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Naufragio di Cutro: dalle norme alle responsabilità, tutto quello che Piantedosi non ha spiegato

Nella sua informativa alle Camere, il ministro Piantedosi avrebbe dovuto spiegare la dinamica dei fatti che ha portato al naufragio dei migranti di Cutro. Invece di chiarire, però, le parole del ministro sollevano ulteriori dubbi sulle cause e le responsabilità della tragedia.
A cura di Marco Billeci
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Ministro degli Interni Piantedosi
Ministro degli Interni Piantedosi

Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi avrebbe dovuto spiegare in parlamento cause ed eventuali responsabilità del naufragio di Cutro, costato la vita ad almeno 72 migranti. Invece ha tirato su un'ulteriore cortina di fumo. Davanti alle Camere, Pantedosi si è nascosto, sotto i toni assertivi e la difesa dell'onore degli uomini dello Stato che operano in mare, un lavoro mai messo in discussione da nessuno. Il ministro però non ha chiarito alcuni passaggi chiave, necessari a ricostruire la dinamica degli eventi. Anzi, più di un passaggio del suo intervento ha alimentato dubbi e interrogativi.

Il primo punto fermo della vicenda è questo: c'erano tutti i presupposti per capire che la barca individuata alle 22.26 di sabato 25 febbraio dall'aereo di Frontex nel mar Ionio, a circa 40 miglia dalle coste della Calabria, trasportasse un carico di migranti. Lo stesso Piantedosi mette in fila i segnali inequivocabili trasmessi alle autorità italiane dall'agenzia di frontiera europea: rilevazione termica, a indicare la presenza di esseri umani sottocoperta; boccaporti aperti, per consentire la respirazione alle persone ammassate nella stiva; una chiamata intercettata da un telefono satellitare dalla nave verso la Turchia, porto di partenza del caicco.

Perché non è stata dichiarata la Sar?

La prima domanda quindi è se di fronte a un barcone di migranti che naviga in mare aperto –  con condizioni meteo annunciate in peggioramento –  si sarebbe dovuta attivare un'operazione di soccorso (Sar). In aula, Piantedosi risponde di no perché,  spiega,  la Sar non può prescindere dalla segnalazione di una situazione di emergenza. Senza evidenza di pericolo (distress), l’evento va gestito come intervento di polizia (law enforcement), dunque affidato alla Guardia di Finanza, invece che alla Guardia Costiera.

Il ministro basa la sua tesi su due pilastri. Il primo è che dall'imbarcazione non è arrivata, in quella fase, nessuna richiesta di aiuto. Sappiamo tuttavia dalle testimonianze dei superstiti, che gli scafisti avevano bloccato il segnale dei cellulari dei migranti, che dunque nelle ore precedenti al naufragio non erano in condizioni di lanciare Sos. Piantedosi sostiene anche che nella sua segnalazione, Frontex non ha rilevato una situazione di pericolo per l'imbarcazione, sottolineando anzi il buono stato di navigabilità. L'agenzia europea però ha già replicato nei giorni scorsi che la responsabilità di dichiarare l'operazione di ricerca e salvataggio spetta gli Stati nazionali interessati.

D'altra parte, è lo stesso piano Sar della Guardia Costiera (aggiornato nel 2020) a dettagliare le diverse situazioni e i gradi di pericolo, per cui un'imbarcazione necessita assistenza. Condizioni che vanno ben oltre quella del distress, lo stato di emergenza, che è solo l'ultimo stadio, quello più estremo, in cui si può trovare una barca in difficoltà. In quest'ottica, diversi osservatori hanno ricordato negli  ultimi giorni le frasi pronunciate, nel 2017, di fronte alla commissione parlamentare Schengen, dall'attuale capo della Guardia Costiera, l'ammiraglio Nicola Carlone.

Illustrando una sorta di principio di precauzione, Carlone spiegava come "una nave con centinaia di persone a bordo non può essere abbandonata alla deriva, per di più priva delle più elementari condizioni di sicurezza, sovraccarica, senza un equipaggio professionale, né idonee attrezzature e strumenti di navigazione". Una posizione che ricalca quella espressa da fonti della Marina, consultate da Fanapage.it, per cui qualsiasi barcone di migranti andrebbe considerato in situazione di pericolo, per lo stato in cui si trova a navigare.

Le regole del ministero dell'Interno

Insomma, le regole della Guardia Costiera, ma anche i codici di navigazione e i regolamenti internazionali, sembrano dire che, nel dubbio, si va ad aiutare. C'è però un documento riservato del ministero dell'Interno – che Fanpage.it ha potuto visionare – con regole più vicine a quelle esposte da Piantedosi in parlamento. Si tratta dell'accordo tecnico-operativo per i fenomeni connessi con l'immigrazione clandestina via mare. Secondo le indicazioni impartite dal Viminale a Marina, Guardia Costiera, Finanza, Polizia e Carabinieri, il Sar deve essere dichiarato solo quando "le condizioni meteomarine pongono in SERIO E IMMEDIATO PERICOLO DI VITA (maiuscolo nostro) gli occupanti del natante".

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Senza questo presupposto molto stringente, recita l'accordo siglato dal Viminale, i soggetti chiamati in causa (Marina e Guardia di Finanza) , devono seguire le direttive stabilite dalla Direzione Centrale dell'Immigrazione e Polizia delle Frontiere del ministero dell'Interno. Queste direttive impongono di limitarsi a monitorare la situazione, possibilmente "in forma occulta", quando un'imbarcazione viene intercettata, al di fuori delle acque territoriali. Solo una volta che la barca è entrata all'interno delle 24 miglia dalla costa, nella competenza dello Stato italiano, può intervenire la Finanza, sempre in modalità "law enforcement",  a meno che la situazione non precipiti e sia necessario un intervento di soccorso immediato.

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C'è da dire tuttavia che persino l'intesa operativa – firmata sotto l'egida del ministero dell'Interno – prevede un'ulteriore circostanza, in cui può essere dichiarata la Sar. È il caso in cui la Guardia Costiera ritenga che "in relazione agli eventi meteomarini e alla situazione del mezzo navale, sussistano gravi condizioni ai fini della salvaguardia della vita umana". Di fronte a questo groviglio di regole, Piantedosi in parlamento non ha spiegato quali norme siano state seguite. E come vedremo più avanti, non ha detto su quali basi, qualcuno ha deciso che i migranti a largo della Calabria non meritavano un soccorso.

Chi ha deciso?

Nella ricostruzione degli eventi che il ministro degli Interni ha offerto al parlamento c'è un importante buco temporale. Piantedosi fissa alle 23.03 di sabato 25 febbraio, il momento in cui Frontex comunica alle autorità italiane l'avvistamento del caicco, in navigazione verso le coste calabresi. Passa mezz'ora e, stando sempre al racconto di Piantedosi, la Guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta la Capitaneria di Porto di Reggio Calabra, per far sapere di avere già in mare una nave, dedicata a occuparsi del caso segnalato.

Il ministro non dice nulla di cosa accade, nel tempo intercorso tra la segnalazione di Frontex e le comunicazioni della Gdf di Vibo Valentia, che si fa carico dell'operazione. Proprio in quella mezz'ora, tuttavia, si decide che il caso deve essere trattato come  law enforcement e non  come ricerca e soccorso. È evidente infatti che la Guardia di Finanza locale non agisca in maniera autonoma, ma dopo aver ricevuto indicazioni da Roma, dai centri di coordinamento a cui Frontex invia le informazioni, circa l'avvistamento dell'imbarcazione dei migranti.

Quindi, alle 23.03 l'agenzia di frontiera europea "chiama" Roma, mezz'ora dopo viene disposto che il caso in oggetto sia trattato da operazione "di polizia", anziché essere qualificato come Sar. Chi lo decide? Piantedosi non solo non lo dice, ma nella sua esposizione cade in un'apparente contraddizione, che confonde ulteriormente le acque. In un primo momento, il ministro dice che la comunicazione è inviata da Frontex al suo  ICC (International Coordination Center), il quartier generale della guardia di frontiera europea in Italia, con sede presso il Comando aeronavale della Guardia di finanza, a Pratica di Mare. E sostiene che della segnalazione siano messe a conoscenza sia il IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Centre) della Guardia Costiera, sia  il NCC, il centro di coordinamento nazionale, presso il ministero dell'Interno.

Anche se connessi e in comunicazione tra loro, i due organismi hanno funzioni distinte. Il IRMCC ha il compito di organizzare le operazioni di ricerca e salvataggio, mentre il NCC ha come funzione principale il controllo delle frontiere. Il NCC di Roma è l'interfaccia nazionale di Frontex, per il controllo dei confini, di fronte a fenomeni di immigrazione illegale. Si occupa dunque soprattutto del pattugliamento delle coste.

Ecco, in un  passaggio successivo del suo intervento, Piantedosi cambia versione e sostiene che la comunicazione di Frontex fosse indirizzata primariamente alle autorità italiane di law enforcement, dunque al NCC. È da qui, sotto l'ombrello del Viminale, che arriva l'indicazione alle autorità locali, di trattare il caso come operazione di polizia? E la Guardia Costiera avvalla questa decisione o si limita a prendere atto? Su questo passaggio, indispensabile per ricostruire la catena di comando e le regole che vengono applicate, Piantedosi tace.

Non sarebbe cambiato niente?

Nel suo discorso alle Camere, il ministro sottolinea più volte come anche gli assetti navali della Guardia di Finanza siano attrezzati per il soccorso. In sostanza, sostiene Piantedosi, aver fatto uscire in mare i Finanzieri, anziché la Guardia Costiera non ha cambiato molto, perché anche la Gdf sarebbe potuta intervenire ed effettuare salvataggio, in caso di pericolo. Le cose non stanno proprio così.

A smentire il titolare del Viminale sono prima di tutto i fatti. Le unità della Guardia di Finanza infatti sono costrette a tornare in porto attorno alle 3.30, di domenica 26 febbraio, a causa delle condizioni meteo. Le navi della Guardia Costiera al contrario avrebbero probabilmente potuto continuare a navigare, anche con il mare grosso. Ma prima ancora, nel caso fosse stato dichiarato evento Sar, la Guardia Costiera avrebbe potuto andare a recuperare i migranti, già dopo la prima segnalazione di Frontex, mentre il barcone navigava in acque internazionali.

Al contrario, la Finanza può svolgere la propria funzione di pattugliamento solo entro le 24 miglia dalla costa. Dunque, per intervenire, doveva comunque aspettare che il cacicco – partito dalla Turchia – arrivasse nelle acque territoriali italiane. A chiarire quest'aspetto è di nuovo il testo dell'accordo tecnico-operativo sigillato dal ministero dell'Interno. Si spiega nel documento come, nei casi di operazioni di law enforcement, il controllo delle barche di migranti in acque internazionali spetta solo alla Marina Militare.

All'imbarcazione che navigava verso Cutro invece non solo non viene data assistenza, ma neppure alcun tipo di sorveglianza, marittima o aerea. Dopo l'avvistamento delle 22.26 di sabato, la barca riappare sui radar di terra della Guardia di Finanza, solo alle 3.50 di domenica, pochi minuti prima del naufragio. Ma ormai è troppo tardi per intervenire.

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