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Opinioni

Quanto dobbiamo preoccuparci per il “governo del cambiamento” Lega – M5s?

La bozza di contratto di governo è assolutamente credibile, nel senso che rispetta in pieno quello che è il terreno comune su cui può nascere un esecutivo giallo-verde. Un governo del fare, dai tratti fortemente autoritari e con politiche illiberali, in cui il consenso popolare sia usato come un grimaldello per scardinare prassi e consuetudini. Ma soprattutto, per cementare i due elettorati intorno a una ideologia aggressiva ed escludente, che riscrive completamente l’approccio a temi come immigrazione, giustizia, rapporti col mondo islamico, difesa personale.
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La diffusione della bozza del contratto di governo predisposta dalle delegazioni di Movimento 5 Stelle e Lega ha dato vita ad accesissime polemiche, monopolizzando il dibattito pubblico sulla formazione del nuovo governo. Di fronte alle accuse ricevute dagli oppositori e dai media, già al momento delle anticipazioni diffuse da HuffPost, Di Maio aveva replicato con un messaggio criptico, spiegando di ricavare nuove energie dagli attacchi e di considerare “nemico” chi non vuole il cambiamento. Salvini si era collocato sulla stessa barricata, rilanciando l'idea del fuoco di sbarramento preventivo contro chi, lui e Di Maio, sta facendo di tutto per "cambiare l'Italia". Una specie di “molti nemici, molto onore”, che non sembra proprio il modo migliore per calmare gli animi e ridimensionare la portata di alcuni punti del contratto (come aveva invece provato a fare il professor Della Cananea, autore della primissima bozza del contratto di governo).

Nonostante l’intero impianto e la natura stessa del contratto siano stati oggetto di contestazioni e rilievi, tre sono i punti su cui si è concentrata la polemica: il comitato di conciliazione, la richiesta alla BCE di cancellare 250 miliardi di euro di debito e l’approccio alla questione “giustizia”. Sulla creazione di un comitato che intervenga “qualora nel corso dell’azione di governo emergano diversità per quanto concerne l’interpretazione e l’applicazione” dell’accordo, si è scritto molto in queste ore. L’evidenza della non conformità di un simile strumento ai principi della Costituzione e il modo semplicistico con il quale si è immaginato di affiancare al Consiglio dei ministri una struttura parallela che possa addirittura “sospendere per almeno dieci giorni” i lavori delle istituzioni e decidere per esse, hanno provocato giustificati allarmi e fondatissime polemiche. La partecipazione dello stesso Presidente del Consiglio, dei capi dei partiti e dei capigruppo in Parlamento, a un organismo para-istituzionale (che addirittura è chiamato a votare sui provvedimenti che poi il Cdm adotterà), sarebbe un caso senza precedenti nella storia repubblicana e, oltre a mettere in crisi il concetto stesso di separazione dei poteri (con la commistione del livello esecutivo e legislativo), rappresenta uno schiaffo alla centralità del Parlamento e all’intera architettura istituzionale italiana. Anche perché i paragoni con il Consiglio di gabinetto, composto esclusivamente da membri del governo, oppure con il vertice di maggioranza (che non blocca il lavoro del Cdm e non ha mai ricevuto formalizzazione ufficiale ecc.) non regge. Pensare che un contratto tra soggetti privati possa vincolare le attività dei rappresentanti del popolo italiano è davvero spingersi a un passo dal livello eversivo.

[EDIT 17 maggio: E infatti, come prevedibile, il "Comitato di Conciliazione" è scomparso dall'ultima versione del contratto, sostituito da un più ragionevole "accordo fra le parti in caso di divergenze".

EDIT 18 maggio: il Comitato è riapparso magicamente nel testo definitivo, anche se si precisa che "la composizione e il funzionamento del Comitato di conciliazione sono demandate ad un accordo tra le parti.” Insomma, c'è ma non si sa come funziona e chi ci sarà"]

Peraltro, il quadro diventa decisamente preoccupante se a ciò aggiungiamo che i parlamentari del Movimento hanno firmato un Codice etico in cui si impongono vincolo di mandato (inserito anche nel programma comune) e multe in caso di “non conformità” alla linea ufficiale (anche per dichiarazioni e interviste non autorizzate). Difficile, per non dire impossibile, che il Capo dello Stato non abbia nulla da dire. O che, quantomeno, voglia capire dove stiano andando a parare Salvini e Di Maio.

Ecco, il punto è questo: c’è un disegno volto a trasformare in chiave illiberale gli strumenti della partecipazione e del processo democratico? O siamo di fronte a qualcosa di profondamente diverso e, paradossalmente, altrettanto complesso? Cosa c'è da aspettarsi da un governo che nasce su queste premesse? Ancora: se le fortune elettorali della Lega e del M5s dipendono dalla crisi della democrazia liberale, è lecito aspettarsi che loro si muovano all'interno degli schemi della democrazia liberale? Il rischio paventato da molti, per dirla con altre parole, è che il tunnel per uscire dalla crisi disegnato da 5 Stelle e Lega porti anche fuori dalla democrazia liberale. Il confine tra allarmismo e valutazione oggettiva, fra tifo da stadio e ragionamento politico, fra accuse di "s-fascismo" e retorica da rivoluzione in essere, non è mai stato così confuso, tanto che ogni ragionamento rischia di essere parziale, frammentario, incompleto. Anche perché non andrebbero sovrapposti i piani: un governo, sostenuto da una maggioranza parlamentare espressione del voto popolare, ha il diritto – dovere di prendere le decisioni ritenute migliori per i cittadini, ha il diritto – dovere di lavorare seguendo programmi e orientamenti condivisi, ha il diritto – dovere di onorare il patto dei partiti coi cittadini.

Ecco, appunto. Il Movimento 5 Stelle e la Lega stanno facendo esattamente ciò per cui sono stati votati, ciò che hanno promesso ai propri elettori e ciò che ci si dovrebbe aspettare da forze dichiaratamente antisistema. È abbastanza singolare stupirsi perché l’unione di due populismi diversi abbia generato una piattaforma di governo fortemente populista e con una chiara impronta sovranista e antisistema. Cosa vi sareste aspettati? Che Di Maio e Salvini utilizzassero concetti come responsabilità e buonsenso, oppure si muovessero “dentro i parametri europei” e “nel solco della tradizione moderata e riformista”? Che il grande libro dei sogni della campagna elettorale fosse archiviato e il governo del cambiamento fosse una specie di Gentiloni bis più pop e meno formale? Il problema, invece, è proprio questo: che la bozza di contratto di governo è assolutamente credibile, nel senso che rispetta in pieno quello che è il terreno comune su cui può nascere un esecutivo giallo-verde. Più vicino al modello Orban e ad alcune suggestioni provenienti dall’est europeo che al modello Merkel, il cui contratto di governo è citato completamente a sproposito. Un governo del fare, dai tratti fortemente autoritari, in cui il consenso popolare sia usato come un grimaldello, per legittimare forzature e cambiamenti radicali delle prassi e delle consuetudini della vecchia politica, prima di tutto. Ma anche per giustificare scelte e compromessi al ribasso, mediazioni e bocconi amari che i due elettorati saranno chiamati a ingoiare col passare delle settimane.

La seconda considerazione da fare è relativa al tempo di durata di un governo di questo tipo. Ovviamente il quadro politico è volubile per tradizione, ma leggendo le proposte si capisce come l'orizzonte dell'alleanza non sia limitato al breve periodo, né a pochi punti da approvare prima di riportare il Paese al voto: è un patto politico, prima di tutto, che potrebbe anche dar vita a una alleanza strutturale. Le misure proposte nel contratto richiedono tempo per essere attuate e ancor di più per determinare qualche risultato, in un senso o nell'altro. La piattaforma cui hanno lavorato Salvini e Di Maio, nel frattempo, costituisce un primo tentativo di saldatura fra due differenti "tipologie" di populismo: quello sovranista, nazionalista, "di estrema destra" della Lega e quello "gentista", anticasta e radicale del Movimento.

La polemica anti – Ue, la reazione all’aumento dello spread, il velato ricatto contenuto nel contratto di governo, sono ulteriori elementi che chiariscono quale sarà la filosofia alla base dell’esecutivo giallo-verde: vittimismo e sindrome da accerchiamento, architravi della narrazione populista, vera autobiografia della nazione. Avendo grande difficoltà a trovare un terreno comune sul quale muoversi, Lega e M5s si compatteranno grazie al “nemico comune”. Il programma di governo ne è una prima dimostrazione: ci sono una serie di punti cui si arriva semplicemente “per contrarietà”, mentre le riflessioni, le proposte e le idee nascono soprattutto attraverso la costante individuazione del nemico comune. L’Unione Europea, la tecnoburocrazia e i banchieri cattivi, certo, ma anche gli immigrati, i musulmani, i “delinquenti”: gli obiettivi della campagna elettorale sono ora a portata di mano e vanno colpiti, in un modo o nell’altro.

È la natura stessa delle due formazioni politiche ad aver determinato un contratto di governo di questo tipo, lo ripetiamo. E ciò è molto interessante se si considera l’evidente preminenza dell’impostazione leghista, che è certamente il risultato di un compromesso (ai grillini Palazzo Chigi, ai leghisti le mani sul programma), ma che restituisce il senso dell'intera operazione: strutturare e cementare un blocco populista, tanto in Parlamento, quanto nel Paese. Lo spontaneismo, l’approccio per cui autenticità e schiettezza sono le maggiori doti di un politico, il fastidio con cui si guarda agli esperti, ai tecnici, ai professoroni, il giustizialismo aggressivo e manicheo, la subordinazione delle libertà individuali a concetti come sicurezza e decoro, la semplificazione dei processi amministrativi, l’approccio escludente al dramma dei migranti, la rivendicazione della purezza del popolo, il prima gli italiani come pratica concreta e non solo formula vuota, la riduzione della complessità in favore della velocità: sono tutte componenti di una nuova ideologia di cui Salvini è stato il pioniere, che ora viene sposata in pieno dal Movimento 5 Stelle.

Il contratto di governo è intriso di questa ideologia aggressiva ed escludente, che permea profondamente l'approccio a temi come immigrazione, giustizia, rapporti col mondo islamico, difesa personale. Mentre la polemica politica si concentra sulla richiesta di cancellazione del debito o sulla proposta di vincolo di mandato (impossibile la prima, incostituzionale la seconda), il "governo del cambiamento" propone espulsioni di massa, incarcerazione di migliaia di migranti, chiusura di alcune moschee e imposizione dell'italiano come lingua per la pratica religiosa, consultazioni popolari per la costruzione di luoghi di culto, pene durissime anche per reati lievi (nota a margine: si tratta di delitti che in gran parte sono commessi da persone nella fascia di esclusione, dagli ultimi della società), sgomberi massicci delle strutture occupate, eliminazione dei vincoli al concetto di difesa personale, uso dei concetti di decoro e sicurezza per legittimare pratiche punitive nei confronti del dissenso e della marginalità sociale. Su tali punti, dunque, il problema non è rappresentato dalla presunta incapacità di grillini e leghisti nel "rispettare le promesse elettorali". Il problema nascerà se andranno fino in fondo.

La saldatura di questa ideologia con pratiche economiche redistributive o addirittura di stampo keynesiano e con una politica estera che, se perseguita fino in fondo, porterà all'isolamento sul piano internazionale, potrebbe avere effetti clamorosi sul nostro Paese. Potremmo trovarci di fronte davvero a un cambiamento epocale che, prima ancora di ogni valutazione di merito, determinerà uno scenario del tutto nuovo per l'Italia, con conseguenze tutte ancora da valutare. Legittimamente, lo ripetiamo, un patto di questo tipo farà dell'Italia la prima cavia di un esperimento politico molto complesso: l'uscita dalla crisi (economica, culturale, sociale) attraverso un governo populista, fortemente caratterizzato a destra.

Il dibattito di queste ultime settimane, invece, sembra andare da tutt'altra parte e si tende a liquidare l'alleanza M5s – Lega come un pastrocchio politicista, influenzato (ma de che?) da Berlusconi e da Meloni (che invece potrebbe portare il "soccorso nero" in Parlamento, sui punti che i parlamentari M5s "di sinistra" non avranno il coraggio di votare) e dunque destinato a fallire miseramente. Ancora una volta, la sensazione è che si stia sottovalutando la portata del processo in atto, come fatto anni fa, prima col Movimento 5 Stelle di Grillo e poi con la Lega Nord di Salvini. L'approccio dei renziani, ad esempio, è quello dei popcorn, con meme, commenti ironici e dissacranti a farla da padrone sui social: la strategia è quella di aspettare che passi il cadavere del nemico, che gli italiani si accorgano del disastro e li invochino come salvatori. Strategia che a Roma ha funzionato benissimo, ci pare.

Ciò che sta avvenendo mi fa venire in mente un passaggio della campagna elettorale per le Presidenziali statunitensi. Durante il confronto televisivo, mentre Trump paventava la possibilità di mandare in galera la Clinton, tutto ciò che la rappresentante democratica riusciva a opporvi era un sorriso stiracchiato, di bonaria superiorità. Ecco, di fronte all'emergere di una ideologia e una visione del mondo e della politica illiberale e aggressiva, le elite democratiche erano riuscite solo a opporre il sorriso paternalista e ghignante della Clinton. E la storia, si sa, ama ripetersi.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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