
Prima erano i viaggi di istruzione, ora le sospensioni. Continuano ad arrivare provvedimenti contro gli e le studenti che hanno occupato le scuole in questo nuovo caldo autunno nella capitale. E sono sempre diversi, sempre creativi. "Se si impegnassero per risolvere i problemi della scuola come si impegnano per trovare nuovi modi con cui sanzionare i ragazzi e le ragazze forse ci sarebbero meno proteste", direbbe qualcuno. "Ma non è un compito che spetta a loro", risponderebbe un altro.
Ciò che sembra non abbiano ancora capito nel corpo docenti di alcune (molte, forse troppe) scuole è che punire gli e le studenti per una protesta sarà sempre controproducente. Giovani e giovanissimi protestano per essere ascoltati e vengono puniti, ma chi punisce chi non li ascolta?
Il caso del Mamiani è un caso lampante. Facendo leva sui danni che ha riportato la scuola, la preside punisce il corpo studentesco e sceglie una misura che colpisce, su 1200 studenti, 230 persone che saranno sospese. E come se non bastasse, sceglie di punire i ragazzi e le ragazze occupanti, in base al grado di coinvolgimento dei singoli, andando a compromettere il significato stesso di protesta collettiva. Così, chi ha organizzato l'occupazione si ritroverà il voto in condotta abbassato e maggiori rischi alla fine del quadrimestre; chi ha partecipato avrà qualche preoccupazione per la propria media scolastica, mentre chi non ha partecipato potrà continuare a dormire sogni tranquilli.
Perché dovrebbe essere giusto punire, alla cieca, chi ha partecipato ad un'occupazione a difesa dei proprio diritti, ma nessuno pensa mai alle cause che hanno portato alla protesta? Non sarebbe più utile semplicemente trovare un confronto con gli e le studenti per riuscire a convivere e a garantire una tranquilla e proficua permanenza in quella che, per quasi i primi 20 anni della nostra vita, è come una casa per noi?
