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Elezioni regionali Emilia Romagna 2020

Perché trasformare l’Emilia Romagna in Stalingrado è un rischio

L’alternativa alla destra sovranista c’è e ieri a Bologna (non solo in piazza) ne abbiamo avuto l’ennesima conferma, con una marea di persone a oscurare la manifestazione leghista per le Regionali in Emilia Romagna. Ma nella politica le scorciatoie non funzionano e pensare che l’antisalvinismo possa essere l’unico collante di mondi diversi e partiti divisi come mai prima d’ora sarebbe un grosso errore.
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C’è una lettura che si sta imponendo in questi giorni e sembra diventata ormai egemone a sinistra. Quella delle Elezioni Regionali in Emilia Romagna come la battaglia di Stalingrado dei nostri tempi: lo scontro finale fra le forze del bene e quelle del male, intorno all’ultimo baluardo che resiste all’avanzata di quelli brutti, sporchi e cattivi. La cosa interessante è come, ancora una volta, la sinistra abbia scelto di giocare la partita sul campo della destra, considerando che da mesi Salvini va ripetendo che l’eventuale vittoria in Emilia Romagna sarà l’ultimo segnale di sfratto dei cittadini al governo e preparerà la strada per un immediato ritorno alle urne. Sfida che, chissà quanto consapevolmente, in tanti hanno deciso di raccogliere, finendo con il caricare di enorme tensione e peso l’appuntamento elettorale del prossimo 26 gennaio.

Tra questi non vi è il governatore e candidato del centrosinistra Stefano Bonaccini, che sa di avere maggiori possibilità se la contesa si mantiene sul piano locale, in un confronto di fatti e programmi; non a caso l’esponente democratico sta caratterizzando la sua campagna sul fatto che l’Emilia Romagna non abbia alcun “bisogno di essere liberata” e ha da tempo fatto capire ai suoi di non aver alcuna spasmodica voglia di imbarcare i grillini nella coalizione, anche per non trasformare il voto regionale in un referendum pro o contro il Conte bis. Governo che è debole soprattutto sul piano che più può incidere in una elezione / referendum: quello della collocazione politica di una maggioranza coesa e compatta, con obiettivi chiari e un orizzonte ben definito. Trasformare l'Emilia Romagna in Stalingrado è un gioco lose-lose: se funziona e Salvini perde, qualcuno si convincerà del pericolo scampato e rimanderà la rivoluzione di cui il Paese ha bisogno; se non funziona e Salvini vince, il governo andrà avanti lo stesso (perché non c'è alternativa) e l'ondata della destra populista apparirà inarrestabile.

La questione non è semplicissima: è chiaro che i partiti che compongono la maggioranza non siano in grado di resistere all’onda salviniana, neanche nella Regione rossa per eccellenza. Non ora e non in queste condizioni, almeno. I primi giorni di campagna elettorale, invece, hanno mostrato come possano esserci le condizioni per la costruzione di una alternativa che sia meno rassegnata alla sconfitta e meno raffazzonata di quanto lo fosse l’armata di Bianconi in Umbria. Le due strade, mobilitazione civica e cartello elettorale, sono alternative o possono convergere? Cosa può far convergere percorsi che, specie nel corso degli ultimi anni, si erano allontanati in maniera sensibile?

Questioni enormi, ovviamente, che non riguardano solo l’Emilia Romagna, ma si prestano a un dibattito più ampio nel solco della costruzione dell’alternativa alla destra sovranista. La soluzione più semplice prevede che il collante sia l’antisalvinismo, una versione riveduta e corretta della storia del centrosinistra italiano dal 1993 in poi. Non che abbia funzionato alla perfezione quell’esperimento, ma almeno ha garantito un paio di vittorie elettorali, al modico prezzo dello sradicamento in nuce di ogni ipotesi di costruzione “a sinistra” con un minimo di senso e futuro. Anche senza ampliare eccessivamente il discorso, il punto è capire se ha senso polarizzare ora che gli altri sono uniti e tu sei diviso in mille rivoli. Tutti insieme disordinatamente e confusamente contro Salvini, a occhio, non è lo slogan migliore. Può servire a rinviare la data delle elezioni, a salvare qualche poltrona, forse, ma a poco altro.

E c'è di più. Si può davvero chiedere a un popolo come quello di piazza Maggiore (o ai centinaia di manifestanti del Paladozza) di salire sulle barricate in difesa di un governo come il Conte bis, un accrocchio insicuro di partiti e partitini interessati esclusivamente alla propria sopravvivenza. O forse bisognerebbe ammettere che il tempo della strumentalizzazione del dissenso e della lotta è definitivamente tramontato. Quelle persone erano in piazza contro Salvini anche un mese fa, sei mesi fa, un anno fa, quando qualcun altro ci governava e ne sottoscriveva politicamente i decreti peggiori. Quel qualcuno che ancora non ha capito che rispettare quel popolo, offrirgli cioè un'alternativa vera e credibile al salvinismo, è il solo progetto con un futuro.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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