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La globalizzazione ha perso, le mazzate hanno vinto: ecco cosa è rimasto del G8 di Genova

Ventiquattro anni fa si difendeva la promessa di benessere della globalizzazione con la macelleria messicana del G8 di Genova, culminata nell’omicidio di Carlo Giuliani. Oggi, si criminalizza il dissenso in nome del protezionismo, del riarmo e del ritorno degli Stati nazione.
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La promessa del benessere e della fine della Storia con la libera circolazione dei capitali si è infranta, ma la repressione del dissenso “modello Diaz” è più viva che mai. Questo, in sintesi, è l’epitaffio del G8 di Genova tra il 19 e il 22 luglio del 2001, 24 anni fa. Vero e proprio Capodanno di un terzo millennio che si annunciava gravido di promesse e benessere. E che, al suo primo vagito, ha prodotto un morto in piazza – Carlo Giuliani, ammazzato in piazza Alimonda il 20 luglio di 24 anni fa – e una macelleria messicana in una scuola e in una caserma di polizia alla periferia di Genova.

Ecco: diciamo che di quel promesse di benessere è rimasto pochino. Allora si festeggiava l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, un evento che avrebbe schiuso mercati inesplorati tipo scoperta dell’America e che ci avrebbe liberato dalla schiavitù del lavoro. Oggi si maledice quel giorno, con la Cina che ha invaso i mercati europei dei suoi prodotti a basso costo e alta tecnologia, presidiando ogni mercato strategico, dagli smartphone alle automobili.

Ancora. Allora si festeggiava la libera circolazione dei capitali come evento che avrebbe generato ricchezza da nulla, denaro dal denaro. Oggi, qualche crisi globale dopo, abbiamo capito che il denaro non va sempre dove vogliamo noi, ma preferisce i lidi dove ci sono meno regole e dove si pagano meno tasse. E oggi ci troviamo con la rendita finanziaria tassata molto meno del lavoro e con uno Stato sociale che si riduce sempre di più, nonostante – in teoria – dovremmo essere sempre più ricchi.

Ancora. Allora si diceva – e qualcuno lo dice ancora oggi – che la globalizzazione ci avrebbe reso tutti più ricchi, che in cambio di un po’ di flessibilità avremmo avuto tutti redditi più alti. Oggi ci ritroviamo, e l’esempio di Milano valga per tutti, con gli stipendi al palo da vent’anni e le case che costano il 60% in più di dieci anni fa.

Ancora. Allora si diceva che il libero mercato avrebbe reso gli Stati e gli interventi pubblici obsoleti. E qualche anno fa, abbiamo scoperto che se i banchieri centrali non si fossero messi a stampare moneta come se non ci fosse un domani, sarebbero falliti un bel po’ di Paesi europei, Italia compresa, a causa di mercati finanziari che avevano serenamente scommesso sul loro fallimento.

Ancora. Allora si diceva che la globalizzazione avrebbe tolto dalla miseria il Sud del mondo, mentre oggi alziamo muri di fronte a quelle persone che – legittimamente – vorrebbero circolare liberamente per il mondo come promesso loro dalla globalizzazione.

Persino la speranza di un mondo senza guerre, buon ultima promessa della globalizzazione all’uscita dello scontro tra blocco capitalista e blocco socialista si è infranta pochi mesi dopo il G8 di Genova, in una calda mattina di settembre dello stesso anno, a New York. E di nuovo a Madrid, Londra, Parigi, Nizza, vittima di una guerra asimmetrica e senza confini contro un’internazionale del terrore che, lei sì, aveva capito benissimo le regole d’ingaggio della globalizzazione. Una guerra che si è giustapposta, anziché sostituirsi, a un mondo a blocchi che si è immediatamente ricostituito, attorno a Usa e Cina, a conflitti che si sono riacutizzati, a Kiev e Gaza. Col risultato che oggi tutti gli Stati si stanno riarmando, e che la promessa del disarmo nucleare è andata serenamente a farsi benedire.

Nel frattempo, proprio quegli Stati Uniti che avevano teorizzato e imposto la globalizzazione al mondo, hanno eletto un presidente che oggi esercita il suo potere minacciando e imponendo dazi al resto del Pianeta, per imporvi ulteriormente il suo potere.

Cos’è rimasto, insomma, di quelle calde giornate di Genova? A ben vedere, solamente le mazzate, i colpi di pistola e le torture che si sono presi chi manifestava contro quella promessa di benessere. Perché sì, oggi la globalizzazione non c’è più. Ma le zone rosse, la criminalizzazione del dissenso e la contrazione degli spazi di democrazia, dagli Stati Uniti all’Europa, sino all’Italia dei decreti sicurezza, sono più vive che mai. Nel silenzio assenso, di chi allora benediceva quelle mazzate nel nome della globalizzazione. E oggi le benedice, allo stesso modo, in nome del suo contrario.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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