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Perché si è ricominciato a parlare di finanziamento pubblico ai partiti

Alcune affermazioni dell’ex ministro Stefano Patuanelli, in contrasto con la storica linea del Movimento Cinque Stelle, hanno riaperto la discussione sul finanziamento pubblico ai partiti. Ecco cosa dice la normativa e come funzionano i finanziamenti ai partiti.
A cura di Annalisa Girardi
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Si torna a parlare di finanziamento pubblico ai partiti. Una pratica che era stata abolita dal governo di Enrico Letta nel 2013, con un decreto convertito in legge l'anno seguente: per la precisione, erano stati soppressi i rimborsi elettorali, mentre vent'anni prima, nel 1993, un referendum proposto dai Radicali nel bel mezzo di Tangentopoli aveva eliminato il finanziamento ai partiti attraverso i gruppi parlamentari. Da quel momento i rimborsi elettorali avevano di fatto sostituito il finanziamento ai partiti politici, ma problemi di trasparenza e di illeciti erano rimasti. Tanto che, appunto, nel 2013 si decise di abolire i finanziamenti anche attraverso i rimborsi elettorali. Ora la questione è tornata al centro del dibattito pubblico dopo alcune dichiarazioni del senatore Stefano Patuanelli che, in contrasto con la storica linea del Movimento Cinque Stelle, ha detto che sarebbe necessario reintrodurre una qualche forma di finanziamento pubblico per i partiti.

La polemica dopo le affermazioni di Patuanelli

Parlando con il Corriere della Sera, il capogrupppo M5s in Senato aveva detto che negli anni si fosse confuso il costo della politica con quello della democrazia. E aveva definito necessario trovare un modo per "evitare le distorsioni del passato", fatte di gestioni "improprie e a volte illegali" dei soldi pubblici, ma finanziare l'attività dei partiti. Delle dichiarazioni a cui era subito seguita la frenata del leader grillino Giuseppe Conte, che aveva sottolineato come la posizione del M5s fosse sempre la stessa: "Restiamo contrari al finanziamento pubblico dei partiti".

Patuanelli si è poi affidato al Fatto Quotidiano per chiarire la sua posizione. "In un sistema dove il finanziamento resta essenzialmente privato si favorisce una politica di censo, per cui arriva il Berlusconi di turno che mette nel suo partito 60 milioni l’anno e fa la differenza su tutti gli altri. È democratico questo?", aveva detto. Per poi sottolineare che "la politica senza soldi non si fa, ma fingere che non ci sia un problema su come si finanzia è come mettere la testa sotto la sabbia".

L'ex ministro aveva quindi ipotizzato a un sistema sul modello europeo, per cui il finanziamento pubblico ai partiti è supervisionato da autorità terze che hanno il compito di vigilare sull'amministrazioni di questi soldi. In conclusione, però, aveva detto di non essere comunque disponibile, ora come ora, a firmare una legge per reintrodurre il finanziamento pubblico ai partiti perché "la classe dirigente politica non è pronta".

Come vengono finanziati oggi i partiti

Oggi esistono comunque forme di finanziamento indiretto per i partiti che hanno rappresentanza in Parlamento. I gruppi parlamentari ricevono infatti dei contributi per le loro attività istituzionali: questi provengono dai bilanci di Camera e Senato, che sono finanziati con soldi pubblici. C'è poi il finanziamento privato. Quindi donazioni spontanee da chi vuole sostenere un partito piuttosto che un altro, o quelle che arrivano attraverso il 2 per mille. I contribuenti possono infatti scegliere se dedicare una piccola quota dell'Irpef ai partiti in sede di dichiarazione dei redditi: è comunque facoltativo, si può anche scegliere di non destinare il proprio 2 per mille a un partito e in quel caso andrà allo Stato.

Sul sito della Camera viene specificato che "l'accesso a queste forme di contribuzione è condizionato al rispetto di requisiti di trasparenza e democraticità indicati dal decreto-legge 149, in cui si prevede anche l'istituzione di un registro dei partiti politici ai fini dell'accesso ai benefici".

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