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Elezioni politiche 2018

Ora il PD è in crisi anche di fondi: la batosta elettorale “costa” 19 milioni di euro

La disfatta elettorale dello scorso 4 marzo ha dimezzato la pattuglia parlamentare del Pd e provocherà, dunque, anche un ammanco alle casse del partito, che dall’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti vengono rimpinguate solo grazie ai versamenti mensili degli eletti e dal 2 per mille volontario dei contribuenti. L’ammanco sarà pari a 19 milioni di euro rispetto alla scorsa legislatura e probabilmente il Pd dovrà rinunciare alla storica sede di Sant’Andrea delle Fratte.
A cura di Charlotte Matteini
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La disfatta elettorale che ha portato alle dimissioni di Matteo Renzi non è l'unico grave problema politico che il Partito Democratico dovrà affrontare nelle prossime settimane. Per il Pd, infatti, il drastico calo di eletti in questa XVIII legislatura pone anche una preoccupazione di tipo economico. Con la scomparsa del finanziamento pubblico, da qualche anno i partiti si finanziano solo grazie a contributi privati versati da parlamentari eletti oppure attraverso il 2 per mille donato dai simpatizzanti all'atto della dichiarazione dei redditi. Come spiega questa mattina Claudio Bozza del Corriere del Sera, calcolatrice alla mano il crollo dei voti costerà al Pd ben 19 milioni di euro. Stando allo statuto del Pd, infatti, ogni eletto per tutta la durata della legislatura è tenuto a versare nelle casse del partito 1.500 euro al mese. La scorsa legislatura, 2013-2018, ha portato nelle casse del Partito Democratico 34 milioni di euro grazie ai versamenti mensili di 378 eletti alla Camera e al Senato. Come conseguenza della disfatta elettorale dello scorso 4 marzo, il Pd non solo ha perso milioni di voti ma anche centinaia di eletti: la diciottesima legislatura vede infatti solo 165 parlamentari eletti nella fila del Pd e a conti fatti il finanziamento interno del partito porterà nelle casse del Nazareno solo 14,8 milioni di euro in 5 anni, ben 19 in meno rispetto alla scorsa legislatura.

Secondo il Corriere, probabilmente il Partito Democratico dovrà rinunciare alla sede nazionale di via Sant'Andrea delle Fratte, il Palazzo del Collegio del Nazareno che dal 2009 ospita il Pd in pieno centro a Roma. Nel mentre, il tesoriere del partito, il renziano Francesco Bonifazi, ha iniziato a richiedere agli ex scissionisti confluiti in Leu il versamento dei contributi personali mancanti con decreto ingiuntivo: al presidente del Senato, Piero Grasso, vengono richiesti 85.000 euro circa: "Per lui abbiamo pensato a una rateizzazione: 15 rate da 4.162,50 euro e la maxirata finale da 20.812,50 euro. Un’offerta imperdibile", ha comunicato Bonifazi su Facebook.

"Oltre alla ricerca di una sede con affitto più economico, sempre in autunno scadrà la cassa integrazione a rotazione per i 180 dipendenti. Il tesoriere Francesco Bonifazi dovrebbe sì riuscire a chiudere il bilancio 2017 con un attivo di circa un milione e mezzo (nel 2016 il rosso fu di 9,5 milioni, anche a causa della campagna monstre per il Sì al referendum), ma sempre con quell’orizzonte dei 19 milioni in meno di «incasso», seppur potendo contare su circa 6,5 milioni in arrivo dal 2 per mille, il partito dovrà affrontare una radicale riduzione del personale. E per rimettere i conti strutturalmente in pari, per i commercialisti, il numero dei dipendenti dovrebbe essere quasi dimezzato.

La dieta imposta dalla sconfitta cambierà anche gli assetti dei gruppi parlamentari. Alla Camera il Pd aveva 135 dipendenti tra giornalisti, funzionari e segretari, che a fine legislatura per prassi escono con il licenziamento collettivo. Di questi potrà riassumerne una settantina o poco più, perché il contributo che la Camera assegna ai gruppi è di 49 mila euro a deputato e dunque il «tesoro» che tocca alle forze politiche è proporzionale al numero di eletti. Il pattuglione dem ha perso oltre 180 deputati rispetto al 2013, che in soldoni sono 8,5 milioni di euro in meno. E lo stesso doloroso calcolo, che mette in gioco la metà dei posti di lavoro, va fatto per il Senato".

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