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Nave ong Proactiva dissequestrata. Gip: “Giusto non riportare migranti in Libia”

Il Gip di Ragusa ha disposto il dissequestro della nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms, che è ormeggiata al porto di Pozzallo dal 18 marzo scorso dopo il salvataggio di 218 migranti.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il Gip di Ragusa, Giovanni Giampiccolo, rigettando la richiesta della locale Procura, ha disposto il dissequestro della nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms, che è ormeggiata al porto di Pozzallo dal 18 marzo scorso dopo il salvataggio di 218 migranti. L'imbarcazione era stata sequestrata su disposizione della Procura distrettuale di Catania. Il Gip etneo, il 27 marzo, aveva convalidato il provvedimento escludendo però il reato di associazione per delinquere: gli atti sono così passati per competenza a Ragusa.

Il provvedimento del Gip è esecutivo e sarà eseguito in giornata. Lo rendono noto i legali della Ong spagnola, gli avvocati Rosa Emanuela Lo Faro e Alessandro Gamberini. Sarà il personale della squadra mobile della Questura di Ragusa e della Guardia costiera di Pozzallo a notificarlo all'amministratore giudiziario nominato dopo il sequestro.

La Procura distrettuale di Catania, che aveva disposto il fermo della nave a Pozzallo, ha indagato il comandante Marc Reig Creus, il capo missione Ana Isabel Montes Mier, e il coordinatore generale dell'Ogn, Gerad Canals, per traffico di immigrazione clandestina e associazione per delinquere. Reato, quest'ultimo, che il presidente dell'ufficio del Gip di Catania, Nunzio Sarpietro, aveva fatto cadere, pur confermando il sequestro della nave. Venuto meno il reato associativo il fascicolo è stato trasmesso alla Procura di Ragusa che ha ribadito la richiesta di sequestro al Gip ibleo, che l'ha rigettata. Secondo la Procura distrettuale di Catania l‘obiettivo degli indagati sarebbe stato quello di salvare migranti e portarli in Italia, senza rispettare le norme, anzi violandole scientemente. La contestazione è stata avanzata dopo lo sbarco della nave a Pozzallo. Un approdo avvenuto dopo il rifiuto di consegnare i profughi salvati a una motovedetta libica e dopo due giorni di trattative diplomatiche. Ma secondo l'accusa, la nave avrebbe potuto sbarcare a Malta, nelle cui acque c'è stato la consegna di un bambino di e una madre che avevano bisogno di cure immediate.

Una ricostruzione sempre contestata dai difensori della Ong che hanno depositato diverse memorie difensive e hanno deciso di non fare presentare i loro assistiti all'interrogatorio fissato dalla Procura di Catania perché "non è il giudice naturale dell'inchiesta", e per la "sensazione" di volere a "tutti i costi monopolizzare le indagini in questa vicenda".

"Entrambe le condotte contestate tenute sia in zona Sar libica sia in zona Sar Malta, si risolvono in una disobbedienza alle direttive impartite dalle autorità preposte al coordinamento dei soccorsi", anche "allo stato delle risultanze investigative disponibili e delle contestazioni difensive", che "però non vale a impedire la configurabilità della causa di giustificazione dello stato di necessità". Questa è la spiegazione del Gip di Ragusa nel decreto di rigetto del sequestro della nave, "osservando al riguardo" che a parere "di questo giudice le operazioni Sar di soccorso non si esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro come previsto dalla Convenzione Sar siglata ad Amburgo il 1979". Per il Gip un luogo sicuro è quello "dove la vita delle persone soccorse non è più minacciata e dove è possibile fare fronte ai loro bisogni fondamentali, come cibo, riparo e cure sanitarie". E, aggiunge nel decreto, "secondo informazioni disponibili in Libia avvengono ancora gravi violazioni dei diritti umani". 

"Sono felice, finalmente abbiamo avuto ragione, come abbiamo sempre sostenuto, ma non era scontata una decisione del genere"– ha detto l'avvocato Rosa Emanuela Lo Faro, che assiste il comandante Marc Reig Creus. "Tutto è bene quello che finisce bene, ma abbiamo vinto una "battaglia", credo che la guerra legale non finisca oggi, ma continuerà e sarà lunga", afferma l'avvocato Alessandro Gamberini, che difende il capo missione Ana Isabel Montes Mier. "Noi eravamo certi di avere ragione – aggiunge il penalista – ma poi occorre che un giudice ti dica di avere ragione".

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