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Opinioni

Perché far votare i sedicenni alle elezioni è cosa buona e giusta

Quasi casualmente, si è riaperto il dibattito per permettere ai sedicenni di votare alle Elezioni: favorevoli il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i leader di Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti. E questo, fuor di retorica, probabilmente sarebbe anche il momento adatto…
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Non ci siamo più abituati, è vero, ma a volte può capitare che il dibattito pubblico si liberi dalla dittatura del “non è prioritario” e si concentri su questioni importanti per la società e per la stessa democrazia. Quello dell’allargamento del voto ai sedicenni, benché nato in maniera quasi casuale, è un tema molto interessante e di grande rilevanza, soprattutto in prospettiva. Non stiamo parlando di una novità assoluta, anche se tutti i tentativi di ringiovanire l’elettorato attivo e passivo sono naufragati in sede parlamentare (vedremo come andrà a finire con la proposta Brescia, approvata al Senato in prima lettura) o finiti nel dimenticatoio nel breve volgere di qualche settimana. Questa volta però potrebbe essere diverso, soprattutto per l’ampia convergenza che sembra essersi venuta a crearsi intorno alla proposta, con il sì di Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, e considerando anche che la Lega è da sempre favorevole all’abbassamento a 16 anni della soglia per votare alle Politiche.

Soprattutto potrebbe essere diverso perché sembra essere maturata una nuova consapevolezza: non si può continuare a escludere dal dibattito politico la fascia più giovane della popolazione, è la democrazia stessa ad averne bisogno. Uno degli aspetti centrali dell’allargamento del diritto di voto ai sedicenni è infatti connesso col concetto di partecipazione al processo democratico. In una fase in cui sono sempre meno i cittadini che si interessano alla cosa pubblica, anche perché subiscono i processi decisionali piuttosto che contribuire a determinarli, allargare la forbice dei soggetti coinvolti può essere il primo passo per ampliare davvero la platea dei decisori. La crisi della democrazia rappresentativa, crisi strutturale e sistemica, può determinare o la definitiva alienazione del rapporto fra cittadini e politica, oppure può essere l’occasione per un riavvicinamento, che parta dall’inclusione delle persone nei processi decisionali e prepari un ripensamento delle dinamiche di dialogo fra eletti, elettori e istituzioni. Perseguire questa seconda strada senza l’apporto delle energie più vive della società, di quei giovanissimi che hanno dimostrato di voler incidere sulla propria vita e di voler determinare il proprio futuro con l’impegno e la partecipazione, potrebbe essere un errore enorme, soprattutto in prospettiva. In un Paese in cui l’affluenza alle urne cala costantemente, permettere ai sedicenni di esercitare il diritto di voto avrebbe un valore terapeutico nel breve periodo e “di investimento” per il futuro, considerato che più di una ricerca mostra come quelli che partecipano al voto alle prime elezioni in cui possono votare, poi tendono a conservare tale consuetudine per il resto della loro vita (FONTE).

Conosciamo l’obiezione standard: a 16 anni non si è ancora maturi e sostanzialmente si è disinteressati alla politica. Potremmo rispondere dicendo che i veri artefici della destrutturazione culturale sono stati gli anziani, quelli maturi. Potremmo dire che il disinteresse è causato dalla madre di tutte le ingiustizie: l'aver scippato il futuro alle giovani generazioni, l'aver caricato i ragazzi di un peso insostenibile, costringendoli a subire decisioni e scelte "nel loro interesse", secondo logiche paternaliste che hanno lasciato solo macerie. Potremmo dire che la differenza è tutta fra il subire decisioni che impattano sul proprio futuro e la possibilità di determinarle. Potremmo dire che, in fondo, non è che stia andando proprio benissimo, da quando abbiamo deciso di lasciare la palla in mano a cinquantenni avvelenati col mondo e con il prossimo.

Ma in realtà è forse ancora più semplice. Il punto è che non si può continuare a declinare l’impegno politico secondo logiche di tipo tradizionale. Certo, se immaginate file di sedicenni e diciassettenni in coda per prendere la tessera di un partito, forse non avete sbagliato Paese ma probabilmente anche secolo. Ma cos’è la grande mobilitazione per il clima di questi mesi se non un atto politico per eccellenza? Cosa sono le grandi manifestazioni studentesche di questi anni o le campagne social sulle unioni civili se non atti politici in senso assoluto? E, soprattutto, siamo sicuri che il mero dato anagrafico sia ancora sufficiente a stabilire un discrimine fra diciottenni e sedicenni? Più di un ricercatore (qui un paper piuttosto significativo) ha mostrato come ormai ci sia una sostanziale equiparazione fra la maturità di un sedicenne e quella di un diciottenne, soprattutto per quel che concerne la comprensione e l’interesse per la politica e le dinamiche istituzionali.

C'è tanta energia e tanta voglia oltre gli steccati tradizionali e i paletti convenzionali. Non c'è da aver paura, solo da permettere ai ragazzi di cominciare a decidere del loro futuro.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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