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Opinioni

Taglio dei parlamentari: non ha perso la Ka$ta, ma la politica e la democrazia

Tra applausi scroscianti e grida di giubilo, il Parlamento italiano ha approvato in via definitiva una pessima riforma della Costituzione, riducendo semplicemente il numero dei parlamentari, in nome di ragioni deboli o vere e proprie bufale. Un enorme spot, una misura non necessaria, che rischia di avere ripercussioni sullo stesso concetto di democrazia.
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Ci sono tante buone ragioni per giudicare il taglio dei parlamentari un errore, una scelta sbagliata nel merito e certamente non prioritaria per il Paese. Qualcuna l’abbiamo raccolta qui, omettendo volutamente la più importante, sperando che alla fine la ragione prevalesse sugli accordicchi di palazzo e che la parola coerenza potesse ancora avere un minimo di senso all’interno del Parlamento italiano. Il problema centrale, la madre di tutte le ragioni ostative a un provvedimento di questo tipo, resta: non si cambia la Costituzione, non si cambiano le regole del gioco, non si cambiano gli assetti istituzionali soltanto per mantenere in piedi un accordo di governo tra le singole forze politiche. Non si dovrebbero accettare ultimatum sulla Costituzione, non si dovrebbero fare o subire ricatti mentre si sta discutendo dell’impianto costituzionale del nostro Paese. Valeva per la riforma del 2016, fatta da Renzi in perfetta solitudine tra minacce di ripercussioni sulla legislatura e nel partito. Valeva nei mesi del governo gialloverde, con il ridicolo scambio di favori tra Lega e 5 Stelle. E vale adesso, per un Partito Democratico completamente schiacciato su posizioni grilline e protagonista di uno dei più clamorosi voltafaccia della storia recente.

I democratici hanno votato per tre volte contro questa legge costituzionale. Tre volte. Pronunciando parole di fuoco in Aula e nelle Commissioni. Promettendo il referendum e la battaglia nelle piazze. Per poi votare a favore, a seguito di un patto politico con il Movimento 5 Stelle (che ha vincolato alla riforma la nascita stessa del governo) e alla supercazzola dei “correttivi” all’intero impianto (collegi, regolamenti parlamentari, eccetera), che sarebbero stati comunque necessari e non sono una gentile concessione di Luigi Di Maio.

Eppure, il testo non è cambiato. Né è cambiata la retorica con cui è impacchettato. Né è cambiato il frame comunicativo, la vittoria dei cittadini sulla casta. Questo resta, parola dei parlamentari democratici in dichiarazione di voto, soltanto uno spot elettorale. Un taglio casuale numerico. Per citare Stefano Ceccanti, deputato democratico e grande conoscitore della materia:

Non c'è alcuna consapevolezza dei riflessi dei numeri che si adottano: ve l'abbiamo spiegato più volte cosa significa avere un Senato eletto a base regionale con 200 persone, quali soglie implicite si determinano, quali effetti si determinano sui Regolamenti parlamentari, sui numeri della composizione dei gruppi, della composizione delle Commissioni. Non vi è interessato questo, perché c'è solo lo spot elettorale da fare! Oltre a non esserci solennità, non c'è neanche concordia, quella che dovrebbe esserci in materia costituzionale.

Ceccanti concludeva citando Aldo Moro, sul concetto di "responsabilità" del fare politica. L’intero Parlamento, o quasi, abdica a questa missione per paura di una scelta impopolare (e del resto, dopo anni di assenza della politica, chi si sognerebbe ancora di difendere questa classe parlamentare?) e per l’incapacità di guardare oltre le prossime settimane, o mesi quando va bene.

E così, tra applausi scroscianti e grida di giubilo, si dà il via libera a una riforma scritta male e gestita peggio, che a ben guardare non risponde nemmeno alla richiesta di onestà, trasparenza e cambiamento radicale della politica italiana, che è alla base della nascita del Movimento 5 Stelle. La riforma riduce le spese, certo, ma di cifre che non esiteremmo a definire “non significative” e che certamente appaiono esigue se commisurate a concetti come rappresentanza e partecipazione democratica. Parliamo dello 0,007% della spesa pubblica italiana, secondo Osservatorio Conti Pubblici; di 80 milioni di euro l’anno secondo Pagella Politica. Una cifra esigua, che però rilancia la tesi bislacca che i costi della democrazia possano essere qualcosa di superfluo, da poter tagliare senza paura delle conseguenze.

La riforma riduce la rappresentanza, indebolisce le Camere, rafforza e verticalizza (indirettamente) il potere nelle mani dell’esecutivo, non accelera il percorso decisionale, rischia di alzare in maniera drammatica la soglia implicita di sbarramento, di produrre effetti distorsivi a livello regionale. Ne valeva la pena pur di dire “abbiamo sconfitto la Ca$ta!!!”?

E la cosa peggiore è non sapere nemmeno cosa rispondere a questa domanda…

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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