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In cucina non si butta niente: 10 piatti romani cucinati con gli avanzi

A Roma cucinare con gli avanzi è una vera e propria arte. Tutto sta nella capacità di saper riutilizzare ciò che si ha a disposizione e di sapersi arrangiare. Dalla trippa cucinata con gli scarti della carne al lesso di picchiapò, in questa guida scopriremo piatti poveri, ma non per questo meno squisiti.
A cura di Alessandro Rosi
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A Roma la frase "non si butta via niente" non vale solo per il cibo, ma anche per le costruzioni: Santa Maria in Trastevere è stata infatti costruita con i marmi e travertini delle Terme di Caracalla. Saper riusare gli scarti o gli avanzi di cibo è una scelta etica, ma anche un'arte che affonda le radici nella tradizione romana. In questa guida vi indicheremo quali sono i piatti che potete preparare con ciò che resta e anche in quali ristoranti potete trovarli. Ma indipendentemente dagli indirizzi suggeriti, le migliori ricette sono quelle che cucinate a casa vostra.

1. Stracciatella

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Per gli eventi importanti come la Pasqua e il Natale non può mai mancare un buon brodo di carne. Spesso, però, se ne prepara più del dovuto. E allora? Come si può riutilizzare? Basta aggiungere un po' di uova e parmigiano e il gioco è fatto: così nasce la stracciatella. Una zuppa nutriente che deve il proprio nome a quel composto. Una volta che l'uovo sbattuto entra a contatto con il brodo bollente si trasforma infatti in piccoli "straccetti".

Dove mangiarla: Trattoria Perilli (quartiere Ostiense).

2. Vignarola

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Tornate dalla vigna e avete con voi primizie della terra come fave, piselli e carciofi. Li cucinate ma vi avanza un pezzo di gambo da uno, altre parti da un altro. È quindi tempo di prepararvi la vignarola. A Roma con "vignaroli" si intendono i contadini, che di ritorno dai campi usavano le verdure raccolte nell'orto per preparare questo piatto. Una delizia, che può essere servita sia come antipasto che come contorno.

Dove mangiarla: Flavio al Velavevodetto (Testaccio), L'Arcangelo (Prati), Trattoria da Cesare (Casaletto).

3. Supplì

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Quando cucinate il pollo e restano le rigaglie (interiora) oppure preparate il vitello e rimangono le animelle, allora è il momento di preparare uno dei piatti romani più noti: il supplì. Ma gli ingredienti non sono più gli stessi, sostituiti dal comune ragù. Non è cambiata invece la mozzarella, che non può mancare nel supplì romano. Eppure è stata inserita nella ricetta solo in un secondo momento, per la precisione nel Novecento. Così come all'inizio non era prevista neanche la panatura e il pomodoro. Le truppe napoleoniche che nel 1874 importarono a Roma la "surprise", non panavano infatti la palla di riso bianca ripiena di carne, ma la friggevano così com'era. E ancora oggi nella Capitale ci sono alcuni locali che mantengono questa tradizione.

Dove mangiarlo: Casa del supplì, Via di S. Francesco a Ripa, 137 (Trastevere), o Supplizio.

4. Minestra di broccoli e arzilla

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Se vi avanza un po' di pasta e avete in frigo del broccolo romano, ecco allora che potete cucinare la minestra di broccoli e arzilla. Non avete mai sentito il termine "arzilla"? Non preoccupatevi, perché è usato solo in alcune zone d'Italia. Si usa infatti nel dialetto per indicare la razza chiodata, un pesce privo di lisca e spine, fatto solo di cartilagini, con cui si prepara il brodo che serve per la ricetta. Un piatto così popolare tra i romani che Aldo Fabrizi, uno degli attori più popolari della Capitale, gli ha dedicato una poesia:

Sta minestra barsamica de pesce,
specie si er brodo è fatto co’ l’arzilla,
ve basta solo d’assaggià ‘na stilla
pe’ dì: "Mò panza mia poi pure cresce!”
È peggio de ‘na droga sconosciuta
che intossica er palato e nun dà tregue:
tutti li venerdì, ‘na ricaduta

Dove mangiarla: Armando al Pantheon.

5. Pasta alla zozzona

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Avete appena finito la brace con i vostri amici e sul tavolo sono rimaste delle salsicce. Bene, per non sprecarle, potete cucinare la pasta alla zozzonaUn nome che deve al dialetto romano, dove per piatto "zozzo" si indica uno estremamente ricco (ma anche impegnativo per la digestione). E dal momento che la ricetta per questo primo piatto prevede guanciale, tuorli, pecorino, pomodorini e salsiccia, capirete subito che non si tratta di un piatto leggero. Ma anche che si parla di un piatto molto buono e soddisfacente.

Dove mangiarla: Lo Zozzone, Via del Teatro Pace, 32 (Centro storico).

6. Gnocchi alla romana

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Aprite il frigo e la bottiglia di latte che avete comprato la mattina è quasi piena. Potete allora scaldarlo e gettarvi dentro il semolino, per avere gli gnocchi alla romana. Importante è girarlo per evitare grumi e poi, una volta cotto, stenderlo su una teglia. A questo punto si potrà tagliare in cerchi e condire con burro e formaggio. Una prelibatezza.

Dove mangiarli: Matricianella (Centro storico) oppure Osteria Palmira (Gianicolense).

7. Quinto quarto: pajata, trippa e coratella

In cucina, con quinto quarto si indica tutto ciò che non fa parte dei tagli principali dell'animale, ovvero quelli anteriori e posteriori. Sono le frattaglie: cervello, cotenna, budella, cuore e così via, ovvero gran parte degli organi interni dell'animale. Con questi a Roma si preparano della ricette che fanno parte della tradizione.

7.1 Pajata

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Quante volte guardando il piatto ci siamo domandati: "Cos'è?". Lo chiede anche nel film di Monicelli l'ospite francese al Marchese del Grillo, davanti ai rigatoni alla pagliata. E Alberto Sordi risponde: ""Be', meglio che non te lo dico". Non bisogna essere infatti deboli di stomaco, perché con pagliata si intende la parte più alta dell'intestino tenue del vitello da latte. Aggiunta alla pasta la rende però molto gustosa.

Dove mangiarla: SantoPalato (Re di Roma), Checchino dal 1887 (Testaccio).

7.2 Trippa

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A Roma ogni giorno della settimana è dedicato a un piatto diverso. Giovedì gnocchi, venerdì pesce e sabato? Trippa. Il motivo è da ricercare nella storia della Capitale. I macellai vendevano le parti più pregiate della carne alle famiglie ricche, così la domenica potevano avere il miglior pranzo possibile, mentre a loro andavano i resti: ovvero la trippa. Stiamo parlando dello stomaco del bovino, che viene cotto insieme al sugo, mentuccia e pecorino. Un piatto che contiene solo il 4% di grassi e il 17% di proteine. Se poi volete provare una versione diversa, potete ordinare quella fritta.

Dove mangiarla: Trecca (Ostiense).

7.3 Coratella

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Tagliata a cubetti, la coratella è un miscuglio di interiora di agnello, tra cui cuore, fegato e polmoni. Cotta in umido, può essere condita con il sugo oppure anche essere lasciata in bianco. Ma per renderla ancor più saporita bisogna aggiungere i carciofi.

Dove mangiarla: SantoPalato (Re di Roma), Checchino dal 1887 (Testaccio).

8. Picchiapo'

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Come rendere più gustosa la carne utilizzata per il brodo? È sufficiente tagliarla a pezzi, metterla in padella insieme a pomodori e cipolle, ed ecco che si ha un tenero e saporito lesso di picchiapò. Da dove viene il nome? Probabilmente dal luogo in cui nasce, ovvero Testaccio. Qui, a ridosso del Mattatoio, la carne veniva "picchiata" sul tagliere per renderla più morbida. Ma non è l'unica ipotesi sull'origine del nome. Alcuni ritengono che derivi da una favola in prosa romanesca di Trilussa, che racconta di un personaggio di nome Picchiabbò, un "ometto accusì piccolo che uno se lo poteva mette in saccoccia come la chiave de casa".

Dove mangiarlo: Trapizzino.

9. Padellaccia di maiale

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Del maiale non si butta via niente, ma bisogna saper utilizzare ciò che resta. Qui parliamo delle rifilature, che si ottengono una volta rimosso il grasso e le pelle del suino in eccesso. Con queste si potrà allora cucinare la padellaccia. Un piatto caratteristico della tradizione laziale, che si preparava subito dopo la mattanza del maiale. E anche un piatto povero, legato alla tradizione contadina e all'allevamento del maiale. La carne viene salata, aromatizzata e cotta a fuoco vivo. Per poi essere servita ben calda.

Dove mangiarla: Trapizzino.

10. Polpette alla romana

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Non c'è modo migliore di utilizzare il lesso avanzato se non per preparare le polpette. Alla carne rimasta dopo la cottura si aggiunge "lardo o grasso di prosciutto, aglio, prezzemolo, maggiorana, mollica di pane bagnata e strizzata, uova, parmigiano, uvetta passerina e pinoli". Almeno così suggeriva negli anni Sessanta la gastronoma Ada Boni, che poi indicava di passare il tutto nel pangrattato e dopodiché friggere. Oggi la ricetta è rimasta la stessa, ma non si può dimenticare l'ingrediente principale: il sugo. E così ecco le polpette al sugo, piatto tipico romano.

Dove mangiarle: Felice a Testaccio.

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