
Il Comune di Roma ha dichiarato che saranno stanziati nove milioni di euro da investire in telecamere e illuminazione pubblica tra il 2022 e il 2023. La decisione è stata presa in seguito ai nuovi casi di violenza sessuale avvenuti nella capitale negli ultimi giorni, in seguito ai quali è stato convocato un tavolo in prefettura. L'assessora alle Attività produttive e alle pari opportunità ha chiesto al prefetto Matteo Piantedosi una mappatura delle zone più a rischio. I quartieri dove maggiori sono i casi di violenza, riferisce l'assessora, sono Termini e San Lorenzo.
Illuminare le strade di notte è di sicuro preferibile che lasciarle al buio, ma questa – insieme all'installazione di nuove telecamere – non può essere considerata una risposta al problema degli stupri. Dopo Milano, Roma è già la città con più telecamere d'Italia, con migliaia di occhi all'attivo sul territorio. Nessuna donna si è mai sentita al sicuro solo perché ne aveva una puntata addosso, e nessuna di queste ha mai fermato una violenza sessuale. Al massimo, se le immagini sono abbastanza nitide, possono servire a identificare l'aggressore nei giorni successivi allo stupro. Ma, come ci insegna il caso della violenza di Garbatella, a volte non riescono nemmeno in quello.
Ridurre la violenza contro le donne a panico sociale da risolvere con la videosorveglianza è solo uno specchietto per le allodole che aggira la questione invece di puntare a risolverla. Soprattutto non si può pensare di risolvere il problema – che non è emergenziale, ma strutturale – con un approccio securitario. Invece di telecamere, bisognerebbe parlare di presidi territoriali, sociali e culturali, che consentano alle persone di incontrarsi, stare insieme e presidiare in questo modo le strade, rendendole così più sicure. Investire su questo, sulla creazione di nuove piazze e promuovere una socialità che non sia volta solo al consumo in bar e ristoranti. Una socialità che però, almeno in passato, è stata osteggiata in nome del ‘decoro' a suon di multe e sanzioni.
C'è poi un punto importante da considerare: la maggior parte degli stupri e degli abusi avvengono giornalmente nelle case, a opera di persone conosciute e membri della propria famiglia. Un dato che viene troppo spesso sottovalutato e ignorato, nonostante le continue denunce e aggressioni all'interno del nucleo familiare. Le donne uccise nel 2020, nel 77,6% dei casi sono morte tra le mura domestiche, a significare che sono le case – e non le strade – i luoghi più pericolosi. Nemmeno la minaccia del carcere e l'inasprimento delle pene sono mai serviti a contrastare il problema: figuriamoci cosa può fare una telecamera in più in strada.
