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Rosy Bindi: “Milano a rischio degrado, ma ora la casa è la prima emergenza”

“Il degrado urbano genera spazi vuoti in cui può inserirsi la criminalità organizzata. A Milano ci sono zone franche a rischio mafia”: così la Presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi.
A cura di Ester Castano
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Povertà, crisi abitativa, ‘occupazioni per necessità’ e il racket delle occupazioni abusive. “Il degrado urbano genera spazi vuoti in cui può inserirsi la criminalità organizzata. In città ci sono zone franche a rischio mafia”, commenta così il presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Rosy Bindi in visita in queste ore a Milano per l’emergenza casa. Italiano contro immigrato, italiano povero contro italiano ancora più povero. Nel capoluogo lombardo si cerca di fuggire dal degrado urbano additando i più deboli, invocando gli sfratti dei cosiddetti ‘abusivi’ e chiedendo che lo Stato chiuda le frontiere a chi migra nel nostro paese. Una situazione di tensione sociale simile alle banlieue parigine o all’East End di Londra di pochi anni fa, scenari di scontri fra poveri. Da sfondo la capacità tutta italiana della criminalità organizzata di stampo mafioso di lucrare sulle disgrazie dei cittadini.

A Milano sembra di trovarsi di fronte a una quotidiana lotta alla sopravvivenza. Come si è arrivati a tanto in quella che è comunemente considerata ‘capitale morale’ del paese, città che fra cinque mesi ospiterà Expo 2015?

Non pensavamo a Milano di arrivare alle criticità che stiamo vedendo, e dobbiamo riconoscerlo: abbiamo sottovalutato alcuni problemi. Il primo è che le periferie quando si chiamano periferie è perché tali sono. Non a caso papa Francesco usa questo termine per esprimere con molta chiarezza situazioni non solo sociali ma anche esistenziali. Periferie che forse non sono state oggetto delle cure di chi ha amministrato le città e governato il paese in questi anni e che sicuramente stanno vivendo più che altrove la duplice difficoltà del lavoro che manca per i cittadini e delle poche risorse che le amministrazioni locali hanno per attuare politiche di intervento e risanamento. Se prima era complicato oggi in fase di conflitto cittadino lo è ancora di più. Io ricordo che qualche anno fa quando si incendiavano le banlieue parigine commentavamo che da noi in Italia questo non sarebbe mai successo. In realtà come abbiamo visto in questi giorni qualcosa di simile sta avvenendo non solo a Milano, ma anche a Roma, a Palermo, a Napoli anche se lì non è un problema di attualità perché probabilmente è un problema criticizzato da tanto tempo, e nella stessa Torino nonostante siano state fatte politiche dedicate alle periferie dal sindaco Chiamparino prima e da Fassino adesso.

Di chi è la responsabilità? Come ci si è trovati così impreparati di fronte alle tensioni? Sembra che l’unica arma che il Governo ha per fronteggiare le tensioni delle piazze e la rabbia dei cittadini sia l’esercito.

E’ inutile negarlo: noi che praticato da sempre la politica dell’accoglienza e che certamente non vogliamo fermare con le mani la sfida dell’immigrazione con la quale dobbiamo fare i conti forse abbiamo sottovalutato che cosa avrebbe significato non solo far vivere gli italiani con tante persone che vengono da altri paesi che hanno religioni, culture e abitudini diverse dalle nostre; ma abbiamo sottovalutato anche che queste persone devono vivere tra di loro. Sappiamo bene che il problema non è solo l’integrazione degli immigrati fra di noi italiani ma è anche degli immigrati fra di loro. E forse in questo momento è una delle sfide principali che abbiamo. Con il governo Prodi avevamo provato a fare un piano per la politica della casa degno di questo nome, ma quanti anni si sono dovuti aspettare perché poi si strappassero fuori 500milioni? Soldi che ancora non si sono visti. Nel mezzo c’è stata un’altra mandata berlusconiana e oggi l’abitare è diventata l’emergenza italiana. Io credo che ci sia chi ha soffiato su questo clima di odio, e ci siano delle componenti politiche che hanno cavalcato quell’orribile sentimento che è il razzismo. Non credo che siamo un popolo che vede un nemico nel diverso. Però il nemico principale è sempre quello che ti porta via il pezzo di pane, da qualunque parte venga. E’ sempre stato così nella storia.

Non c’è nulla di più naturale di avere un luogo in cui dormire, cucinare, stare assieme ai propri figli. In una parola: avere una casa, quattro mura in cui vivere. E su questa esigenza naturale e vitale c’è chi specula e trae illegalmente profitti. Perché il Governo permette dei piani casa in cui l’abitazione non è un bene per tutti?

Secondo me noi ci siamo dimenticati che la casa più che essere un oggetto di proprietà è un bene d’uso, e tra le tante rigidità che ha questo paese c’è anche quella delle politiche della casa come sono state fatte e come le abbiamo fatte. Non sto dicendo che è un male comprarsi una casa, sto dicendo che ne abbiamo fatto un oggetto d’investimento quando in realtà in una società mobile come quella in cui viviamo la casa dovrebbe essere un bene da fruire nelle situazioni che cambiano, che richiedono spostamenti e diverse impostazioni di vita. Le necessità dei cittadini sono molte, le rigidità del nostro paese altrettante. Crisi economica e la mancanza di lavoro oggi stanno peggiorando situazioni che già erano complicate. Se c’è qualche problema di casa ma c’hai il lavoro ti va ancora bene. Poi però se cominci a sapere che non c’hai il lavoro, non c’hai la casa, vivi in un contesto in cui ti manca la sicurezza, non hai nessuno che ti protegge, hai accanto qualcuno che te la vuole portare via e poi arriva pure qualcuno che ti ci specula sopra, allora la situazione si comincia a fare un po’ complicata.

Nelle metropoli accade spesso che i quartieri popolari siano lasciati a se stessi. Come si può evitare che a Milano e hinterland il vuoto delle istituzioni sia riempito dalle mafie?

Se avessi la risposta a questa domanda potrei eliminare qualche problema a Pisapia, ma siccome penso che la risposta ce l’abbia il sindaco di Milano – oltre che presidente della Città Metropolitana, ndr – mi limito a dare il mio contributo senza avere la presunzione di poter risolvere tutto. C’è la necessità di un coordinamento fra tutte le istituzioni e di una presa d’atto che il nostro Paese sta soffrendo davvero. Per affrontare il problema emergenza casa bisogna conoscere e analizzare il terreno su cui si lavora, non nascondendo la criticità della situazione ma accompagnando i cittadini in un cammino di riqualificazione. Quando ci sono criticità sociali qualcuno ne approfitta sempre. In questo momento ci sono scontri tra poveri, i centri sociali che stanno facendo i loro guai, di destra o di sinistra che siano, anarchici o no tav, c’è lo scontro tra etnie. Ma soprattutto c’è il racket. Noi della Commissione Parlamentare Antimafia già un mese fa avevamo fissato a Milano un incontro, che poi per varie vicissitudini non si è svolto, per provare a dire che bisogna stare attenti perché in questo contesto sociale ci può essere non dico un insediamento di vere e proprie organizzazioni mafiose ma di atteggiamenti mafiosi sicuramente sì. E ho notato in questi giorni che gli assessori del comune di Milano hanno la piena consapevolezza del problema. Io non sono di Firenze, sono della provincia di Siena però è sempre stato molto importante anche per me ciò che diceva La Pira – Giorgio La Pira, siciliano, esponente della Democrazia Cristiana, ndr – Quando era sindaco di Firenze diceva sempre che in una città ci deve essere una fabbrica in cui si va a lavorare, un ospedale in cui ci si cura, una scuola in cui si impara, una casa in cui vive la propria famiglia e una chiesa dove si prega dio. E per tutti, senza che ci siano guerre tra poveri. Sembra una stupidaggine, troppo semplice. Ma in questa sintesi ci sono le cose essenziali, chiare.

E’ chiaro che in diversi sguazzano e lucrano sulle situazioni di disagio. In questo senso come si intersecano lotta alla mafia alla lotta contro il degrado urbano?

Qualche politica in più di equità bisognerà che la facciamo. Diceva il pm Boccassini che non è soltanto dando lavoro o favorendo politiche sociali che si combatte la mafia. Ne parlavamo in relazione agli ultimi quaranta arresti e ai filmati nei quali si vedono i riti di iniziazione della ‘ndrangheta qui in Lombardia. E lei diceva che anche se avessero il lavoro quelle persone lì qui riti e quelle scelte di affiliazione le farebbero comunque, perché la ‘casa madre’ è giù, in Calabria. E ha ragione. Però io penso anche che il consenso che queste persone hanno intorno non lo avrebbero se i giovani avessero il lavoro e se gli imprenditori avessero il credito. Così come penso che nei quartieri napoletani non si troverebbe più manovalanza per spacciare, che a Palermo gli imprenditori non pagherebbero più il pizzo tant’è vero che grazie a quelle associazioni antiracket nate nella memoria di Libero Grasso siamo riusciti a riscattare molte persone da questa paura. Quando i problemi sociali diventano così gravi noi una luce la dobbiamo accendere per la paura che tutto questo degeneri. C’è il rischio anche di atteggiamenti terroristici, può darsi che ci sia anche quello. Non sottovalutiamo nulla. Il paese potrà rimettersi in piedi solo se la lotta alla mafia sarà accompagnata da politiche economico-sociali all’altezza delle sfide di questo tempo. Nello stesso tempo io sono altrettanto convinta che non c’è crescita economica se non è affrancata dall’illegalità: è un’illusione quella di fare crescita economica con i soldi sporchi. Se da una parte ci vuole uno Stato più vicino, dall’altra ci vuole anche una consapevolezza di tutti noi cittadini che non è cedendo al ricatto dell’illegalità delle mafie e della scorciatoia che diamo un contributo per rimettere in piedi il Paese. E questo vale anche per il pagamento del pizzo di chi accede illegalmente agli alloggi popolari.

Cosa propone di fare oggi la Commissione Parlamentare Antimafia a riguardo?

Che fare? Intanto cominciamo a disegnare le priorità. Quando le cose vanno male bisogna partire da quelli che stanno peggio, non da quelli che stanno meglio. Siamo in un momento difficile, non so se ce la faremo con questa legge di stabilità però prima o poi il coraggio di fare una lotta sistematica e organica alle povertà bisogna avercelo. Perché oggi tra povertà assoluta e povertà relativa si stanno raggiungendo le percentuali che poi non si portano più sopra le spalle: un certo grado lo si regge, ma oltre un certo grado si mette a rischio la sicurezza di tutti. Non è soltanto un buon sentimento quello di ritenere che le società che stanno meglio sono quelle in cui si sta bene in tanti e non in pochi, e comunque quelle dove si sta benino in molti. Quando si comincia a stare male in molti la situazione è più esposta. A marzo saremo sottoposti all’ulteriore esame dell’Europa in cui bisogna fare i bravi perché se no ci danno ripetizioni. Però se riusciamo a fare il giro di boa qua possiamo fare ordine su tutto. Quindi, decidersi a fare una lotta alla povertà con strumenti che discuteremo: reddito minimo di inserimento, welfare che ridistribuisce le risorse a partire dai più poveri. Questa è una strategia che il Paese deve porsi sapendo che occorrono investimenti e risorse europee e nazionali, ma serve anche e soprattutto coordinarsi a tutti i livelli istituzionali interni. Perché una lotta alle povertà la fai individuando percorsi che sono poi di fatto gestite prevalentemente dagli enti locali. Quindi l’interlocutore deve essere prima la Regione ma soprattutto l’ente locale, cioè il Comune e nelle grandi città le circoscrizioni. La politica per la casa da questo punto di vista diventa oggi uno dei capitoli principali.

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