio: “Politica e tv sono legate da sempre. Fazio? Bisognava occuparsene prima”

Adriano De Maio, vicedirettore intrattenimento Day Time Rai a Fanpage.it: “Negli anni ho visto tante entrate e tante uscite di personaggi. È un meccanismo viziato, ma è sempre stato così”, spiega sull’addio di Fazio. Poi su Pino Insegno: “Spinto da Giorgia Meloni? È un professionista, fuori dalla tv ognuno è libero. La priorità è offrire un buon prodotto al pubblico”.
A cura di Giulia Turco
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Adriano De Maio, vicedirettore intrattenimento Day Time Rai nell’ultima stagione televisiva.*
Adriano De Maio, vicedirettore intrattenimento Day Time Rai nell’ultima stagione televisiva.*

Sono ore di fermento per la Rai, che negli ultimi giorni sta cercando di delineare per lo meno in bozza il futuro della prossima stagione televisiva. Internamente si cerca di contenere il clamore mediatico, ma fuori dai palazzi aleggia il timore che il nuovo assetto Rai dettato dal governo Meloni possa imporre una linea editoriale tendente al valzer delle poltrone dei conduttori storici.

Ci si interroga su questioni cruciali. Prima le dimissioni annunciate di Carlo Fuortes, poi la nomina di Roberto Sergio in qualità di nuovo amministratore delegato Rai e i dubbi su come, a cascata, cambieranno i vertici dell’azienda e magari volti e titoli dei programmi. Infine il caso Fazio e l’addio alla Rai da parte di un professionista considerato ‘il re degli ascolti’ del servizio pubblico.

La presidente Rai Marinella Soldi si è detta sinceramente dispiaciuta per il passaggio di Fazio a Discovery, ma ha precisato con una nota che la responsabilità di non aver trattenuto il conduttore in Rai sarebbe stata dell’ex ad Fuortes: “La questione Che Tempo Che Fa sarebbe dovuta essere portata per tempo all’attenzione del Cda”, ha fatto sapere, come riporta Il Corriere della Sera. Stessa linea sulla quale si mantiene Adriano De Maio, vicedirettore dell’intrattenimento Day Time, che Fanpage.it ha incontrato per delle considerazioni a caldo.

Arrivo a Viale Mazzini nel pieno di un passaggio di nomine decisamente caldo. La percezione è che questo valzer di direzioni stia rendendo complessa la definizione dei palinsesti in vista dell’autunno. C'è il rischio che questi ritardi influiscano sui contenuti? 

La Rai è un’azienda molto complessa. Una volta questi movimenti avvenivano nel mese di agosto e fino a quel momento si stava con gli scatoloni in mano. Noi siamo sempre pronti al cambiamento e a qualsiasi evenienza. Certamente ci sono un piano A, B e C. Per il resto attendiamo direttive, ma sicuramente vanno nella direzione della massima tutela del servizio pubblico. Non c’è rischio che queste dinamiche intacchino la qualità dei contenuti. Ci sono tanti professionisti che lavorano all’interno delle redazioni, non c’è ritardo che tenga. La diretta è sacra.

Il passaggio di Fazio da Rai a Discovery. Sin da subito è parso chiaro che dietro la sua scelta di passare sul NOVE potesse esserci una questione politica.

Se lui ha detto che è stata una sua scelta perché non dovremmo credere che sia così?

Crede quindi che la Rai si sia lasciata sfuggire un professionista campione agli ascolti che garantisce al servizio pubblico un programma di qualità come CTCF?

In oltre 30 anni in Rai ho visto tante uscite, come entrate. Santoro ad esempio è andato via, poi è tornato, lo stesso Giletti lo ha fatto, nonostante la sua domenica avesse un grande successo. Ci sono state anche cacciate vere, come quella di Enzo Biagi. Il meccanismo della tv è questo e, seppur viziato, permette un'evoluzione. Il cambiamento consente di creare degli spazi, di capire se abbiamo sbagliato qualcosa. Rimescolare le carte non è necessariamente sbagliato. Ora certamente occorrerà inserire qualcos’altro al posto del programma di Fazio, sarà l’occasione per sperimentare. I palinsesti non devono restare granitici. Sicuramente è una perdita per la Rai, ma più per il personaggio Fazio che per il programma in sé.

Restano però le perplessità. L'amministratore delegato Fuortes in fase di dimissioni, non si è addossato responsabilità. Il consiglio di amministrazione ha detto che non è stata sottoposta la valutazione di alcun contatto rivelante. Dunque, di chi è la responsabilità?

La risposta è sottintesa. Quest’uscita è avvenuta prima dell’insediamento del nuovo amministratore delegato (Roberto Sergio, ndr). Non so perché Fuortes non si sia occupato del contratto di Fazio, magari aveva già in mente altri progetti.

(Carlo Fuortes, amministratore delegato Rai uscente)
(Carlo Fuortes, amministratore delegato Rai uscente)

Il daytime si nutre di una commistione di intrattenimento e informazione. Con questo nuovo assetto si correrà il rischio di una linea editoriale fin troppo rigida? La pluralità di volti e di voci verrà garantita?

Io credo proprio di sì. La Rai è un’azienda destinata al pubblico nella sua totalità e continuerà ad esserlo a prescindere dal vento politico.

I primi segnali però non sono dei migliori. Il post di Salvini che ha ironizzato sull'addio di Fazio e Littizzetto (Belli Ciao) non ha creato un certo malumore nell'ambiente?

Ma no, questo fa tutto parte del sistema. Internamente siamo molto più concreti. Non tutti gli spettatori vedono il post di Salvini, non a tutti interessa, non avrebbe senso fossilizzarsi su certi commenti. Oggi con i mezzi social ognuno può dire quello che vuole. Per fortuna naturalmente, è la democrazia.

Ora in ballo ci sarebbero anche i volti di alcuni programmi. La Domenica In di Mara Venier si conferma una certezza, ma ogni anno sembra essere l'ultimo per lei. È possibile immaginare il futuro della domenica nel dopo Venier?

Mara è una certezza e oggi è molto difficile immaginare un’altra domenica, soprattutto su Rai 1. Servirebbe un cambio generazionale per pensare a qualcosa di diverso. Sicuramente per la prossima stagione ci sarà e continuerà ad esserci finché lei lo vorrà. Funziona talmente bene che sarebbe insensato cambiare. Anche nella concorrenza ci sono dei pilastri che sarebbe molto rischioso spostare… vale lo stesso discorso.

Intanto si parla di un'ultima puntata in diretta dagli studi di Napoli. L'idea di spostare definitivamente Domenica In in territorio partenopeo è presa in considerazione? Magari con un esordiente Stefano De Martino…

No, impossibile. Una volta Mara Venier ha pensato ad una domenica itinerante, ma sarebbe una produzione molto faticosa e anche in termini di budget non potremmo permettercelo. Per quanto riguarda De Martino io penso che per ora vada bene per la prima serata. Il sabato e la domenica sono sacri. Lui sta facendo la sua strada su Rai 2, fa parte di quella cerchia di personaggi alternativi che devono prima consolidarsi su quella rete per poi passare a Rai 1.

Quest’anno avete testato la prima stagione organizzata sulla divisione dei generi. Com’è andata? 

È stato un esperimento, sicuramente va migliorata e messa a punto la macchina. Avendo diviso il personale per generi abbiamo creato più povertà su alcune fasce. È stato un cambiamento utile nel contenuto, ma dobbiamo lavorare sull’organizzazione. "Ogni impedimento è giovamento", come si dice in napoletano. Tra gli aspetti positivi abbiamo dato opportunità a nuove figure di entrare nel sistema.

(Fabio Fazio)
(Fabio Fazio)

Se penso al momento d'oro della tv più recente penso al varietà, agli show di Fiorello in prima serata campioni di ascolti. Qualcosa di simile ha provato a farlo Alessandro Cattelan, ma l'esperimento non ha reso allo stesso modo.

Cattelan è un grande professionista, ma è stato preso e messo in prima serata quando, probabilmente, avrebbe avuto bisogno di una fase di rodaggio su Rai 2, il suo spazio di provenienza, con un programma che facesse affezionare il pubblico, prima di passare alla rete ammiraglia. La tv ha bisogno dei suoi tempi, mentre oggi si cercano conduttori già pronti. Dopo la scomparsa di Fabrizio Frizzi si cercava il ‘nuovo Frizzi', ma per questo servono 40 anni di tv. Il problema è la mancanza di generosità da parte del sistema nei confronti dei giovani. Negli ultimi anni si è investito molto poco sulla loro crescita. Prima, figure come Pippo Baudo o Renzo Arbore affiancavano negli show nuovi talenti da formare. Oggi questo meccanismo non c'è più, esiste solo il ‘one man show', con l'attenzione catalizzata sul conduttore.

Il varietà sembra tuttavia un prodotto sempre più difficile da servire al pubblico. Possiamo definirlo un genere di archivio?

In questo momento il varietà, inteso nella bellezza e complessità del suo genere, non c'è. Andiamo troppo di fretta per tutto questo. Oggi l’intrattenimento si somiglia quasi in tutte le sue forme, negli studi si punta molto sui led, la scenografie sono appiattite. A volte il rischio è di essere anche molto simili alla concorrenza.

Il Quiz Show invece continua ad avere un effetto rassicurante nelle case degli italiani. Il suo successo è ancorato alla popolarità dei conduttori?

Penso di no. Naturalmente ogni conduttore ha il suo stile e i suoi punti di forza, ma è il format ad essere vincente e la struttura funziona a prescindere.

A proposito de L'Eredità: mentre in Rai cambiano i vertici si vocifera che al posto di Flavio Insinna subentrerà Pino Insegno. La sua vicinanza al premier Giorgia Meloni ha qualcosa a che fare con questa scelta?

Quella della vicinanza politica è una vecchia storia. Pippo Baudo conduceva le Feste dell'Amicizia sponsorizzate dalla Democrazia Cristiana ed era il conduttore di punta. A prescindere da questo, l'importante è che in tv non si faccia campagna elettorale e che si porti avanti il proprio lavoro in maniera professionale e Pino Insegno, così come Flavio Insinna, sono entrambi due grandi professionisti. Noi addetti ai lavori a volte ci arrovelliamo su queste dinamiche, ma credo che in fondo allo spettatore interessi solo vedere un buon prodotto in tv. Fuori dallo schermo poi ognuno fa quel che crede.

(Pino Insegno e il premier Giorgia Meloni)
(Pino Insegno e il premier Giorgia Meloni)

Però Insegno mediaticamente si è esposto parecchio e per buona parte dell’opinione pubblica questo endorsement politico ha un peso non trascurabile.

Sì è vero, ma ripeto, funziona da sempre così. Conosco Pino Insegno da quando faceva parte della Premiata Ditta, ha una storia nella televisione. Ha lavorato in Rai fino a pochi anni fa, poi è sparito. In Rai ci sono dei flussi di personaggi che vanno e vengono in base al momento televisivo, le cose cambiano. L’importante per noi è realizzare un buon prodotto per il pubblico.

Hai in cantiere un programma molto simile a Non stop, lo show di cabaret di Enzo Trapani che negli anni ’70 è stato una vera fucina di talenti, da Carlo Verdone a Massimo Troisi. Oggi l’idea di isolare sketch comici per renderli virali sui social potrebbe rivelarsi vincente. 

Quella di Non Stop è un’operazione partita su iniziativa della direttrice Simona Sala già con il ‘Videobox' nella fascia mattutina di Rai 2, dopo Fiorello, proprio per valorizzare i nuovi talenti. L'idea è di partire dalla tv per passare poi su RaiPlay, ai social e infine traghettare il pubblico di nuovo verso la tv, in quest’idea di un’economia circolare. Sarà uno show anarchico, senza conduttore come nella versione originaria di Enzo Trapani, che si trovò dalla sera alla mattina senza Pippo Baudo e dovette improvvisare. Alla fine fu un successo.

I giovani, appunto. Se sulla serialità siamo riusciti ad abbassare di molto il target di età, non si può dire lo stesso per i programmi tradizionali. Penso al fenomeno Mare Fuori. Portare gli idoli dei ragazzi nei contenitori del fine settimana è sufficiente per riavvicinarli alla tv? E si può immaginare ancora una tv dei ragazzi?

No, la verità è che non funziona e non c’è un vero e proprio traino. A Domenica In lo facciamo spesso. Sono belle pagine di tv, ma in termini di ascolti i personaggi non rispecchiano minimamente il successo che hanno nei loro spazi di origine. La tv dei ragazzi può ancora esistere, ma occorre inserirla nei canali generalisti, non confinarla sulle reti specializzate. Io ci credo molto.

Un altro modello sempre più presente è quello che vede i protagonisti dello show del sabato sera nei salotti del daytime.

Quello funziona, perché chi guarda i programmi del pomeriggio è lo stesso pubblico del sabato sera, che ritrova così i suoi protagonisti. È un'osmosi che fa bene sia alla prima serata che al contenitore che lo ospita.

La tv pubblica contribuisce anche a creare un sistema di valori generazionali. Di recente le esternazioni di Laura Chiatti sui ruoli domestici tra moglie e marito ha sollevato un polverone sui social. Internamente qual è stata la reazione? Siamo davvero stretti dai limiti del politicamente corretto?

La retorica del ‘non si può dire più niente’ in parte corrisponde alla realtà, ma questo succede per via di quei pochi che vanno sui social ad aizzare la polemica. Si alza un polverone solo se vogliamo vederla così. La verità è che c'è una buona parte di pubblico al quale di certe polemiche non interessa. Coloro che si sentono indignati da certe cose sono solo una parte, è tutto relativo.

Alla luce di oltre 30 anni di lavoro nella tv pubblica com’è cambiato il suo approccio da sognatore, poi addetto ai lavori e in ultimo dirigente?

Il mio approccio è cambiato, inevitabilmente, perché nel frattempo è cambiata la televisione, che si conferma un mezzo in continua evoluzione. Oggi ci sono meno risorse. Siamo arrivati ad una tv per lo più parlata, poco costruita e questo dipende dalla scarsezza dei mezzi, o meglio della necessità di ottimizzare le risorse. Il mio approccio oggi quindi è più realistico, nonostante continui sognare ancora la tv del passato. Ogni tanto mi rivedo le sigle dei vecchi programmi… ma poi tocca fare i conti con la realtà.

Chi sono stati per lei i ‘padri della tv'?

Come direbbe Umberto Eco, è la tv dei padri continui. Lui stesso, entrato in Rai quando il servizio pubblico era appena stato avviato, era tra i giovani ‘corsari' della tv. I miei padri sono stati sicuramente Renzo Arbore, Pippo Baudo, Raffella Carrà e ancora oggi continuo ad ispirarmi ad una tv pensata, ben costruita. Sia chiaro, si può cambiare la televisione ed è giusto guardare al futuro, ma non si può prescindere dai suoi pilastri.

*Adriano De Maio, cresce a Salerno. Si avvicina al mondo dello spettacolo conducendo la Tv dei Ragazzi per la rete locale TV OGGI. Ha oltre 30 anni di lavoro in Rai alle spalle, prima come autore, poi dirigente responsabile, capostruttura dei programmi innovativi di Rai 1, vicedirettore di Rai 2 e vicedirettore intrattenimento Day Time Rai nell’ultima stagione televisiva.

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