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Nordio ammette il flop del braccialetto elettronico e dice alle donne di fare da sole: vi spiego perché sbaglia

Quello che dice Nordio è vero: il braccialetto elettronico non sempre funziona, e va sicuramente migliorato. Ma dire alle donne di rifugiarsi in ‘chiesa o in farmacia’ denota una forte superficialità e mette in pericolo le vittime.
A cura di Natascia Grbic
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Che questo governo non brilli per la sua sensibilità ai temi che riguardano la violenza di genere è cosa risaputa. Sì, ci riferiamo alle ultime dichiarazioni rese dal ministro della Giustizia Carlo Nordio durante il question time al Senato in merito all’utilità del braccialetto elettronico. E attenzione: la nostra non è indignazione perché riteniamo che questo strumento sia una protezione adeguata, non vogliamo difenderlo a tutti i costi. Nordio non dice una cosa falsa: il braccialetto elettronico non sempre è adeguato, è vero che le forze dell’ordine spesso non arrivano nei tempi utili per fermare il femminicida. Come è vero che può capitare che non funzioni, o si attivi troppo tardi, e non segnali la presenza dell’aggressore. È sicuramente uno strumento utile, ma va migliorato.

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Nel 2024, in pochissime settimane, sono morte tre donne – Celeste Palmieri, Camelia Ion, Roua Nabi – uccise dai loro compagni nonostante avessero lo strumento attaccato al polso. Quindi sì, Nordio ha ragione: il braccialetto elettronico non (sempre) è sufficiente a tutelare le vittime di violenza.

Quello che però aggiunge Nordio dopo è assolutamente inaccettabile: ossia che la vittima, “nel momento in cui c’è il pericolo”, deve cercare autonomamente un rifugio, “magari in una chiesa, in una farmacia, insomma in un luogo più o meno protetto perché molto spesso l’intervento delle forze dell’ordine non è in grado di arrivare”.

Adesso voi immaginatevi una donna che già vive nell’angoscia di essere aggredita o uccisa, costretta a guardare perennemente il dispositivo gps che segnala la vicinanza dell’aggressore. Immaginatevi di non poter nemmeno andare a fare una doccia senza portarlo in bagno, e di doverlo avere sempre a vista, d’occhio e d’orecchio. E adesso immaginatevi un membro dello Stato, una delle più alte cariche istituzionali, che vi dice: “se suona andate in chiesa o in farmacia”. Non solo queste parole suonano come una beffa, ma sono anche pericolose.

Dire a una donna in pericolo che si deve attrezzare per cercare un luogo ‘sicuro’, magari uscendo di casa da sola, a piedi, col buio, senza sapere a che distanza è il suo aggressore, è quanto di più pericoloso ci possa essere. Vuol dire non avere nessuna competenza in tema di violenza di genere. La presidente di Differenza Donna, Elisa Ercoli, ha replicato alle parole del ministro dicendo che “il problema non è il dispositivo in sé, ma l'assenza di un sistema strutturato ed efficiente per la sua gestione. È necessario che le forze dell'ordine siano dotate non solo di strumenti tecnologici, ma anche di personale dedicato al monitoraggio, formato con competenze specifiche sulla valutazione del rischio, sulla recidiva e sulla protezione delle vittime". E ha aggiunto che "l'obbligo dello Stato non è quello di indicare alla donna una farmacia o una chiesa dove ripararsi, ma è quello di dotare il Paese di una rete capillare di Centri Antiviolenza e Case Rifugio, affidati a soggetti specializzati e competenti. La protezione delle donne deve essere garantita – conclude – da risorse pubbliche, scelte politiche chiare e investimenti stabili in prevenzione, protezione e giustizia".

La violenza di genere non è un’emergenza nel nostro Paese, ma un problema strutturale che va affrontato con serietà e competenza, insieme ai soggetti – come le associazioni femministe e i centri antiviolenza – che da anni si occupano di fornire assistenza alle donne abusate. Non è qualcosa che si può improvvisare o alla quale rispondere in modo insufficiente, per non dire pericoloso.

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