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Perché presidenzialismo e premierato non risolveranno la cronica instabilità politica italiana

Il costituzionalista Enzo Cheli racconta a Fanpage.it quali sono i suoi “appunti” alla classe politica per questa stagione di riforme istituzionali e spiega quali sarebbero le criticità di presidenzialismo, da un lato, e premierato, dall’altro.
Intervista a Enzo Cheli
Giurista e costituzionalista
A cura di Annalisa Girardi
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Il governo di Giorgia Meloni ha annunciato una nuova stagione di riforma costituzionali. Già dopo l'ultima elezione del presidente della Repubblica, conclusasi con la richiesta a Sergio Mattarella di accettare un secondo mandato, il centrodestra chiedeva di mettere mano alla Costituzione in senso presidenziale e aveva inserito il presidenzialismo nel programma elettorale. Ora però, dopo il primo ciclo di incontri con le opposizioni, la maggioranza sembra più optare per il premierato. Il dibattito, comunque, è ancora in corso. Abbiamo fatto il punto con il costituzionalista Enzo Cheli, che recentemente ha pubblicato Costituzione e politica. Appunti per una nuova stagione di riforme costituzionali (Il Mulino), una guida per la classe politica su come affrontare questa fase.

A 75 anni dalla nascita della Costituzione, quali sono i principali "appunti" per la classe politica in questa stagione di riforme costituzionali?

Nei miei scritti recenti sulle riforme costituzionali ho cercato di enunciare per i riformatori due “appunti” di metodo orientati a evitare gli errori e i fallimenti del passato. Il primo “appunto” riguarda la storia costituzionale del nostro paese. Una storia che dimostra che la Carta repubblicana del 1948 è stata nel complesso una buona Costituzione che ha retto la prova del tempo, garantendo l’unità di un paese diviso ed il radicamento progressivo delle libertà poste alla base della nostra democrazia. Questa premessa induce ad affrontare le riforme costituzionali con una certa cautela, evitando strumentalizzazioni ideologiche delle riforme e distinguendo bene le parti della costituzione che vanno modificate perché non hanno funzionato bene dalle parti che, invece, non vanno toccate perché hanno sinora funzionato bene. La parte della costituzione che, specialmente negli anni recenti, ha funzionato male e che è bene correggere con una riforma appropriata è quella che attiene al rapporto tra corpo elettorale, Parlamento e Governo su cui si svolge l’indirizzo politico di maggioranza, rapporto fondato sulla legislazione elettorale e sulla mediazione dei partiti politici. Ma quante di queste di disfunzioni che hanno causato forte instabilità nei Governi possono imputarsi al modello costituzionale e quante, invece, a degenerazioni delle prassi politiche conseguenti dalla crisi da tempo in atto nel sistema dei partiti e dal distacco crescente del corpo elettorale dall’apparato istituzionale? L’interrogativo pone in campo l’insufficienza di qualsivoglia riforma del modello costituzionale che preliminarmente o contestualmente non venga affiancata da riforme della politica – a partire dalla legge elettorale – in grado di migliorare la qualità del carburante politico destinato a far funzionare la macchina costituzionale.

Il secondo “appunto” riguarda la necessità ai fini della messa a punto della riforma di tenere presente le attuali condizioni del nostro sistema politico che non gode di buona salute per l’eccessiva frammentazione e divisione interna che lo caratterizzano. Queste condizioni strutturali indussero la Costituente, nella fase iniziale della nostra vita repubblicana, a evitare il modello presidenziale, che avrebbe aggravato la divisione e la contrapposizione tra le forze in campo, e a scegliere un modello parlamentare in grado di favorire il colloquio e la coesistenza tra tali forze. Tali condizioni di partenza del nostro sistema politico, a ben guardare, tuttora permangono (e forse si sono aggravate), e questo induce ad una scelta costruita non sull’asse del modello presidenziale, per cui manca la premessa di un’adeguata coesione sociale, bensì sull’asse di un modello parlamentare mitigato da dispositivi costituzionali in grado di rafforzare la stabilità dei Governi e la funzione direzionale del Primo Ministro. Questi dispositivi sono stati da tempo individuati dalla scienza costituzionale nella fiducia separata concessa al Primo Ministro, nell’ incremento dei suoi poteri di nomina e revoca dei ministri e di scioglimento delle Camere, nella sfiducia costruttiva.

La maggioranza ha detto di voler coinvolgere l'opposizione, ma si è detta pronta ad andare avanti da sola: se lo facesse, crede che sarebbe un problema?

Se la maggioranza in assenza di un accordo con l’opposizione varasse la riforma, questa verrebbe a cozzare contro seri ostacoli sia in sede parlamentari, per la difficoltà di raggiungere la maggioranza qualificata indicata dall’art. 138 della costituzione, sia in sede di referendum popolare, per la forte divisione che una riforma voluta dalla sola maggioranza parlamentare, che forse non è maggioranza nel paese, verrebbe a creare.

L’Italia ha storicamente un problema di stabilità politica, pensa che una riforma in senso presidenziale possa essere la soluzione? Qual è la sua posizione sull’elezione diretta del presidente della Repubblica? E su quella del premier?

Per le ragioni sopra ricordate non penso che la soluzione al problema della stabilità governativa possa essere trovata, in assenza di sostanziali modifiche dell’attuale impianto politico, attraverso l’adozione di un modello presidenziale. Questo modello, oltre a contrastare con lo stato di frammentazione e divisione oggi in atto tra le forze in campo, verrebbe ad annullare quello che della nostra costituzione ha sinora funzionato meglio, cioè l’insieme dei poteri arbitrali e di controllo costituzionale affidati in sinergia al Presidente della Repubblica ed alla Corte costituzionale.

L’elezione popolare diretta del Capo dello Stato secondo il modello americano o francese verrebbe, infatti, a trasformare l’attuale organo di garanzia dell’unità nazionale nel vertice della funzione di indirizzo politico di maggioranza, mentre l’elezione popolare diretta del Primo Ministro, secondo il modello del c.d. “sindaco d’Italia”, verrebbe, da un lato, a emarginare il Parlamento, privato del voto di fiducia, dall’altro a declassare il peso politico ed il ruolo del Capo dello Stato, in quanto investito di una legittimazione parlamentare inferiore a quella goduta dal Primo Ministro.

Quali dovranno essere, secondo lei, le priorità quando verrà scritta la nuova legge elettorale?

Per la riscrittura dell’attuale legge elettorale possono essere di aiuto le due sentenze che la Corte Costituzionale ha adottato , nel 2014 e nel 2017, sulle leggi elettorali “Calderoli” e “Italicum”. L’esigenza maggiore è quella di ridare al cittadino il potere diretto di scelta dei candidati o attraverso il collegio uninominale o attraverso il voto di preferenza o attraverso il meccanismo delle elezioni primarie. In secondo luogo si tratterà di individuare tra il principio di rappresentanza (legato alla scelta proporzionale) ed il principio di governabilità (legato alla scelta maggioritaria) un punto di equilibrio più equo e razionale di quelli sinora sperimentati con le tre leggi elettorali che si sono succedute dal 1993.

È favorevole all’Autonomia differenziata?

In linea di principio sono favorevole all’autonomia differenziata, che rappresenta il completamento tardivo di una riforma avviata nel 2001. Favorevole, peraltro, con molti se e molti ma che investono le modalità non ancora ben definite, specie sul piano finanziario, della riforma. Una riforma indubbiamente rischiosa che dev’essere ben costruita e ben governata ove si voglia evitare, come si deve, di aggravare le forti diseguaglianze regionali in atto nel nostro Paese.

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