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Scricchiola sempre più l’Italia dei “salotti buoni”

Un matrimonio tra Pirelli e Brembo? Industrialmente potrebbe avere senso, ma si dovrà trovare la quadra per garantire il controllo senza sborsare troppi quattrini. Il capitalimo familiare italiano stenta a cambiare ricetta…
A cura di Luca Spoldi
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ProveraBombassei

I casi della vita: Marco Tronchetti Provera, vicepresidente di Mediobanca, banca d’affari di cui Pirelli & C. è tra gli azionisti storici (con una quota di poco sotto la soglia rilevante del 2% che dovrebbe aggirarsi sull’1,83%, vale a dire poco più di 82 milioni di euro di controvalore ai prezzi correnti), si trova da mesi ai ferri corti con la famiglia Malacalza (imprenditori attivi nel settore autostradale sin dagli anni Sessanta e poi entrati in quello dell’acciaio negli anni Ottanta, per diversificare ulteriormente negli ultimi due decenni anche nell’energia e nel settore immobiliare), chiamata “improvvidamente” a far parte dei “soci forti” del gruppo attraverso una doppia partecipazione in Camfin (holding che possiede il 26,19% di Pirelli & C. nella quale i Malacalza sono soci al 12,37% mentre Gpi ha il controllo col 42,65%) e nella stessa Gpi (dove i Malacalza sono soci al 30,94% e Tronchetti Provera, con la Marco Tronchetti Provera & C. Sapa, è l’azionista di maggioranza col 54,9%).

Doveva essere la “classica” operazione di “cooptazione” del capitalismo familiare italiano, dove le porte di salotti e salottini buoni si aprono a nuovi azionisti con cui i soci di controllo sono da tempo in buoni rapporti e che in cambio di cotanta “entratura” portano mezzi freschi utili a rimpolpare i patrimoni dei salotti medesimi. Salotti che, con l’eccezione proprio della galassia di società che fa capo al presidente della Pirelli & C., in questi anni hanno finito con l’accumulare debiti ingenti e a dover procedere ad altrettanto ingenti svalutazioni degli asset, si veda ad esempio (ma non è l’unico caso, anzi secondo IlSole24Ore nel complesso i “salotti buoni” italiani hanno accumulato 5 miliardi di debiti e 3 miliardi di svalutazioni) quanto capitato in questi giorni a Telco, società che raggruppa tra i soci Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Generali e Telefonica a cui fa capo il 22,45% di Telecom Italia e che ha appena svalutato, nuovamente, i titoli in portafoglio (da 1,5 a 1,2 euro, contro i 2,75 euro a cui i titoli furono acquistati da Olimpia nel 2007) arrivando così a 3,5 miliardi “bruciati” in cinque anni, senza tener conto degli 1,26 miliardi di euro di riserve abbattute per compensare perdite, dei 600 milioni di euro di aumento di capitale dello scorso anno e degli 1,75 miliardi di prestito obbligazionario sottoscritto sempre l’anno passato dai soci in proporzione alle quote. Società che ha debiti complessivi per 2,8 miliardi a fronte di un valore della quota nell’ex monopolista telefonico italiano che non vale oltre 2,5 miliardi al momento.

Invece qualcosa è andato storto, i Malacalza non hanno gradito il ruolo loro assegnato, hanno eccepito sul merito della gestione di alcuni “dossier” come Prelios, hanno puntato i piedi chiedendo che Tronchetti ricapitalizzasse. Hanno insomma iniziato a “rompere le scatole” (di compensazione del capitalismo familiare italiano) e il mercato ha scommesso che presto o tardi sarebbe stato divorzio. Ma per divorziare serve prima trovare un’alternativa, sennò occorrerebbe mettere mano al portafoglio e questa è una pratica che non piace molto ai nostri grandi imprenditori. Così gli analisti di Mediobanca ci hanno pensato su, fatto qualche conto e provato a “indovinare”: sarà mica possibile vedere un matrimonio tra Pirelli & C. e Brembo? Dopo tutto la cosa ha un senso: Alberto Bombassei , presidente e principale azionista di Brembo col 56%, “potrebbe pensare alla sua successione, soprattutto ora che è sceso in politica”, Marco Tronchetti Provera non rischierebbe la sua presa su Pirelli & C. (la nuova società derivante da una fusione “pura”, carta contro carta, vedrebbe quali soci “forti” Camfin al 22,5% e Bombassei all’8%).

Peraltro, ammettono gli analisti, non è detto che Bombassei voglia passare dal ruolo di azionista di maggioranza assoluta di una società più piccola “ad una dell’8% come secondo azionista” in un gruppo di dimensioni di molto superiori e potrebbe preferire l’ipotesi di un premio di maggioranza per la cessione dei suoi titoli (ottenendo in cambio più dell’8% di Pirelli) o voler vendere solo se Pirelli effettuasse un’acquisizione in contanti  (ma in questo caso gli uomini di Mediobanca mettono le mani avanti ammettendo che Tronchetti Provera potrebbe decidere di non procederebbe con l’operazione). Insomma: anche ai “massimi livelli” del capitalismo familiare italiano e anche nelle ipotesi “di studio” della più celebre banca d’affari tricolore (che negli scorsi giorni ha elaborato scenari sugli esiti delle elezioni che hanno fatto sorridere alcuni commentatori dato che sottolineavano come in caso di “ingovernabilità” si rischiasse di tornare a votare in tempi brevi, il che sembra osservazione a dir poco lapalissiana) l’idea di fondo resta quella di cercare la quadratura del cerchio mantenendo il controllo di aziende (ma lo stesso vale per le banche come già detto) pur senza sborsare troppi capitali, che in generale difettano alle nostre aziende (e banche), anche se a volte non difettano agli imprenditori (e banchieri) intesi come persone fisiche.

Una mentalità e una pratica di “business” che è figlia di un passato che la classe dirigente politica ed economica italiana fatica a lasciarsi alle spalle e che, assieme ai vincoli esterni (legati alla partecipazione all’Eurozona e alla congiuntura economica mondiale) ed interni (legati agli interessi contrapposti e ai veti incrociati delle molteplici corporazioni in cui si divide la “società civile” italiana) continuano a farmi prevedere che indipendentemente da chi vincerà (o non vincerà) l’esito elettorale del 24 e 25 febbraio prossimo, ben poco potrà cambiare nel concreto per gli italiani, sia come situazione attuale sia come prospettive. Forse per questo alcuni scorgono nell’ideologia disfattista della “decrescita” più o meno (in)felice non una via di fuga ma un destino inevitabile a cui è meglio prepararsi sin d’ora. Personalmente rifiuto tale impostazione disfattista, ma certo la nostra classe dirigente non fa nulla per offrire una qualche speranza di segno opposto. Come dicono a Napoli, deve passare la nottata. Speriamo passi in fretta, aggiungo io.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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