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Perché serve una legge sul suicidio assistito: a che punto siamo in Italia

In Veneto non è passata la legge di iniziativa popolare che definiva “procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio mediamente assistito”. A livello nazionale una legge manca, nonostante da anni la Corte costituzionale chieda al Parlamento di intervenire.
A cura di Annalisa Girardi
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Il Veneto avrebbe potuto essere la prima regione ad avere una legge sul fine vita. Ma alla fine, in consiglio regionale, la legge di iniziativa popolare sul suicidio assistito presentata dall’associazione Coscioni – e sostenuta apertamente dal governatore Luca Zaia – non è passata. Tutte le parti politiche (sia a destra che a sinistra) si sono divise, i voti – tra favorevoli e contrari – erano pari, e quindi il testo deve tornare in commissione. Dove i tempi sono però destinati ad allungarsi e c'è il rischio che venga definitivamente affossata.

Cosa è successo in Veneto

L'obiettivo dell'iniziativa era quello di definire “procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio mediamente assistito”. Zaia, che l’aveva definita una legge di civiltà in contrasto con la storica posizione della destra più conservatrice su questo tema, ha affermato che si sia trattato di un’occasione persa e che su temi etici di questo tipo, con cui purtroppo molte famiglie si trovano ad avere a che fare, la politica sia chiamata dare risposte ai cittadini.

L’anno scorso, nel 2023, tre persone in Italia hanno fatto ricorso al suicidio assistito. È una pratica di fatto possibile, nonostante nel nostro Paese una legge sul fine vita ancora non ci sia. Se queste persone hanno potuto far valere il loro diritto a decidere sulla propria vita, è solo grazie a una sentenza della Corte costituzionale del 2019.

Il caso Cappato

Facciamo un passo indietro. Il caso era quello di Marco Cappato e dj Fabo. L'ex europarlamentare ha rischiato fino a 12 anni di carcere per aver accompagnato in Svizzera Fabio Antoniani, un uomo rimasto tetraplegico dopo un grave incidente, che voleva porre fine alla sua vita. In Svizzera dj Fabo – così era conosciuto Antoniani – ha potuto accedere al suicidio assistito, una possibilità che nel nostro Paese non c'era. Una volta tornato in Italia Cappato si è autodenunciato: l’articolo 580 del codice penale punisce infatti sia l’istigazione al suicidio, sia chi ne agevola praticamente l’esecuzione.

La sentenza del 2019

I giudici della Corte Costituzionale hanno però stabilito che l’aiuto al suicidio, in precise e determinate condizioni, non sia punibile. Non è punibile chi aiuta al suicidio una persona che ha deciso autonomamente e liberamente di porre fine alla sua vita e che:

  • è affetta da una patologia irreversibile
  • è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale
  • ritiene che le sofferenze fisiche e psicologiche causate dalla malattia non siano più tollerabili

Queste condizioni devono essere verificate dal servizio sanitario nazionale e serve un parere del comitato etico territoriale competente. Con questa sentenza i giudici non solo hanno riconosciuto il diritto al suicidio assistito, ma hanno anche raccomandato al Parlamento di intervenire in materia. In altre parole, hanno detto che serve una legge.

Il referendum e il disegno di legge sul fine vita

Oggi questa legge ancora non c’è. I tentativi sono stati diversi, ma finora non sono mai andati in porto. Il disegno di legge che recepiva la sentenza Cappato è stato approvato alla Camera nel marzo del 2022. È poi passato in Senato, dove però non è stato mai discusso: qualche mese dopo infatti è scoppiata la crisi di governo, le Camere sono state sciolte e si è tornati a votare. L’associazione Luca Coscioni, da parte sua, aveva raccolto oltre un milione di firme a favore di un referendum per abrogare una parte dell’articolo 579 del codice penale, che è quello sull’omicidio del consenziente: il quesito referendario, però, è stato giudicato inammissibile dalla Corte Costituzionale e anche di quello, alla fine, non se n’è fatto nulla.

Come stanno oggi le cose?

Quindi, ad oggi le cose come stanno? Aiutare qualcuno al suicidio assistito, in determinate condizioni, non è più un reato. Ma una legge che metta nero su bianco quel diritto, quello di ogni essere umano di essere libero fino alla fine e di poter decidere della propria vita così come della sua fine, non c’è. E serve. Serve perché è una questione di civiltà, perché tutti dovrebbero essere liberi di autodeterminarsi fino in fondo, e perché sono passati anni da quando i giudici hanno chiesto al Parlamento di agire. È arrivato il momento di farlo.

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