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Stato Mafia, parla Ciancimino jr: “Soldi di Cosa Nostra per la Milano 2 di Berlusconi”

Al processo per la presunta trattativa, la procura ha sentito la lunga deposizione del figlio dell’ex sindaco. Massimo Ciancimino, interrogato dal pm Nino Di Matteo, ha parlato dei rapporti del padre con i servizi segreti, Provenzano, Berlusconi e Toto Riina, considerato “uno stupido”, da Vito.
A cura di Biagio Chiariello
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"Mio padre conosceva Bernardo Provenzano e anche io e i miei fratelli lo conoscevamo. Frequentava settimanalmente casa nostra. Ne ho ricordi fin dagli anni 70. C'era un rapporto familiare. Si presentava col nome di ingegnere Lo Verde". Inizia con queste parole la deposizione in aula di Massimo Ciancimino, imputato e teste al processo sulla trattativa Stato-mafia, davanti alla Corte d'Assise di Palermo. Ciancimino ricorda i rapporti tra suo padre, Vito, e il boss Bernardo Provenzano. Poi racconta: "Dal 1970 fino agli ultimi giorni della sua vita mio padre ha intrattenuto rapporti con esponenti dei servizi segreti". Il teste ha parlato anche del rapporto del padre con l’ex premier Silvio Berlusconi. "Nel 1976-1977 venne proposto a mio padre di investire nell'attività  dell'imprenditore milanese Silvio Berlusconi che stava costruendo a Milano 2. Promotore dell'iniziativa fu Stefano Bontade. Lui accettò e all'affare parteciparono anche gli imprenditori Buscemi e Bonura. Ci fu anche una partecipazione di Provenzano". Durante la deposizione Ciancimino jr ha avuto un leggero malore. Per cui la sua deposizione è stata rinviata a domani.

Provenzano e Vito Ciancimino – A interrogarlo, davanti alla corte d'assise di Palermo che celebra l'atto d'accusa a mafiosi, ex ufficiali del Ros ed ex politici, è stato il pm Nino Di Matteo. Ciancimino si è sofferto in particolare sullo strette legami che il padre aveva con Provenzano. “Il rapporto con Provenzano c’era da sempre. Ero ragazzino e la sua presenza settimanale a casa nostra era una costante. Andavamo a prendere la pizza insieme a Maida. Io, però. all’epoca lo conoscevo come ingegner Lo Verde. Ho preso contezza che si trattasse di Provenzano solo sul finire degli anni ’70 quando, aspettando mio padre dal barbiere, presi in mano una copia di Epoca e vidi in due pagine dedicate a Provenzano un identikit di come doveva essere dopo anni di latitanza. Mi resi subito conto che si trattava di quell’amico di famiglia che conoscevo come ingegner Lo Verde”.  Prosegue il racconto di Massimo Ciancimino. “Tornati a casa chiesi a mio padre se si trattava veramente di lui”. La risposta dell’ex sindaco di Palermo al figlio, secondo la versione di Ciancimino Junior, è inequivocabile: “Ricordati che da questa situazione non ti può salvare nessuno”.

Ciancimino ha parlato anche dei rapporti fra il padre Vito e i servizi segreti – “Dal 1970 fino agli ultimi giorni della sua vita mio padre ha intrattenuto rapporti con esponenti dei servizi segreti. E c'era un tizio, che chiamava ‘signor Franco', che faceva da postino tra lui e appartenenti agli apparati di sicurezza dello Stato. Certamente già nel 1984 il signor Franco frequentava mio padre e gli forniva informazioni", ha detto Massimo Ciancimino. "Il signor Franco consegnava dossier – ha aggiunto – su carta intestata del ministero dell'Interno a mio padre. Io avevo l'incarico di disfarmene. Questo sicuramente dal 1984 e anche negli anni seguenti". Negli anni dal 1999 al 2002, quando Massimo strinse rapporti più confidenziali con suo padre, "questi dossier erano serviti per avvisare amici e politici su possibili inchieste nei confronti di persone riconducibili a mio padre". Massimo Ciancimino poteva contattare, attraverso una utenza telefonica, il ‘signor Franco' che "lo tranquillizzava quando c'erano motivi di preoccupazione, comprese le mie questioni giudiziarie, come quando fui indagato lo stesso giorno della morte di mio padre e lui mi rassicurò dicendomi che era un modo per tutelarmi, così mi sarei potuto avvalere della facoltà di non rispondere se mi avessero sentito sulla trattativa".

 Ciancimino parla di Toto Riina, "un pupazzo, uno stupido" per il padre – "Ne parlava come dei ‘picciotti' di Luciano Liggio con cui lui aveva un rapporto di conoscenza – ha spiegato – Prima degli anni '80 ho visto Riina più volte. Accompagnavo mio padre alle riunioni anche con altri, ad esempio Santapaola, ma non partecipavo e attendevo fuori". "Riina – ha spiegato – veniva anche a casa nostra. Una volta litigarono per la vendita di un palazzo in via Libertà. Lui si divertiva a irritarlo. Diceva che era molto stupido e prevedibile e gli faceva fare lunghe anticamere che lui viveva come mancanze di rispetto".

I pizzini – “Ho fatto da tramite nello scambio di ‘pizzini' tra mio padre e Provenzano per molto tempo. Mio padre era molto cauto nel gestire la corrispondenza: li apriva con i guanti in lattice, li fotocopiava e poi li bruciava", ha spiegato il figlio dell'ex sindaco di Palermo   "Quando arrivava una lettera di Riina, che lui non stimava per niente, era un momento di ilarità", ha aggiunto alludendo al fatto che le lettere erano sgrammaticate. Ciancimino avrebbe preso da Antonino Cinà i messaggi del capomafia e di avere saputo solo nel 1992 che venivano da Riina. Quelli per e da Provenzano li gestivo io direttamente anche tra maggio e dicembre del 1992″.

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