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Premierato, il costituzionalista Volpi: “Proposta pessima, non esiste in nessun Paese al mondo”

Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia, in un’intervista a Fanpage.it ha messo in evidenza limiti e contraddizioni della prima bozza del ddl sul premierato, che presto potrebbe arrivare in Consiglio dei ministri.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il costituzionalista Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all'Università di Perugia, è molto critico rispetto alla prima bozza del ddl sul premierato, su cui sta lavorando la ministra Elisabetta Casellati, e che potrebbe arrivare presto sul tavolo del Consiglio dei ministri. La bozza della riforma costituzionale prevede l'elezione diretta del capo del governo, che acquisirebbe molti più poteri, a scapito dei poteri in mano al Presidente della Repubblica. L'inquilino del Quirinale, eletto dal Parlamento, rimarrebbe come ruolo di personalità super partes.

Il premierato è una delle tre soluzioni che il governo ha offerto alle opposizioni durante le ‘consultazioni' che si sono tenute a maggio. Le altre opzioni in campo erano il presidenzialismo e il semipresidenzialismo: il primo sistema prevede l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, che è anche il capo del governo; il secondo, sul modello francese, prevede l'elezione diretta del Presidente della Repubblica che nomina un capo del governo.

Professore, cosa pensa della bozza del ddl sul premierato?

La proposta è pessima. Secondo me è solo da rifiutare.

Perché?

Premetto che non sono favorevole al presidenzialismo. Se posso dare un giudizio generale, rispetto alle tre proposte presidenziali che erano state ventilate, questa è la peggiore, perché non prevede i contrappesi che per esempio negli Stati Uniti ci sono, che però fanno fatica a funzionare anche nel contesto americano. Negli Stati Uniti abbiamo un Presidente che non può sciogliere il Parlamento e non ha la potestà legislativa, non ha quindi l’iniziativa legislativa. Qui avremmo un presidente del Consiglio eletto dal popolo che sarebbe titolare di poteri decisivi: nomina e revoca i ministri ed è libero di sciogliere il Parlamento quando vuole, basta che si dimetta. E se il Parlamento si azzarda a votare la sfiducia nei suoi confronti viene automaticamente sciolto. Insomma, in sostanza vengono meno due poteri fondamentali del Presidente della Repubblica: la nomina ed eventualmente anche la revoca dei ministri e viene meno il potere di scioglimento del Parlamento. Sarebbe tutto nelle mani del presidente del Consiglio, che è un primo ministro: l’Italia sarebbe l’unico Paese al mondo in cui questo accade, non c’è altra democrazia in cui sia prevista l’elezione popolare e una somma di poteri così forti del presidente del Consiglio.

Nel testo c’è scritto che il presidente del Consiglio, eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni, non potrebbe fare più di due mandati consecutivi…

E ci mancherebbe! È il minimo sindacale, direi che è addirittura scontato che un primo ministro eletto dal popolo abbia il limite di due mandati…Semmai rilevo di negativo quello che diceva Giovanni Sartori, che è stato forse il più grande politologo italiano, e cioè che far eleggere il primo ministro dal popolo è come mettere una pietra nel motore. Perché il parlamentarismo per funzionare deve essere flessibile, deve avere anche la possibilità di mandare a casa un pessimo primo ministro. Ma questo presidente del Consiglio, eletto in questo modo e con questi poteri, sarebbe praticamente inamovibile. Ma ci sono elementi ancora più gravi.

E cioè?

Più grave ancora è la modalità di elezione del presidente del Consiglio: si prevede venga eletto quello che prende più voti, purché raggiunga il 40%. Cioè non è richiesta neanche la maggioranza assoluta e un eventuale ballottaggio se nessuno la raggiunge, come avviene nei grandi Comuni italiani. Dunque è sufficiente il 40% di voti + 1. Il che vuol dire che potremmo avere un presidente del Consiglio con una fortissima legittimazione popolare, titolare di poteri fortissimi, che però viene eletto da una minoranza dei votanti. In quasi tutti i Paesi in cui viene eletto il presidente, si richiede la maggioranza assoluta e il ballottaggio. Sono pochi quelli in cui questo non accade. Uno di questi è l’Argentina, in cui bisogna raggiungere il 45% dei voti. Evidentemente noi siamo migliori degli argentini, per cui ci basta il 40%.

Il Presidente della Repubblica mantiene un ruolo di garante della Costituzione? Che figura diventerebbe?

Certo, rimane un Presidente della Repubblica che dovrebbe mantenere un ruolo di garanzia. Però si tratta di un Presidente sempre eletto dal Parlamento e dai delegati regionali, che avrebbe una legittimazione nettamente inferiore a quella del presidente del Consiglio. Lei si immagina che un Presidente di questo tipo possa far valere la cosiddetta ‘moral suasion’ nei confronti di un presidente del Consiglio eletto dal popolo? Io ritengo di no. Nella proposta c’è poi un ‘contentino’ al Presidente della Repubblica: può ritardare lo scioglimento delle Camere di 6 mesi. Non si capisce in base a quale logica.

Perché lo chiama ‘contentino’?

O un Presidente ha un potere effettivo, come ha oggi, oppure a me pare una cosa addirittura inutile poter decidere di dare al Parlamento che ha votato la sfiducia altri 6 mesi di tempo. A che servono? Lo trovo abbastanza ridicolo.

Come valutava le altre proposte in campo, presidenzialismo e semipresidenzialismo?

Come ho già detto, sono critico verso le proposte presidenziali, sono piuttosto favorevole a una razionalizzazione della forma di governo parlamentare. Ci sono modelli, come quello tedesco o quello spagnolo che complessivamente funzionano. Anche se, come tutte le forme di governo in questo momento, hanno problemi, perché ci sono criticità che riguardano il funzionamento delle democrazie. Tuttavia, se mi puntassero una pistola alla testa e dovessi scegliere uno di questi sistemi, prediligerei quello presidenziale americana, che è quello che almeno sulla carta ha, o aveva, i più forti contrappesi, a cominciare da un Congresso che è uno dei Parlamenti più forti al mondo. È un contrappeso notevolissimo rispetto al Presidente. Mi faccia però aggiungere un’altra considerazione.

Prego.

Già oggi il controllo del Parlamento italiano nei confronti del governo non funziona, a differenza di altri Parlamenti. Le faccio qualche un esempio: una minoranza qualificata dei parlamentari francesi può impugnare in via preventiva una legge approvata dalla maggioranza di fronte alla Corte Costituzionale. In Germania una maggioranza qualificata può imporre la costituzione di una commissione di inchiesta. Tutto questo in Italia non c’è. Con questa proposta avremmo un Parlamento succube del governo, perché potrebbe votare una mozione di sfiducia solo dopo un anno di mandato. A quel punto i parlamentari andrebbero a casa. Il problema che noi abbiamo oggi è semmai quello di riqualificare la rappresentanza parlamentare.

I promotori della proposta dicono però che avremmo più democrazia perché gli elettori sceglierebbero direttamente il governo.

Ma questo è una sciocchezza, perché eleggere il governo direttamente vuol dire scavalcare completamente gli istituti di mediazione, il Parlamento e anche i partiti, che diventerebbero dei comitati elettorali che servirebbero solo a lanciare il candidato alla Presidenza del Consiglio. Avremmo sostanzialmente un corpo elettorale che si pronuncia ogni 5 anni, delegando tutto il potere nelle mani di una persona. Avremmo non una democrazia diretta ma una democrazia ‘ristretta’, come ha scritto la professoressa Alessandra Algostino.

Viene però detto che una riforma in questo senso assicurerebbe una stabilità di governo.

In realtà a mio parere si tratterebbe di irrigidire troppo la forma di governo. Ci sarà una ragione se nessun Paese democratico al mondo ha previsto l’elezione popolare del primo ministro?

Una riforma simile potrebbe portare a una maggiore partecipazione del corpo elettorale alle urne?

I dati reali dicono esattamente il contrario. Prendiamo le ultime elezioni comunali e regionali che si sono svolte quest’anno, con il meccanismo che assicura al sindaco o al presidente di Regione di avere una maggioranza certa al consiglio comunale o dell’assemblea regionale. Ebbene, nei Comuni al secondo turno ha votato meno del 50% degli aventi diritto. Non è andata meglio nelle grandi Regioni. Nel Lazio ha votato il 37%, in Lombardia il 41%, in Friuli-Venezia Giulia il 45%, in Molise il 47%. Guardando ai voti che hanno ottenuto i presidenti di Regione eletti, oscillano tra il 20 e al massimo il 28% degli elettori: sono presidenti di una ridotta minoranza degli elettori. Alla faccia della partecipazione garantita dall’elezione diretta del vertice del governo!

Cosa servirebbe invece per favorire la partecipazione?

Intanto bisognerebbe ridare agli elettori il potere di decidere davvero chi sono i loro rappresentanti, perché dal 2005 in questo Paese andiamo avanti con le liste bloccate, per cui gli elettori in realtà i loro rappresentanti non li scelgono. Poi bisognerebbe consentire la differenziazione del voto, cosa fondamentale se si introduce l’elezione popolare del presidente del Consiglio: dovrei avere la possibilità di votare per un candidato presidente, scegliendo magari una lista o una coalizione diversa dalla sua, perché magari non mi piacciono i partiti che lo sostengono. Invece si vuole imporre il voto congiunto, come avviene con il Rosatellum, con i collegi uninominali e il voto di lista: se un elettore vota per un candidato ai collegi uninominali e per una lista o una coalizione diversa il voto è nullo. Siamo alla violazione della libertà del voto. Bisogna poi rinnovare i partiti politici, e rafforzare la rappresentanza parlamentare. Senza tutto ciò non avremmo una maggiore partecipazione. Vedo invece molto di buon occhio la sfiducia costruttiva.

Perché?

Perché è un meccanismo che dà più stabilità al governo e evita le crisi al buio, perché se il Parlamento vuole aprire una crisi deve essere in grado di proporre un nuovo governo e un nuovo presidente del Consiglio. È un meccanismo per esempio che ha funzionato in Germania. Inserire invece nella nostra Costituzione un corpo estraneo come quello dell'elezione diretta del presidente del Consiglio o del Presidente della Repubblica secondo me porta più effetti negativi che positivi, ci sarebbero troppe incognite.

Ipotizziamo che questa proposta, senza ulteriori modifiche, arrivi in Cdm e venga varata. Poi finirebbe in Parlamento, dove il centrodestra avrebbe gioco facile, perché ha la maggioranza. Ci sarebbe quindi un referendum? I cittadini avranno la possibilità di esprimersi?

Se posso azzardare una previsione, il testo subirà sicuramente delle modifiche già in Cdm, perché ci sono diverse cose assurde e incongrue. Non mi pare comunque che il rapporto con le opposizioni sia molto corretto, perché in riforme di questo tipo bisognerebbe cercare il più possibile il coinvolgimento delle forze politiche di minoranza. Le opposizioni sono state convocate un paio di mesi fa a Palazzo Chigi, e hanno detto di non essere d'accordo con l'ipotesi presidenziale. Ma non si è discusso nel merito della riforma. E adesso si vuole fare la stessa cosa. Si dice che le opposizioni saranno convocate dopo che il Cdm avrà approvato la proposta Casellati, quindi a giochi fatti. Certo, poi ci sarà la dialettica parlamentare, ma la mia previsione è che se dovesse andare in porto il progetto presentato dal governo – e la maggioranza ha i numeri per farlo – a quel punto il ricorso al referendum sarebbe inevitabile.

Personalmente sarò tra i promotori di un referendum perché il tanto decantato popolo che deve eleggere il capo del governo possa almeno pronunciarsi sulla revisione costituzionale. Ci sarà una raccolta firme, oppure è sufficiente che un quinto dei componenti di una Camera oppure cinque consigli regionali chiedano il referendum. Mi sento di dare un consiglio alla maggioranza. Si ricordi che ci sono dei precedenti che non hanno portato fortuna alle riforme costituzionali fatte da una sola maggioranza politica: sia nel 2006 che nel 2016 sono state respinte dal corpo elettorale. Ragioni anche su questo, suggerisco pertanto di coinvolgere anche una parte consistente dell'opposizione. Italia viva la considero una forza di complemento esterna al governo, che fondamentalmente quasi sempre vota le proposte della maggioranza.

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